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Dir. Resp.
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Edizione del 02/01/2020
Estratto da pag. 1
La giusta libertà secondo Mattarella. Cazzola ci confessa perché si candida
Al direttore - Botte da urbi.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Caro Cerasa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il messaggio di fine anno ci ha raccontato che un’associazione di disabili gli ha donato per Natale una sedia che reca questa scritta: “Quando perdiamo il diritto di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi”. Esprime appieno il vero senso della convivenza, nella vita di ogni giorno. Libertà chiede l’adolescente che vive con i genitori e non vuole rispondere del proprio diritto ad essere differente. Libertà desidera il detenuto, dichiarato colpevole o in attesa di processo. Libertà reclama chi non può comunicare la propria opinione differente. Libertà chiede chi si sente imprigionato in una vita che non gli appartiene. In tutti questi casi si anela a essere liberi: si anela una libertà auspicabile o deprecabile, meritata o immeritata, legittima o illegittima. La parola è la stessa ma il significato è differente. La libertà è il primo dono che abbiamo ricevuto, senza alcuna mediazione. Ma avendola ricevuta in dono va custodita e difesa. La libertà non è mai definitivamente conquistata, è una esperienza costante dell’umanità. L’insegnamento di Nelson Mandela che mi porto dietro è che l’educazione a essere liberi richiede una scelta, un impegno personale e costante che passa anche dal nostro diritto a essere “differenti”. Fëdor Dostoevskij diceva: “Dai la libertà all’uomo debole ed egli stesso si legherà a te e te la riporterà. Per il cuore debole la libertà non ha senso”.
Andrea Zirilli
“Non è la libertà che manca: mancano gli uomini liberi”. Lo diceva Leo Longanesi. E credo che nel discorso fatto dal presidente della Repubblica sui confini della nostra libertà il riferimento sia rivolto più alle singole persone che al nostro paese.
Al direttore - Sono rimasto sorpreso e molto dispiaciuto nel leggere i titoli della mia intervista, pubblicata martedì sul Suo Giornale, sia in prima pagina che all’interno. I titoli, infatti, inseriscono l’intervista in una cornice di arroganza e di mancanza di rispetto per le persone che è antitetica al mio modo di pormi. Gradirei quindi che il Suo giornale desse atto di questa mia precisazione nel prossimo numero. La saluto cordialmente.
Gherardo Colombo
Grazie della bellissima intervista. A presto.
Al direttore - Il prossimo 26 gennaio si voterà in Calabria e in Emilia-Romagna (che è la mia regione). Una decina di giorni dopo io compirò 79 anni: un’età veneranda dopo una lunga vita ricca di esperienze e di soddisfazioni. Il destino è stato generoso con me, nel senso che ha appagato tutte le mie aspirazioni giovanili. Per quasi trent’anni ho diretto in prima persona importanti strutture sindacali, sono stato per tredici anni ai vertici di grandi enti pubblici, poi eletto deputato nella XVI Legislatura; nel frattempo, ho insegnato in atenei pubblici e privati. Ho scritto (e scrivo) migliaia di articoli e una ventina di libri, anche di valore scientifico. Partecipo in diversi modi al dibattito pubblico. Negli ultimi anni sono divenuto nonno di due nipoti meravigliosi. Potrei ritenermi appagato e tirare i remi in barca, aspettando il momento di dire – come il vecchio Simeone – “nunc dimittis servum tuum, Domine’’. Ho accettato, invece, di guidare una (composta da +Europa, Pri e Psi) delle sei liste che sostengono la rielezione di Stefano Bonaccini a presidente della regione emiliano-romagnola. Anche mettendo nel conto l’accusa di essere un “voltagabbana’’. Critica che ritengo immeritata perché in tutte le formazioni in cui ho militato (compreso il Pdl quando i suoi rapporti con la Lega erano rovesciati rispetto agli attuali) ho sempre condizionato il mio impegno alla presenza dei valori fondamentali in cui credo: la società aperta, la globalizzazione dell’economia, l’Europa e l’euro, le riforme e la stabilità, l’accoglienza e l’integrazione degli stranieri. Senza avere dubbi nel cercare nuove strade, q
uando questi valori venivano ottenebrati e negletti dai tatticismi della politica. Ho condiviso e appoggiato la costituzione del governo Monti e le politiche adottate per la salvezza dell’Italia, compresa la riforma delle pensioni del ministro Fornero, anche quando questa civil servant era sottoposta ad attacchi personali ingiusti e feroci. La lista che rappresento ha apprezzato l’opera dell’amministrazione Bonaccini, ne condivide il programma e lavora per la sua rielezione. Ma, sebbene sia una forza minoritaria, la lista è scesa in campo con un obiettivo ancora più ambizioso: contribuire a fermare l’onda nera di Matteo Salvini e del salvinismo. Il leader della Lega porta avanti in prima persona, nella regione, una battaglia di carattere nazionale. Per la sinistra sarebbe, invece, una sconfitta di portata storica, ben oltre le ricadute sull’attuale governo e l’eventuale ricorso alle elezioni anticipate. Ma se l’offensiva del centrodestra a trazione salviniana dovesse fallire, il Capitano non potrebbe cavarsela con un “non ce l’ho fatta; i rapporti rimangono come prima’’. Per lui sarebbe una battuta d’arresto seria. Il movimento che meglio ha compreso l’importanza della sfida del 26 gennaio è quello autodefinitosi delle sardine. Un movimento di giovani diversi dallo stereotipo a cui siamo stati abituati dai talk-show; un popolo antipopulista, di cultura europea, che è stato capace di individuare in Matteo Salvini, per quel che rappresenta, il “male assoluto’’ di questa fase politica. Le “sardine” sono emerse dall’ombra come un dono della Provvidenza per una sinistra tanto frastornata da non accorgersi di loro, che non sapeva di avere a disposizione degli anticorpi di nuovo conio, ma continuava ad assumere prefiche per compiangere il venir meno del voto delle periferie, a vergognarsi di quello delle aree Ztl e a interrogarsi sulle ragioni della conversione pro Lega di larga parte delle classi lavoratrici. Con la tentazione, quindi, di tornare all’antica via, secondo Corbyn: intanto, le piazze italiane si riempivano, inaspettatamente, di migliaia di persone che del quadro di Pellizza da Volpedo, non gliene può fregar di meno.
Giuliano Cazzola
La campagna elettorale di Stefano Bonaccini, e dunque anche la sua, ha da qualche giorno poi come spot proprio un’indicazione fantastica offerta da Matteo Salvini ad alcuni militanti emiliano-romagnoli: “Non discutere sul buon governo in Emilia-Romagna, perché comunque avvantaggia chi governa”. Meno discussioni nel merito, più supercazzole. Il salvinismo in fondo è tutto qui. In bocca al lupo.