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Edizione del 20/10/2022
Estratto da pag. 1
Alessandro Barattoni, sulla sconfitta e sul congresso Pd: dobbiamo avere nostra agenda sociale, tenere insieme diritti sociali e civili, dare speranza per il futuro
Barattoni critica Letta e gli errori sulle alleanze, ma non scarica tutte le responsabilità sul segretario. Aspetta di valutare il progetto di Bonaccini prima di schierarsi. Vuole un congresso vero che discuta di tutto a fondo, non solo di leadership
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Barattoni critica Letta e gli errori sulle alleanze, ma non scarica tutte le responsabilità sul segretario. Aspetta di valutare il progetto di Bonaccini prima di schierarsi. Vuole un congresso vero che discuta di tutto a fondo, non solo di leadership

Per Alessandro Barattoni il 25 settembre è stato una specie di 8 settembre. Un disastro. Un trauma per lui che aveva accumulato solo vittorie come segretario. Il Pd ha perso malamente le elezioni politiche mentre a livello locale il centrosinistra ha perso i due collegi uninominali della Camera e del Senato. Un fatto inaudito. Perfino il seggio della Camera, che veniva dato per sicuro, è andato a Fratelli d’Italia per 49 voti. A quattro settimane dal voto, il segretario PD di Ravenna riflette già a mente fredda sui problemi aperti per il PD e si prepara all’imminente congresso, che rischia di essere l’ennesima battaglia sulla leadership lasciando sotto il tappeto i soliti problemi della vita dei dem, ormai lunga tre lustri, sempre piuttosto stentata. Barattoni auspica sia un congresso serio, che affronti tutti i temi aperti – e nell’intervista ne tocca tanti – e non si sbilancia sul futuro segretario. Aspettando che Bonaccini chiarisca qual è il suo progetto.

Segretario Barattoni, cosa è successo il 25 settembre?

“Quello che tanti si aspettavano e che poteva succedere. Credo che la nostra sconfitta non sia nata nelle urne del 25 settembre, ma abbia cause di tre tipi. Alcune cause sono più profonde, altre sono congiunturali e altre sono più specifiche, legate a errori di tattica. Provo a dirne una per ogni tema. La prima causa, quella di tipo più profondo, è di origine culturale. Nel senso che in questo paese dal 1994 ad oggi il centrodestra unito raccoglie circa il 40% dei consensi o poco più. Fra l’altro il 25 settembre il centrodestra ha vinto ma non c’è stato nessun exploit: ha raccolto 12 milioni di voti come nel 2018. Poi di volta in volta, il voto di centrodestra indirizza le preferenze prima a Berlusconi, poi a Salvini e infine alla Meloni.”

In ogni caso si tratta di un progressivo spostamento a destra. Non crede?

“Sì, ma il Salvini del 2018 non me lo ricordo come moderato. In realtà tutto questo è dovuto a una base culturale comune del centrodestra, che ha radici profonde in questo paese, che si parli di tassazione, di intervento o di non intervento dello Stato nell’economia, di gestione dei flussi migratori. Poi ci può essere una differenza di aliquota sulla flat tax tra chi dice 15, chi dice 20 e chi 23%, ma su tanti aspetti questa destra ha un comune sentire. E le posizioni della destra hanno attecchito in profondità nel nostro paese. Poi c’è la ragione congiunturale, che io ritengo sia stata sottovalutata. Mi spiego. Nel 2022 in Europa si è votato la Francia prima e in Svezia poi, con una guerra alle porte dell’Europa e con un’inflazione al 10% legata ai prezzi dell’energia, cose di cui non si sentiva più parlare da decenni. In Francia gli europeisti hanno evitato la sconfitta solamente grazie alla legge elettorale ma non hanno la maggioranza. In Svezia i socialdemocratici hanno perso il governo a favore della destra. In Portogallo e Spagna ci sono partiti di sinistra al governo perché eletti prima della guerra e della crisi energetica. Io credo che le dinamiche internazionali abbiano pesato molto sul voto del 25 settembre e abbiano penalizzato forze europeiste e socialdemocratiche.”

Lei pensa che la guerra della Russia all’Ucraina abbia avuto un peso rilevante. È così?

“Sì. Rispetto all’astensionismo del centrosinistra, il tema della guerra ha pesato molto. Perché su questo punto non c’è stata una vera discussione pubblica e il popolo del centrosinistra ha sofferto. Ogni mattina davanti allo specchio il cittadino si guarda e vive questa sofferenza, perché sa che c’è un aggredito che va aiutato ma sa anche che non possiamo risolvere tutto solo con l’invio
di armi. Giornali e tv non hanno aiutato a capire. Ora dovremo lavorare di più su questo, partecipando alle manifestazioni che ci saranno, ma anche con degli atti concreti. Credo che noi dobbiamo essere quelli che a tutti i costi promuovono il dialogo, difendono l’aggredito dall’aggressore, ma sanno che non potrà esserci un conflitto duraturo in Europa, perché una guerra non può portare nulla di buono e non risolve nulla. Servono pace e benessere nel centro dell’Europa. Dobbiamo lavorare per questo.”

Quali sono invece le ragioni tattiche della vostra sconfitta?

“Le ragioni tattiche riguardano il tema delle alleanze. Credo siano stati commessi degli errori, perché chi ha l’onere e l’onore di guidare il partito di maggioranza relativa di un’eventuale coalizione che vuole vincere le elezioni deve cercare di costruire e tenere insieme un fronte di alleanze credibile. È stato un errore non avere cercato di coinvolgere tutti quelli che il segretario Letta aveva nominato nel suo discorso di insediamento all’Assemblea Nazionale del PD. Dovevano essere eventualmente gli altri a tirarsi indietro. Invece abbiamo posto noi veti in partenza contro i Cinque Stelle e Renzi. Alla fine ne è uscita una coalizione monca. Monca non perché non ci fossero soggetti all’altezza della sfida, anzi, ringrazio tutti quelli che sono stati a fianco del PD, ma perché l’agibilità politica di questa coalizione si è trovata schiacciata sia rispetto all’area liberal riformista di Renzi e Calenda, sia rispetto alle tematiche poste da Conte sull’altro fronte. Ogni giorno subivamo attacchi da tutte le direzioni, mentre il centrodestra ha vinto malgrado i suoi candidati non siano andati nemmeno in giro sul territorio, senza iniziativa politica.”

Ha fatto tutto quel 55% che non ha votato centrodestra, dividendosi.

“L’altra metà del cielo era divisa in tre tronconi e ogni giorno c’erano attacchi degli uni agli altri, sempre all’interno di quello che poteva essere a mio avviso un campo comune.”

Ci sono seri dubbi però sul fatto che il PD potesse tenere insieme Cinque Stelle e Renzi. Dopo che Renzi ha fatto cadere Conte e dopo che Conte ha aperto la strada alla caduta di Draghi. L’alleanza larga non era possibile nella realtà dei fatti, perché gli uni erano irriducibili rispetto agli altri. Non crede?

“Se non ci provi fino in fondo, la coalizione non la costruisci. Se metti dei veti in partenza, fai fatica a ottenere il risultato. Ma come dicevo la sconfitta non è legata solo alla tattica sbagliata sulle alleanze, anche se questa ha avuto un’importanza determinante con la legge elettorale con cui abbiamo votato, quando un terzo dei seggi viene assegnato con il maggioritario nei collegi uninominali. In questo caso devi fare tutto il possibile per contrapporti al 40% del centrodestra e per essere competitivo. Credo che alla fine uno dei problemi risieda nel fatto che non siamo riusciti a far diventare parole, valori e idee comuni quello che abbiamo fatto insieme al governo. L’esperienza del Governo Conte durante la pandemia, che per me è stata positiva, non è stata valorizzata fino in fondo.”

Già, una parte dell’alleanza del secondo Governo Conte ha fatto di tutto per fare cadere quello stesso governo.

“Oggi ci aspetta una crisi sotto alcuni aspetti anche peggiore di quella che abbiamo vissuto durante la pandemia. Io credo che lì bisognasse guardare, alle risposte importanti che sono state date durante la pandemia. Dovevamo metterci tutti insieme e ragionare per fare meglio. Non è stato fatto. Ma fare una campagna elettorale sul tema della fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia senza avere fatto tutto il possibile per mettere insieme tutti quelli che si opponevano e che potevano potenzialmente stare insieme, è stato un errore.”

Di fatto oggi abbiamo tre opposizioni al centrodestra guidato da Giorgia Meloni, con due opposizioni – quella moderata di Renzi e Calenda, e quella di Conte che si sta caratterizzando in senso più radicale – che vogliono tagliare la strada proprio al Pd e ai
suoi alleati. Diventa ancora più difficile ora parlare di alleanze, anche se in politica mai dire mai.

“Io credo che questa sia la lettura corretta di quello che sta succedendo, ma credo che oggi, dopo il voto, parlare di alleanze non serva a molto. Adesso bisogna aprire il capitolo PD. Va fatta una riflessione per provare a delineare un profilo del PD senza guardare troppo al passato ma guardando avanti, perché la pandemia ha stravolto il mondo per una parte di cose e la situazione attuale la sta stravolgendo sotto altri aspetti. In campagna elettorale c’è stato un momento nel quale il PD ha parlato di Jobs Act, Quota 100 o del 110% sulle ristrutturazioni, che sono tre scelte politiche chiave degli ultimi anni, ma non è andato fino in fondo. Invece abbiamo il dovere di fare un’analisi più seria dei risultati prodotti da quelle misure e poi dobbiamo provare ad avere una nuova agenda con le nostre idee per l’Italia.”

A Ravenna il PD ha perso i due collegi uninominali, è una ferita ancora sanguinante. In alcuni comuni, fra cui Cervia che non è un comune da poco, Fratelli d’Italia è primo partito e ha superato il PD. In diversi altri comuni l’alleanza di centrodestra ha superato quella di centrosinistra. Non è un buon viatico per le elezioni amministrative del 2024.

“Nel 2019, quando si è votato nello stesso giorno per le elezioni europee e le amministrative è emersa evidente una dinamica elettorale, cioè un esito diverso fra voto amministrativo e voto politico. Prendiamo per esempio Cotignola: è un comune che avevamo praticamente perso con i numeri delle europee, ma dove abbiamo vinto alle amministrative. E così altrove. Quando si parla di contendibilità delle città, diciamo un qualcosa che vale per qualsiasi città ormai. E quando una città è contendibile puoi vincere o puoi perdere. Nel 2019 siamo usciti dalle elezioni amministrative con quasi tutti i sindaci eletti, perché avevamo una proposta più credibile dei nostri avversari. Per il 2024 dovremo fare la stessa cosa. E dico di più. Visto le sfide che abbiamo davanti, sul tema della fiscalità, del finanziamento dei servizi pubblici essenziali, della gestione dei flussi migratori e della sostenibilità ambientale, vorrei provare a far sì che nello stesso giorno un elettore non debba votare Meloni alle europee e gli uomini e le donne Pd alle amministrative, perché in sede locale questi danno più garanzie. Vorrei che l’elettore votasse Pd anche perché il nostro partito sa dare risposte sull’Europa, sui problemi generali del paese e alle attese degli italiani.”

Già, nel 2024 si voterà anche per l’Europa.

“E il PD alla fine è l’unico partito che anche nel 2019 si dichiarava fortemente europeista, nel simbolo avevamo scritto “PD siamo europei”. Siamo il partito che si è battuto di più con i suoi uomini e le sue donne – da David Sassoli a Gentiloni ad Amendola – perché l’Italia potesse con il Governo Conte ricevere una parte significativa di finanziamenti europei per fare fronte alla crisi nata dalla pandemia, il famoso Pnrr, quando altri invece hanno votato contro.”

Il 25 settembre c’è stata un’onda lunga nazionale che è arrivata fino a Ravenna. Ma qui, nel contrasto a quest’onda, avete sbagliato i candidati?

“Non credo. Il nostro partito ha fatto un’ampia consultazione e una scelta ampiamente condivisa. Abbiamo presentato tre candidate di alto profilo. Che erano già state votate. Che erano già conosciute e questo era un valore aggiunto. Conoscevamo il loro percorso, sapevamo che avrebbero avuto un legame forte con il territorio. Le ringrazio per quello che hanno fatto. Credo ci sia stata un’anomalia in questo territorio rispetto alle doppie candidature: la cosa poteva essere gestita diversamente, visto che sapevamo benissimo che quella del Senato era una sfida impossibile”.

Veniamo al congresso PD. Se ne sentono di ogni, dallo scioglimento del partito al cambio del nome e del simbolo. Secondo lei cosa deve essere questo congresso?

“Io vorrei che fosse una discussione nella quale non si banalizza
quello che è successo. Ho parlato di varie cause della sconfitta. Non vorrei che si parlasse solo di alleanze, senza analizzare anche le radici profonde del risultato, né la situazione congiunturale in cui abbiamo votato. Vorrei che si provasse a tenere insieme tutte le cose, lasciando alle alleanze lo spazio che che gli va dato, nel senso che poi dobbiamo andare a votare anche in quattro regioni fra poco, quindi le alleanze servono. Sono d’accordo sul concentrarci sul PD, però dobbiamo anche sapere che dobbiamo fare delle azioni e dobbiamo mettere in campo dei candidati capaci di aggregare, perché del Pd che va da solo al voto ne abbiamo già avuto abbastanza. Vorrei che si provasse a fare un ragionamento di come nel nostro paese anche l’astensionismo abbia colpito il centrosinistra. È evidente dei dati, anche in Emilia-Romagna e nella nostra provincia sia rispetto alle regionali del 2020, ma anche rispetto a Faenza e Ravenna che hanno votato dopo.”

Letta?

“Non possiamo scaricare le colpe su una sola persona. Letta ha commesso degli errori, ho provato a dirlo prima e dirò ancora, ma credo che nessuno si possa sentire assolto da quello che è successo. Ci sono degli organismi dirigenti che hanno votato delle cose, quindi ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Ora è necessario che il PD si renda riconoscibile ai cittadini per quel partito che può proporre alcune cose, che ha delle risposte rispetto ai tanti problemi che gli italiani hanno davanti. Io credo che il tema di un’agenda sociale nostra sia fondamentale in questa fase.”

Dopo ogni sconfitta, inizia la fase in cui il PD sembra dover rimettere tutto in discussione, poi alla fine non succede mai nulla. Cambia solo il segretario e c’è questa sorta di cannibalizzazione dei segretari, via uno ne arriva un altro e poi un altro e un altro ancora. Sarà così anche questa volta?

“Tutta questa discussione non la vedo. Magari.”

Appunto, se ne parla ma non si fa sul serio.

“Bisogna farla stavolta. Io non ero d’accordo quando ci siamo intestati l’agenda Draghi. Perché ritenevo quel governo fosse un’anomalia, che noi dovevamo sostenere, come ci aveva chiesto il Presidente della Repubblica. Però intanto dovevamo costruire un’agenda nostra, del centrosinistra. Non l’abbiamo fatto.”

A proposito di governi tecnici e di larghe intese: non portano bene al PD. Dopo Monti c’è stata la mancata vittoria di Bersani nel 2013, adesso dopo Draghi questa cocente sconfitta. Perché alla fine li avete pagati sostanzialmente voi i costi dell’impopolarità di quei governi?

“Nel Governo Conte 1 di Cinque Stelle e Lega, nonostante qualcuno avesse il 33% dei parlamentari e qualcuno meno del 20%, la guida su molti provvedimenti fondamentali era chiaramente della Lega, penso ai decreti sicurezza, penso a Quota 100, penso a quando è caduto quel governo. Quando abbiamo fatto il governo noi con Conte dovevamo provare a fare la stessa cosa. A portare i Cinque Stelle verso politiche di centrosinistra. Poi è arrivata la pandemia che nessuno si aspettava e io credo che lì ci sia stata la svolta, con l’elezione della von der Leyen al Parlamento Europeo. Durante la pandemia noi e i Cinque Stelle abbiamo dato risposte importanti al paese. Dopo è caduto Conte ed è arrivato Draghi. Però io non ricordo nessuno che in quel momento dicesse no, bisogna andare a votare subito. Dopo le elezioni del Presidente della Repubblica, il governo aveva iniziato a faticare, non c’era più la spinta propulsiva dei primi mesi. Lì abbiamo sbagliato a non essere protagonisti per indirizzare alcune sfide del governo verso i temi sociali più caldi. Abbiamo pensato che l’amministrazione del governo Draghi sui progetti europei potesse bastare a rispondere ai bisogni, alle ansie e alle preoccupazioni che stavano emergendo in Italia. Cosa che invece non è successa. Tant’è che quei bisogni e quelle ansie hanno cercato risposte da chi è stato sempre all’opposizione di quel governo e da chi si è intestato l’inizio della caduta di quel governo. Io credo che lì sia st
ata sbagliata la lettura che il PD ha fatto del momento storico e delle difficoltà del paese. Avevamo visto un cambiamento di sentimento nel paese, il crescere della tensione e delle paure, fra maggio e agosto-settembre. Quando siamo andati a votare l’inflazione era al 10%, le bollette erano impazzite, la guerra era diventata un fatto duraturo mentre gli stipendi sono fermi da 30 anni. Su questi aspetti si è prodotta una rottura con un pezzo di società.”

Parliamo del partito ZTL: se n’è parlato molto in questi ultimi anni e lo vediamo anche qui in Romagna. In quasi tutti i comuni più piccoli la destra e più avanti della sinistra e così in buona parte delle campagne. Perché il PD è sempre meno radicato e rappresentativo fra le aree più marginali?

“Questo è un tema che si ripropone da anni, che c’è anche fuori dall’Italia, nel senso che quando ci fu il voto sulla Brexit in Inghilterra, le dinamiche furono le medesime. Tutto questo interroga la sinistra e i partiti laburisti o socialdemocratici. Ci sono due temi fondamentali qui: uno di comunità e uno di servizi. Una volta i paesi e i piccoli comuni erano quelli nei quali si vivevano al massimo le esperienze di comunità a tutti i livelli, dal consumo al volontariato, dalle sagre alla valorizzazione del territorio. Tant’è che qui in Romagna abbiamo avuto sempre un tessuto associativo importantissimo.”

Poi cosa è successo?

“È successo che la società è cambiata, si è andati verso una società di consumo e più individualista. E questo ha portato anche a un cambiamento nelle abitudini. Tutti noi siamo sempre più chiusi nelle nostre case, parliamo e ci confrontiamo sempre meno con altre persone sui problemi, tendiamo a confermare le nostre idee, scrivendole da qualche parte più che essere disposti a discuterle. Insomma, un cambiamento della società e un cambiamento nei servizi. Ecco il secondo aspetto. Abbiamo avuto tagli alla spesa pubblica, tagli ai finanziamenti agli enti locali, tagli alla sanità, tagli dei soggetti non pubblici ma che erogano servizi, penso per esempio alle Poste. Quando chiude l’ufficio postale da qualche parte, o quando chiude una caserma, quando non c’è più il medico di base in una frazione, si fa strada l’idea che tu sei diventato un cittadino di serie B, che non ti difende più nessuno. Quindi il partito che è stato cardine di quel tessuto sociale per decenni è quello che viene punito con più facilità. Mentre chi si oppone al sistema viene premiato.”

Resta il fatto che alcune di quelle decisioni in relazione a tagli e chiusure sono state prese anche dal PD che governava a livello locale, a livello regionale o nazionale, a volte a tutti i livelli.

“Tendo sempre a non dimenticare che il PD e il centrosinistra sono arrivati al governo per rimediare a situazioni di debito pubblico o di gestione della finanza pubblica o di rating del paese e spread in grande difficoltà, tutte situazioni lasciate dal centrodestra. Mai successo che fossimo chiamati a governare con una situazione economica e finanziaria florida.”

Questo è vero. Ma faccio l’esempio della sanità. Per anni sulla sanità hanno tagliato tutti, anche voi, in particolare sulla medicina territoriale, per andare verso la specializzazione in pochi ospedali. Adesso si sta tornando indietro, perché ci si è accorti con la pandemia che si era finiti su una strada sbagliata. In tutta la fase della fine degli anni ‘90 e dei primi anni 2000 si sono chiusi i piccoli ospedali, adesso si sta dicendo che servono le Casa della Salute e gli Ospedali di Comunità. Indietro tutta.

“Sulla chiusura dei piccoli ospedali, possiamo solo ringraziare gli amministratori che si sono fatti carico di quelle scelte, perché oggi noi avremmo solo strutture fatiscenti, operatori allo stremo e un’organizzazione molto più complicata da gestire. Le Case della Salute non diventano dei piccoli ospedali. Certo bisogna provare a mettere in campo risposte diverse: alcune nei nosocomi, altre nei pronto soccorso, altre nel territorio e a domicilio. Però che il sistema sanitar
io nazionale non sia stato sufficientemente finanziato anche quando il PD era al governo, questo non posso negarlo. Così come ci sono dei ritardi nella messa in campo di risposte per la medicina territoriale. A proposito di ospedali, siamo l’unica provincia in Romagna dove ci sono ancora tre ospedali. Credo che nella sanità pubblica dobbiamo lavorare perché ci siano migliori risposte, migliore organizzazione, migliore presa in carico, un modo di lavorare più umano di oss, infermieri e professionisti.”

Cittadini anziani, persone fragili, deboli e marginali, persone che hanno paura. Le paure di cui parlava lei prima. Paura della guerra. Paura della pandemia. Paura della crisi economica. Paura della microcriminalità. Paura degli stranieri. A queste paure il centrosinistra e il PD faticano a dare una risposta. Un solo esempio: rispetto alla paura verso gli stranieri, l’impressione è che il PD faccia molta retorica e proposte limitate come lo ius soli, ma poca battaglia delle idee per far capire agli italiani che gli stranieri sono necessari, perché altrimenti fra 30-40-50 anni l’Italia non sarà più un paese di 60 milioni di abitanti ma di 50 o 40 milioni. Con buchi enormi per l’economia e il welfare.

“Io credo che uno dei titoli che si può dare a queste lezioni è che la paura ha preso il sopravvento sulla speranza e quindi concordo con alcune di queste cose. Paura in un paese che invecchia ed è più fragile. Questo è un tema che ha riflessi demografici. Come sul tema dei diritti – bisogna sempre tenere insieme diritti civili e diritti sociali – anche quando parliamo di aspetti demografici e di flussi migratori, dobbiamo tenere insieme tutto: crescita economica, tenuta del sistema di welfare, misure in favore delle famiglie, gestione di dinamiche lavorative, diritti delle persone che scappano da paesi dove c’è guerra o fame. Altrimenti diamo solo risposte parziali, senza spiegare mai tutte le complessità della faccenda. Noi in campagna elettorale ogni volta che incontravamo un’associazione di categoria o un’altra, tutti chiedevano di cambiare la Bossi-Fini sull’immigrazione perché c’è bisogno di manodopera, ma poi quando facevamo un’assemblea in un paese nessuno si alzava per dire che all’economia servono più immigrati. In Emilia-Romagna nel 2010 nascono 41.000 bambini, nel 2020 30 mila: un 25% in meno.”

E non si può dire che qui ci siano brutte condizioni per mettere al mondo figli.

“Appunto. È una regione nella quale i servizi per i bambini zero sei anni sono fra i più sviluppati d’Italia e d’Europa. È una regione nella quale c’è un reddito fra i più alti e anche meglio distribuiti. Noi quindi dobbiamo tenere insieme diverse cose: più asili e materne, più reddito aggredendo anche da noi il lavoro povero, ma c’è anche un tema di speranza. Perché le persone non mettono al mondo dei figli? Perché c’è la convinzione che i figli staranno peggio dei genitori. Per contrastare questo, dobbiamo mettere in campo un progetto di rassicurazione sul piano dell’economa, del welfare, dei servizi, dei diritti. Non solo dobbiamo raccontare che il mondo può andare meglio, ma dobbiamo agire per dimostrare nel concreto che può essere così. E sul tema dell’immigrazione dobbiamo dire che la Bossi-Fini va cambiata, che sulla gestione dei flussi bisogna fare dei passi davanti, che chi è già qui deve ricevere le risposte sull’integrazione necessarie, ius soli ma non solo. Ma allo stesso tempo servono nuove politiche di welfare e di sostegno per le famiglie, e ancora c’è il tema del lavoro e del reddito, perché altrimenti corriamo il rischio di parlare due lingue diverse rispetto ai nostri concittadini. Se due cose che non scegliamo – come la famiglia e il luogo in cui si nasce – finiscono per determinare poi il resto della vita, vuol dire che c’è un problema. Cioè se l’ascensore sociale e la possibilità di cambiamento e miglioramento s’inceppano allora c’è il nostro fallimento. Su questo noi, la sinistra, deve avere delle proposte e delle politiche, se no non facciamo il nostro mestiere.”

Veniamo al vostr
o rapporto con i lavoratori: secondo l’esame dei flussi elettorali gli operai hanno votato più per Fratelli d’Italia che per voi. In certe aree del sud più per i Cinque Stelle e meno per il Partito Democratico. Ma perché non riuscite a parlare più con gli operai? Volete essere per davvero un partito laburista o no?

“È un tema che si ripropone da almeno 15 anni. Oggi c’è un problema di grande diversificazione del mondo del lavoro, di lavoro povero fatto non solo di operai ma anche di piccole partite iva. In campagna elettorale, come ho già detto, a un certo punto è uscita la dichiarazione di Letta sul Jobs Act. Io credo che dovremmo provare a fare un’analisi profonda del mercato del lavoro, su come è cambiato dal Jobs Act in poi. E non solo per via del Jobs Act ma per quello che è successo nel mondo del lavoro negli ultimi anni. Il Jobs Act s’inserisce in un percorso di liberalizzazione iniziato negli anni ‘90 con l’idea di fondo che l’economia fosse in crescita e bisognasse rendere più flessibile il lavoro in entrata e in uscita per favorire lo sviluppo delle forze produttive e il benessere diffuso.”

Ma non è andata così. È arrivata la precarietà di massa.

“Sì, e a questo fenomeno se ne sono aggiunti altri. Il tema dei giovani italiani che vanno all’estero, ormai strutturale, quello delle dimissioni volontarie dal lavoro nato dopo la pandemia, il tema del lavoro povero per cui anche due persone che lavorano rischiano di non arrivare a fine mese. Poi noi siamo passati in un anno dalla richiesta di sblocco dei licenziamenti nel post pandemia agli annunci che le aziende non trovano più il personale specializzato necessario. La dico così. Il Governo Conte quando è arrivata la crisi del Covid ha messo in campo una serie di misure per salvare le aziende e i posti di lavoro. Non ha fatto come Berlusconi, che quando arrivò la crisi Lehman Brothers nel 2008 non mise in campo alcuna misura sociale di contenimento. Con le misure prese dal governo giallo-rosso siamo riusciti invece a tutelare i lavoratori, non tutti purtroppo, ma la maggior parte sì. Ebbene, gli esponenti del PD non hanno rivendicato o difeso il blocco dei licenziamenti o il blocco degli sfratti e alcune misure di ristoro per le attività produttive e per le persone. Non capisco perché.”

In questa campagna elettorale le prime due cose che ho sentito dire da Letta sono state la proposta del prestito ai giovani e quella dello ius scholae, quando tutti sapevano che il problema principale delle famiglie italiane in quel momento era riuscire a pagare le bollette. Ho subito pensato che quelle proposte erano eccentriche e che il PD avrebbe perso le elezioni.

“Aggiungo che a un certo punto il Governo Conte 2 fece due provvedimenti, la sospensione delle rate dei mutui e un fondo liquidità per prestiti garantiti dallo Stato. Io credo che in quel momento si diede un segnale preciso agli italiani: malgrado la pandemia che ci è piovuta addosso, lo Stato c’è. Purtroppo in questa campagna elettorale sia sul tema del lavoro sia sul tema delle bollette questo messaggio non è arrivato. Si è detto mettiamo un prezzo al tetto del gas, ma lasciando ai cittadini l’impressione che ognuno dovesse rimboccarsi le maniche da solo. Poteva arrivare un tornado e non si sapeva come affrontarlo. In una situazione eccezionale servono risposte eccezionali. Ho già fatto due o tre esempi di un’agenda sociale che il PD avrebbe dovuto intestarsi e portare avanti. Per esempio, se di fronte al caro energia diciamo che sui mutui si paga solo la quota interessi e non si rimborsa la quota capitale per due anni, poi fra due anni si riparte, per tante persone questo vuol dire poter respirare.”

Parliamo di diritti. Ha già detto prima che vanno tenuti insieme diritti civili e diritti sociali. È evidente che però non ci siete riusciti. Fra l’altro questa accusa vi viene lanciata dal centrodestra. Alberto Ferrero qualche settimana fa mi ha detto che il Partito Democratico ha smarrito i diritti sociali, parla solo di diritti civili, mentre la gente è interessata
alla sicurezza economica, sul lavoro, in casa e non s’interessa per niente a questioni come lo ius soli?

“Credo che noi dobbiamo continuamente parlare di entrambe le cose. Lo dobbiamo fare perché ne abbiamo la capacità e perché è giusto. Fa specie sentire qualcuno che ha tutti i diritti, dire che i problemi di chi ne ha di meno sono poco importanti. Ferrero dovrebbe provare a essere nei panni di chi ogni giorno vive discriminazioni o soprusi o attacchi. Dico a Ferrero che intercettare un vento è più facile che governarlo per mettere la barca nella direzione giusta. Fra l’altro, di diritti sociali la destra non parla. Alla fine l’impostazione del centrodestra – che è comune in Francia, in Svezia, in Italia, ovunque – è quella più mercato e meno stato, più finanza e meno politica. Io ho detto alcune misure che avrei sponsorizzato maggiormente in campagna elettorale, e se lui o la sua parte sono d’accordo sulla sospensione dei mutui, sugli acquisti collettivi di energia in Europa e su prezzi calmierati io sono contento. Vuol dire che ha cambiato idea. Perché di fronte all’altra crisi gravissima del 2008, quelle cose il centrodestra non le ha fatte e il paese stava andando alla deriva. Il mercato, soprattutto oggi, produce speculazioni e distorsioni che vanno corrette. La destra ha sempre detto che bisogna lasciare mano libera al mercato. Vedremo cosa vorrà o saprà fare adesso.”

La prima donna premier di questo paese sarà Giorgia Meloni, una leader di destra con una mentalità e una cultura di destra, fondamentalmente antifemminista. Un bel paradosso per voi che vi siete sempre battuti per le quote rosa, ma che stavolta avete eletto meno donne che in passato.

“Mi rendo conto per primo che a volte è difficile per una donna, per come è strutturata la politica, per i tempi della politica. È difficile mettere insieme la vita politica, le riunioni, la vita, la presa in carico e la cura che tante donne devono dedicare ancora alla famiglia, i figli, i genitori, i nonni e poi c’è il lavoro. In questo paese la cultura per la quale i lavori di cura e di presa in carico delle fragilità spettano più alle donne è una cosa radicatissima. È una mentalità sbagliata che riguarda soprattutto gli uomini. Gli uomini dovrebbero capire che non fanno un favore quando danno una mano: se si prendono carico per la loro parte, fanno solo il loro dovere. Tolto questo macigno, credo che le donne abbiano spesso più capacità e anche più empatia in politica di tanti uomini. Noi abbiamo fatto una scelta coraggiosa candidando tre donne. Purtroppo il meccanismo della doppia candidatura è stato usato soprattutto per far scattare degli uomini. Comunque, sul tema del femminismo serve una riflessione, perché ha vinto la Meloni malgrado una campagna elettorale su temi anti-femministi: questo significa che a livello culturale i diritti delle donne faticano ad emergere a tutti i livelli e anche nel campo del centrosinistra. Tant’è che l’unica leader riconosciuta nel nostro campo è Emma Bonino.”

Barattoni, lei appoggerà Bonaccini segretario come stanno facendo in molti? Auspica che tocchi a lui la guida del PD?

“Auspico prima di tutto un congresso che possa andare alla radice delle cose, come ci siamo detti. Stefano Bonaccini per fortuna e meritatamente è il Presidente dell’Emilia-Romagna. Credo che abbia dimostrato grandi doti di amministratore e di gestione dei problemi oltre che essere capace di risposte innovative. Aspetto di conoscere i dettagli del suo progetto e poi valuterò. Spero per lui e per tutti che prima però ci sia una fase di analisi della società e di nuove risposte che il PD deve dare. Perché il rischio per lui come per altri è che potrebbero essere poi appoggiati da tanti capi corrente che non vedono l’ora il giorno dopo le elezioni di dire che era tutta colpa del segretario.”

Poteva essere già la prima, ma tengo per ultima questa domanda. Che cos’è per lei e cosa deve essere il PD del futuro?

“Il PD è uno strumento. Non è un fine. La sinistra e il centrosinistra esistono in natura com
e orientamento culturale e dell’opinione pubblica, mentre il PD no. E quindi lo strumento PD deve essere o diventare qualcosa di utile per tutte quelle persone che si sentono di sinistra e centrosinistra e inoltre deve svolgere anche una funzione nazionale rispetto a quelle che sono le sfide per il futuro del paese. Mi auguro che il PD possa essere quel partito che traguarda le sfide dell’oggi nel futuro. Cioè dobbiamo essere in grado di far capire che il futuro noi possiamo indirizzarlo, non c’è un destino già scritto per le persone, e non c’è un destino già scritto neanche per il nostro paese. Penso che il PD debba capire e intercettare i cambiamenti nel mondo del lavoro e battersi per la dignità del lavoro e l’affermazione nel lavoro. Per quanto riguarda gli altri servizi – come la scuola e la sanità – dobbiamo essere un partito che si prende cura di tutti con risposte universalistiche, che però tendono ad avere un occhio di riguardo sempre per i più deboli. Nel PD che vorrei, infine, dobbiamo dire basta ai bonus. In un mondo di divari crescenti, i bonus cristallizzano le disuguaglianze, sono a carico di tutti e spesso non risolvono i problemi in maniera organica. Ormai ne abbiamo le prove, che si parli di monopattini, di ristrutturazioni o altro. Proviamo ad aggredire le disuguaglianze in radice, invece che distribuire bonus.”

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Invito il sig.Barattoni a farsi un giretto x bar e osterie dove si può ascoltare il pensiero dei suoi elettori!!

intanto se vuoi dialogare concretamente con chi si reca al seggio, si deve essere piu compatti nelle interviste, oppure dividerle.

passiamo alla sconfitta, non si perde se non si partecipa alla competizione

la legge elettorale che avete firmato voi IMPONEVANO alleanze( forse non l avevate capita?)

secondo ne un congresso non risolve nulla.

ha ragione la BINDI è da sciogliere e partire da capo

questo partito non c è nullaq da recuperare

Le solite risposte piene di niente. Dopo che il PD ha perso i due collegi uninominali, nessuno si è fatto una semplice domanda: MA QUANTE CAZZATE ABBIAMO FATTO?

Se volete inizio io un elenco, poi proveranno i lettori, se credono, a completarlo: avete tagliato i posti letto e aumentato gli autovelox. Avete preso in giro i cittadini stremati dai furti che chiedevano disperatamente sicurezza. Avete parlato solo di Ius Soli e dei lavoratori italiani ve ne siete fregati. Poi non parliamo del Jobs Act, che è un provvedimento che nemmeno Berlusconi aveva avuto il coraggio di emanare.

Vi siete condannati da soli all’estinzione. Non lamentatevi, ve la siete cercata.

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