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Edizione del 08/11/2022
Estratto da pag. 1
Le colpe del marasma antigovernativo
L a settimana politica alle nostre spalle era iniziata proprio bene. Si partiva con il presunto contrasto tra Giorgia Meloni e Carlo Nordio sull''ergastolo ostativo.
Gerardo Casucci

L a settimana politica alle nostre spalle era iniziata proprio bene. Si partiva con il presunto contrasto tra Giorgia Meloni e Carlo Nordio sull'ergastolo ostativo. Circolava sul web un'immagine iconografica raffigurante il ministro della Giustizia con la bocca coperta da un pezzo di stoffa postogli con pervicace malignità dalla Meloni raffigurata alle sue spalle - su cui la stessa premier alla prima conferenza stampa postconsiglio dei ministri, peraltro congiunta con lo stesso titolare del dicastero di via Arenula, aveva ironizzato - al solo scopo di ammutolirne (a detta dei rimestatori nel torbido per professione) libertà, capacità e indipendenza. Il motivo del contendere era, per intenderci, quel "particolare tipo di regime penitenziario previsto dall’art. 4 bis Ord. Penit. che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari gli autori di taluni reati particolarmente gravi elencati al comma 1 della medesima disposizione, ove il soggetto condannato non collabori con la giustizia o tale collaborazione sia impossibile o irrilevante". Secondo sempre i suddetti ben informati, il ministro, garantista per principio e in piena sintonia con quanto già espresso dalla Consulta ad aprile scorso, pare volesse abolire la norma e la premier no. Altro motivo di attrito tra i due sarebbe stato l'imminente rinvio del governo all’entrata in vigore della riforma penale (la cosiddetta legge Cartabia, dal nome dell'ex ministro della giustizia che l'aveva propugnata), dal 1 novembre al 1 gennaio, per "andare incontro alle richieste dei magistrati". Che il conflitto tra i due fosse vero o presunto, restava il fatto che nessuno credeva che, a dispetto di chi si augurava il contrario, la Meloni volesse arrivare ai ferri corti con un ministro da lei tanto voluto da imporlo (e farlo digerire) perfino a Silvio Berlusconi. Per non parlare di un "commissariamento" che la Meloni avrebbe perpetrato nei confronti dello stesso ministro, secondo Giacomo Salvini de Il Fatto Quotidiano, attraverso la nomina a suo sottosegretario di Andrea Delmastro Delle Vedove di FdI (non viceministro, badate bene). Ci si chiedeva - "a quale scopo?", e, qualora fosse stato vero, perchè non "usare" direttamente un uomo di Silvio Berlusconi per farlo? Domande logiche ad affermazioni che sembravano per lo più pretestuose e illogiche e che hanno ricevuto una smentita piena ed esaustiva dalla premier in persona nella già riportata prima conferenza stampa del governo di centro-destra (o meglio di destra-centro, come suggerito dal redivivo Gianfranco Fini in una sua recente intervista rilasciata alla Annunziata). Conclusione: ergastolo ostativo confermato (e in parte rivisto e corretto per il prossimo pronunciamento della Corte Costituzionale) e applicazione della riforma penale rinviata al 1 gennaio 2023 in piena sintonia tra tutti. Non finivamo neanche di riprenderci dalla suspense per il pericolo scampato che, mentre Carlo Calenda attaccava i "sultani del Sud" - come lui stesso aveva definito Vincenzo De Luca e Michele Emiliano riuniti dalla recente marcia della pace a Napoli - il "resto del mondo civile" se la vedeva con le parole di Ignazio La Russa a La Stampa - fuorviate a suo dire - sulla sua futura non presenza ai cortei di giubilo per il 25 aprile. Apriti cielo! Il Pd nazionale, per bocca di tre delle sue figure femminili più rappresentative (Debora Serracchiani, Anna Ascani e Simona Malpezzi) all'istante rilasciava affermazioni via via più stigmatizzanti che, a guardar bene, poi con quelle parole non c'entravano proprio nulla. Il motivo del contendere questa volta era (pare) non il fatto che il presidente del Senato partecipasse o meno a uno dei tanto festosi agglomerati primaverili del 25 aprile, bensì che a precisa maliziosa domanda - "sarà presente ai festeggiamenti per il 25 aprile?" - l'esponente di Fratelli d'Italia avvesse risposto "dipende", peraltro argomentando poi il significato di quel verbo così incautamente esclamato (giusto o sbagliato che fosse) e ribadendo la sua totale fedeltà alla repubblica e ai suoi fondament
i democratici, di cui peraltro il suo stesso ruolo è piena e felice espressione. Nuova conclusione: La Russa preannunciava denunce per diffamazione all'indirizzo delle sue esimie colleghe e di chiunque altro avrebbe scientemente adulterato il senso delle sue affermazioni. Ed eravamo solo alle prime luci della seconda settimana di governo. Breve intermezzo leggero, quasi comico (e disintossicante). Enrico Mentana, notissimo direttore del Tg La7, commentando sui social le presunte decisioni del governo Meloni miranti ad allentare le restrizioni in questa fase pandemica - che a loro volta avevano spinto molti a mettere in discussione l'utilità dei vaccini e dei dispositivi di sicurezza, come ad esempio le mascherine - scriveva: "In Italia girano dei fessi così fessi da pensare che, siccome ora si possono allentare le misure anti Covid, questo proverebbe che mascherine, green pass e vaccino non servivano. Come dire, quando albeggia, che è stato inutile illuminare le strade nella notte". Nulla da aggiungere...". Possiamo mai dargli torto? E anche Paragone e soci erano serviti. Ah dimenticavo, la sinistra e i 5 Stelle erano ovviamente insorti vaticinando disastri infettivologici qualora le misure ventilate fossero state prese, tacendo il fatto che in molti paesi, europei e non, questo era già accaduto senza che ciò creasse particolari problemi di salute pubblica. In realtà si andava solo al reintegro del personale sanitario non vaccinato (anche per le ormai croniche e insopportabili carenze degli organici), mentre le misure di contenimento epidemiologico del covid restavano immutate in strutture sanitarie e Rsa. "Molto rumore per nulla", avrebbe detto William Shakespeare. Non vi dico poi gli attacchi di politica e stampa su tutti (o quasi) i nomi di sottosegretari e viceministri o sulla volontà dell'esecutivo di legiferare contro quel trionfo dell'anarchia e del malcostume che sono i rave party. Mi chiedo, come ritroveremo l'unità che occorre come il pane a questo paese se continuiamo ostinatamente a rinnovare comportamenti così divisivi e belligeranti? Come si fa a non capire che è tempo di parlarsi e non di oltraggiarsi? In questo marasma di attacchi manifesti o sussurrati, ironie, offese e distinguo, sono risultate ancor più nobili e sagge le voci forse troppo a lungo taciute di ex politici come Gianfranco Fini e Massimo D'Alema, che unitamente alla nostalgia per un mondo valoriale (anche in termini intellettivi) che non sembra esserci più, suggeriscono a tutti noi che la classe politica italiana ha probabilmente raggiunto il suo punto più basso, proprio nel momento di minor resilenzia del sistema-paese e, in particolare, delle sue classi sociali più deboli, accomunate ormai da una continua e inarrestabile crescita sotto lo sguardo indifferente (per non dire compiacente) della politica tutta (non solo nostrana) alle montanti maree speculative nazionali e internazionali. Chi, a qualunque titolo, farà di tutto per perpetuare questa intollerabile condizione o addirittura compromettere ancora di più l'equilibrio di un sistema già così instabile e fragile, se ne dovrà poi assumere tutte le responsabilità di fronte agli elettori e alla storia. Altro che diatribe su revisionismi fuori luogo o allarmi per nuovi fascismi e comunismi dei tempi (per fortuna) che furono.