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Dir. Resp.
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Edizione del 12/01/2023
Estratto da pag. 1
Seimila sì, per l’esattezza 6.041, a favore dello Stato subito in maggioranza in Acciaierie d’Italia. Il 98,85 per cento dei 6.111 voti validi espressi al referendum indetto nel siderurgico e nell’indotto da Fiom Cgil, Uilm e Usb di Taranto vuole che il miliardo di euro che il Governo ha assegnato ad Invitalia sia usato per ribaltare i rapporti di forza nell’ex Ilva, portando lo Stato al 60 per cento e il privato ArcelorMittal al 40. Dove sono le risorse Un miliardo come massimo, dispone il decreto legge approvato il 28 dicembre dal Consiglio dei ministri, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 5 gennaio ed entrato in vigore il giorno dopo. Ma in realtà la società del Mef dovrebbe per ora staccare un assegno inferiore: 680 milioni. In sostanza, se il ministro delle Imprese, Adolfo Urso (si veda l’intervista a "Quotidiano" del 2 gennaio), dice che il finanziamento del dl è in conto soci ma che, su richiesta di Invitalia, in qualunque momento può essere trasformato in capitale, anche prima di maggio 2024, i tre sindacati chiedono che questo passaggio sia fatto al più presto. Perché Mittal è ritenuto totalmente inaffidabile e perché mettere cospicue risorse pubbliche nelle mani di un soggetto che ha dato cattive e ripetute prove di se, è un buco nell’acqua.
La protesta a Roma Altro che rilancio della fabbrica. Per ribadire questa posizione, ieri Fiom Cgil, Uilm e Usb sono stati a Roma, nelle vicinanze di piazza Montecitorio, ed hanno poi incontrato parlamentari e la commissione Ambiente della Camera a cui hanno consegnato un documento. Una cinquantina di persone la delegazione nella Capitale. Con i sindacalisti, i delegati e i segretari nazionali di Fiom Cgil e Uilm, anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, il sindaco e presidente della Provincia di Taranto, Rinaldo Melucci, e alcuni sindaci dell’area tarantina. Non c’erano Fim Cisl e Ugl, che vogliono prima aspettare il vertice del 19 col ministro. Il senatore Turco «Non solo la sordità nei confronti del grido di allarme di migliaia di cittadini di Taranto. Ora il Governo Meloni sull’annosa questione ex Ilva preferisce addirittura la via del bavaglio, non autorizzando a manifestare le sigle sindacali che avevano indetto una giornata di protesta pacifica nei pressi di Palazzo Chigi e di piazza Montecitorio. Un atteggiamento inaccettabile e sprezzante», protesta Mario Turco, senatore e vice presidente M5S. Il referendum e il documento Sì in percentuale schiacciante, dunque, visto che i no (cioè i non favorevoli all’immediato arrivo del pubblico) sono stati solo 70, pari all’1,15 per cento, mentre le schede nulle 92 e le bianche 123. Nel complesso, i votanti sono stati 6.326. “Il dato emerso dal referendum ci consegna una chiara volontà da parte dei lavoratori di voler cambiare pagina e porre fine ad una gestione che evidentemente ha dimostrato di non aver nessun interesse a garantire un serio rilancio dello stabilimento siderurgico”, scrivono Fiom Cgil, Uilm e Usb nel documento consegnato alla commissione Ambiente della Camera. Le sigle metalmeccaniche “ritengono necessario aprire una fase di ascolto e di confronto col Governo e col Parlamento perché si possano determinare delle scelte strategiche per definire politiche industriali e ambientali in grado di rilanciare non solo Taranto ma l’intero tessuto produttivo e manifatturiero del nostro Paese”. Le dichiarazioni dei sindacalisti Esplicita Franco Rizzo di Usb nazionale: «Abbiamo espresso la nostra posizione alla commissione Ambiente della Camera confortati da un plebiscito al referendum: i lavoratori si sono espressi in maniera chiara a favore dello Stato con più del 98 per cento. Abbiamo una posizione univoca col territorio. Abbiamo ribadito alla commissione - prosegue Rizzo - che non accettiamo che lo Stato continui a buttare soldi nelle mani della multinazionale e pretendiamo che ci sia una svolta. Noi il 19 gennaio sciopereremo e saremo sotto il ministero con i lavoratori chiedendo con forza al Governo che, quantomeno, ci sia un riequilibrio della governance. In questa fase c
i aspettiamo almeno questo». In fase di conversione del decreto legge «bisogna fare un’operazione che consenta di rendere chiaro un punto per noi essenziale, e cioè che la ricapitalizzazione del gruppo e il suo controllo pubblico possano essere immediatamente acquisiti. Per noi c’è un problema di accelerazione di questo processo. Le condizioni in cui oggi sta il gruppo dal punto di vista produttivo, impiantistico, ambientale e, ovviamente, dei lavoratori, non possono consentirci di arrivare al 2024», sostiene Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom Cgil. Che annuncia che già oggi i sindacati si muoveranno per chiedere il confronto con le commissioni di Camera e Senato. Secondo Guglielmo Gambardella, segretario nazionale Uilm, «i lavoratori chiedono l’intervento diretto del Governo che assicuri lavoro e una prospettiva industriale e ambientale di lungo respiro. Il Governo adesso deve decidere adesso come dare discontinuità alla cattiva gestione di un asset strategico per il nostro sistema manifatturiero e per l’economia di Taranto assumendo la gestione del gruppo». Le voci del territorio. «Se l’ex Ilva è davvero un sito di interesse strategico, riteniamo che non possa essere nelle mani della multinazionale che ha depauperato lo stabilimento. Bisogna invertire la rotta. Si può fare senza ArcelorMittal e con l’intervento pubblico», chiosa Francesco Brigati, segretario Fiom Cgil. E Davide Sperti, segretario Uilm, afferma: «Il ministro Urso ci aveva garantito di subordinare i finanziamenti pubblici ad una ricapitalizzazione. Questo non sta avvenendo. La montagna sta partorendo il topolino. Perché dare 680 milioni come finanziamento soci significa nessuna garanzia. L’unica strada per andare in discontinuità col passato è fare in modo che Invitalia passi in maggioranza».