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Edizione del 23/11/2022
Estratto da pag. 1
Le riforme non sono merce di scambio In una riunione svoltasi pochi giorni fa fra il presidente del Consiglio e alcuni ministri, ci si è occupati delle richieste di autonomia regionale differenziata. Stando alle dichiarazioni... Le riforme non sono ?merce di scambiodi Gianfranco ViestiMercoledì 23 Novembre 2022, 00:004 Minuti di LetturaIn una riunione svoltasi pochi giorni fa fra il presidente del Consiglio e alcuni ministri, ci si è occupati delle richieste di autonomia regionale differenziata. Stando alle dichiarazioni rilasciate al termine, si sarebbe definito un percorso attuativo più diluito nel tempo, e legato, fra l’altro, anche al tema dei poteri per Roma Capitale. Se riflettere a fondo pare indispensabile, legare due questioni così diverse solleva perplessità.Sul fronte dell’autonomia regionale differenziata, come questo giornale ha ampiamente documentato, il ministro Roberto Calderoli è partito con grande rapidità e con una proposta estrema. Ha infatti fatto subito circolare una bozza di “legge quadro” con i principi di attuazione e l’ha presentata venerdì scorso alla Conferenza delle Regioni. La bozza disegna un percorso attuativo ottimale per Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna che da tempo hanno chiesto di poter disporre di poteri e competenze molto più ampi di quelli attuali. Un percorso fatto da un accordo fra il ministro e il presidente di Regione, un passaggio in Consiglio dei ministri, un ruolo irrilevante per il Parlamento, chiamato ad un parere consultivo in 30 giorni e poi a un voto di ratifica a scatola chiusa. Con intese non più modificabili, per sempre, senza l’assenso della Regione e tutti i poteri attuativi affidati a una Commissione paritetica di esperti. Da questo iter accelerato e molto poco trasparente scaturirebbe un profondo ridisegno dell’intero paese, e di fondamentali politiche pubbliche.Bene, quindi, che si sia deciso di approfondire. Va sempre ricordato che se le Regioni possono chiedere nuove competenze (e le regioni hanno chiesto praticamente tutte quelle possibili, tutte insieme), sta a governo e Parlamento, alla luce dell’interesse nazionale, concederle o meno. Come valutare queste richieste? Sono almeno tre i profili di merito da esaminare. Il primo è l’opportunità in sé di decentrare ad alcune Regioni ulteriori competenze in grandi ambiti di rilevanza nazionale come istruzione, sanità, infrastrutture, energia, ambiente. Vi sono evidenti motivi che consigliano di evitarlo, dalla fondamentale funzione della scuola pubblica italiana, all’importanza del Servizio sanitario nazionale, alle necessità di coordinamento europeo (e non di differenziazione interna al paese) delle politiche energetiche; come sottolineato anche dalle recenti conclusioni della Commissione nominata dalla ministra Gelmini e coordinata dal compianto professor Caravita. Il secondo profilo attiene alle caratteristiche della regione che giustificano l’attribuzione di una determinata competenza ad essa e non alle altre. Deve esserci un legame, una specifica motivazione: altrimenti tutte le regioni a statuto ordinario potrebbero richiedere ed ottenere tutte le competenze possibili, modificando così di fatto l’articolo 117 della Costituzione. Ma nelle richieste regionali agli atti non viene mai fornita alcuna giustificazione: se non quella che esse si ritengono più efficienti dello Stato nella gestione. Cosa tutta da verificare. Il terzo profilo attiene alle conseguenze di questa eventuale concessione sia sui cittadini della regione richiedente (che non possono essere assunte come positive per un semplice atto di fede) sia, soprattutto, sugli altri Italiani. Spezzettare le competenze in alcune materie può inficiare l’efficienza dell’azione pubblica. E tutto questo senza considerare il fondamentale tema dell’attribuzione delle risorse finanziarie, in un quadro in cui la legge 42/2009 per le Regioni non è attuata e non sono definiti i “livelli essenziali delle prestazioni” previsti dalla Costituzione.Vi è dunque materia per attente riflessioni, anche tenendo conto delle notevolissime differenze di tradizione poli
tica su questi temi delle forze di governo; e per un percorso deliberativo che deve prevedere un ruolo centrale, di analisi, discussione e deliberazione, del Parlamento.È assai discutibile legare questa vicenda a quella dei poteri per Roma Capitale. Nella passata legislatura si è pervenuti all’approvazione unanime in Commissione Affari costituzionali del testo base di una norma che consente di attribuire potestà legislative a Roma Capitale, ma che poi non è arrivato ancora una volta all’approvazione finale per la fine prematura della Legislatura. Anche in seguito a queste vicende la Regione Lazio, prima dello scioglimento, ha approvato un collegato alla legge di bilancio con il quale ha già devoluto a Roma importanti poteri, a cominciare dalla materia urbanistica. Per far riferimento alle tre questioni sollevate in precedenza, è palese la differenza. Gli ambiti delle competenze sono quelli già attribuiti al Lazio come regione a statuto ordinario, che vengono diversamente articolati al suo interno. La motivazione di questa differenza rispetto ad altri casi è ovvia, trattandosi della capitale. Si ritiene che questo possa rendere più efficaci le politiche pubbliche per i cittadini interessati (la Regione ritiene che i tempi delle procedure urbanistiche possano dimezzarsi), mentre è difficile immaginare conseguenze negative per gli altri Italiani. Una vicenda positiva; che dovrebbe portare l’intero paese – al di là delle specificità della Capitale - a riflettere sugli ultimi venti anni, in cui l’aumento dei poteri di tutte le Regioni è avvenuto anche comprimendo le capacità di governo delle città.Due questioni che non hanno legami di merito; sulle quali sarebbe meglio procedere separatamente, senza ipotizzare alcuna sorta di “scambio” politico.