corrieredelmezzogiorno.corriere.it
Dir. Resp.
Tiratura: n.d. - Diffusione: n.d. - Lettori: 21873
Edizione del 04/11/2022
Estratto da pag. 1
Calderoli: «Più competenze ai territori. È così che si promuove il Sud»
Il titolare delle Autonomie: «Chi non chiederà nulla, non perderà fondi e potestà»
l’intervista

Mezzogiorno, 4 novembre 2022 - 10:04

Calderoli: «Più competenze ai territori. È così che si promuove il Sud»

Il titolare delle Autonomie: «Chi non chiederà nulla, non perderà fondi e potestà»

di Angelo Agrippa

A-A+

shadow

Stampa

Email

Ministro Roberto Calderoli, lei ha annunciato che la prossima settimana presenterà il testo base della legge quadro sull’autonomia differenziata. Ma le Regioni del Mezzogiorno, Campania e Puglia anzitutto, già protestano. Si avvia su un percorso accidentato?

«Ho incontrato in via informale sia il presidente Emiliano, per la Puglia, sia il vice presidente della giunta della Campania, sia il segretario della giunta regionale della Calabria. Ciascuno ha illustrato le proprie esigenze o manifestato le proprie perplessità. Credo che, tuttavia, il clima si sia rasserenato: ho riferito loro che le Regioni non persuase dalla necessità di ottenere competenze non perderanno nulla sia in termini finanziari, sia di potestà».Ma lei non propugnava un modello diverso, quello del federalismo fiscale?

«Infatti, intendo applicare proprio il principio e la filosofia del federalismo fiscale. All’epoca fui accusato di voler penalizzare il Sud, invece con quel modello ho portato maggiori risorse ai Comuni del Mezzogiorno rispetto a quanto avveniva con il criterio della spesa storica. Modello, purtroppo, arenatosi con Monti. Auspico, comunque, che questo punto di partenza venga tenuto nella giusta considerazione anche per l’autonomia differenziata». Non crede che il superamento del criterio della spesa storica sia osteggiato proprio dalle Regioni del Nord?

«No, sono i Governi che si piazzano di traverso tutte le volte in cui si mette in discussione una competenza centrale. Poi, vi è il rallentamento delle strutture tecniche che hanno tempi e forniscono risposte non in linea con ciò che chiede la politica. Ora però imporrò dei vincoli temporali entro i quali occorrerà definire i percorsi legislativi. Ripeto: chi ha cercato di introdurre dei criteri diversi, costi e fabbisogno standard, è stato il sottoscritto. Ed ora, da ministro della Repubblica italiana, voglio provare a favorire tutte le Regioni, a liberarle, non certo a penalizzarne alcune o ad avvantaggiarne altre». Perché, allora, non insiste perché vengano prima definiti i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, per poi avere un quadro del fabbisogno chiaro su cui elaborare un progetto di autonomia?

«Attenzione, nella legge di attuazione è previsto espressamente che i Lep debbano essere definiti in tempo. Mi auguro che il percorso prosegua spedito e in termini di istruzione e sanità credo stia andando avanti spontaneamente. Però, entro un anno, voglio che i Lep vengano approvati per le materie indicate dalla legge: parliamo di materie che hanno una diretta implicazione con i Livelli essenziali di assistenza e con i diritti civili e sociali che dovranno essere garantiti sui territori. Viceversa, quelle materie che non presentano implicazioni di questo tipo non avranno bisogno dei Lep, ma magari dei costi e dei fabbisogni standard». Lei fa riferimento all’istruzione. Ma dietro questa competenza trasferita alle Regioni si nasconde più di una insidia: dalla uniformità dei programmi didattici alla possibilità di erogare retribuzioni diverse ai docenti, se si insegna in un territorio più ricco. Così non si creano disparità?

«C’è una interpretazione della norma costituzionale che può essere erronea in senso eccessivo o riduttivo. Ho incontrato il presidente del Friuli Venezia Giulia, Fedriga, che come sa è a capo di una Regione a statuto speciale. Mi ha rappresentato l’esigenza di poter gestire in autonomia le competenze dell’Ufficio scolastico regionale che, al di là del nome, è statale. Mi diceva che questo Ufficio non ha risorse per poter funzionare; che non è in grado di decidere in base al tasso di denatalità, per esempio, la localizzazione delle varie scuole rispetto alle esigenze del terri
torio. È legittimo che una Regione rappresenti una propria necessità. Poi sarà il Parlamento a decidere come intervenire».

Un altro tema divisivo, come si dice, è il residuo fiscale da trattenere sul territorio. In questo caso, non si finirebbe per aiutare le aree più ricche?

«Ma il residuo fiscale non c’entra assolutamente nulla con l’autonomia differenziata. Io faccio il ministro per gli Affari regionali. Non sono in campagna elettorale». Lo dice lei.

«Io ho come base la Costituzione, per cui le funzioni che verranno trasferite alle Regioni, alle Province e ai Comuni dovranno essere interamente finanziate dallo Stato. Ci si arriva attraverso tributi propri, compartecipazione e riserva di aliquota, vale a dire trattenendo i fondi che dovrebbero essere trasferiti dallo Stato successivamente. Le dico di più: siccome sto scrivendo la bozza del progetto di legge di attuazione dell’autonomia differenziata sulla base del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, anche a costo di ripetere che l’acqua calda è calda, ribadirò per esteso che nulla cambi per le Regioni che non richiedono ulteriori forme di autonomia».

Ministro, il problema non è costituito dalle Regioni che non richiedono competenze, ma da quelle che puntano a gestire funzioni per sottrarle al quadro di uniformità nazionale.

«Ma io non credo che il Mezzogiorno stia bene così come sta, tanto meno ritengo che debba rimanere in queste condizioni. Tuttavia, ora si apre una sfida per le regioni del Sud che vanno promosse e aiutate, individuando per ciascuna di esse competenze in grado di valorizzare le potenzialità per lo sviluppo del territorio. Vorrei ricordare che fu grazie al sottoscritto che furono riconosciute le royalty alla Basilicata per l’estrazione del petrolio. Questo è il mio modello operativo».Non c’entra nulla con l’autonomia differenziata. Ma che vi siano regioni meridionali, in primis la Campania, penalizzate dal fondo di riparto sanitario perché si predilige l’applicazione del criterio della popolazione più giovane, senza tener conto di quello della deprivazione sociale e dell’aspettativa di vita, è indegno di un paese civile.

«Lei lo ha detto in premessa: il fondo di riparto non rientra nelle mie competenze. Ma se posso dire la mia, io non avrei promosso un ricorso dinanzi al Tar Lazio come ha fatto la Campania. Certe questioni vanno affrontate in sede di Conferenza delle Regioni o Stato-Regioni per trovare delle soluzioni».

La newsletter del Corriere del MezzogiornoSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui.

4 novembre 2022 | 10:04

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Leggi i contributi

SCRIVI