ilmattino.it
Dir. Resp.
Tiratura: n.d. - Diffusione: n.d. - Lettori: 368120
Edizione del 04/10/2022
Estratto da pag. 1
Elezioni 2022, Pd flop al Sud: così i dem hanno perso la sfida tra risse e paracadutati
Se il problema del Pd fosse solo la poca attenzione al Sud, non si spiegherebbe la vittoria della Meloni che a Napoli, nel comizio finale, apre così: «Non sono meridionalista». Se...
Se il problema del Pd fosse solo la poca attenzione al Sud, non si spiegherebbe la vittoria della Meloni che a Napoli, nel comizio finale, apre così: «Non sono meridionalista». Se il problema fosse solo quello dei paracadutati non si spiegherebbe come a Marsala vince Marta Fascina, moglie del Cavaliere, che lì non ha mai messo piede contro un dirigente democrat siciliano come Antonio Ferrante. Mentre a Salerno perde Fulvio Bonavitacola, il vicegovernatore, dove è stato vice sindaco e parlamentare per una ventina d'anni anni contro Pino Bicchielli, andato via invece da quella città giusto 30 anni fa. E così non basta (solo) il reddito per spiegare la vittoria al Sud dei grillini. Insomma nel tracollo democrat nel Mezzogiorno (più che al Nord) ci sono una serie di cause ancora tutte da studiare. Di certo il partito di Enrico Letta rimane schiacciato ovunque. Perché se Fdi primeggia nelle 12 (su 19) regioni del Nord, in Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia primeggia l'M5s. Anche se il Pd, rispetto al 2018, mantiene quasi ovunque più o meno le stesse percentuali conservando uno zoccolo duro solo nelle grandi città del centro Nord (23,5% a Roma, 23 a Milano, 24,38% a Torino). E così, dati alla mano elaborati dall'Istituto Cattaneo, i voti Fdi del Nord vengono da Fi e Lega mentre al Sud arrivano anche dall'elettorato del centrosinistra. «Le città del Mezzogiorno, in particolare Napoli, si caratterizzano per una mobilità elettorale elevata e una fedeltà partitica abbastanza debole: in questo caso i numeri in arrivo dal centrosinistra (ad Fdi, ndr) sono in numero maggiore. E così a Napoli i voti alla Meloni arrivano da un 27 per cento di chi aveva votato Pd nel 2018, del 7 a Salerno e del 35 a Catania. Mentre, sono sempre dati dell'Istituto Cattaneo, il flusso dei voti verso Azione ha coinvolto tra il 10 e il 20 per cento dei voti democrat del 2018. E questo è avvenuto specialmente nelle città del Nord. 



APPROFONDIMENTI

LO SCENARIO

Pd, ressa per sostituire Letta: «Non facciamo X Factor»....

L'INTERVISTA

Michele Emiliano e il rilancio del Pd: «Servono dirigenti del...

LA POLITICA

Pd Napoli, tempi più lunghi per i congressi: Sarracino...

Con scenari prettamente locali che al Sud hanno amplificato i fenomeni di voto altrove anche se il Pd ha mantenuto percentuali simili al 2018. Quasi ovunque. Come in Basilicata dove il partito di Letta passa dal 16,38 del 2018 al 15,18. Eppure anche qui le tensioni e i veleni si sono amplificati sin dal giorno delle candidature con Marcello Pittella, ex governatore (indagato e poi assolto), che molla il Pd perché non in lista e passa con Azione. È uno scontro fratricida tra quest'ultimo e Vito De Filippo, anche lui ex governatore e in corsa con il Pd dopo un passaggio (siamo nel 2020) in Italia Viva. Il risultato? Entrambi non sono eletti e Pittella si può consolare di aver fatto volare il suo nuovo partito al 10 per cento.  In Campania, a guardare solo le percentuali regionali ci sarebbe quasi da gioire: si passa dal 12,80 al 15,40 ma la crescita è troppo bassa. Perché il partito di Letta non conquista nemmeno un collegio uninominale e riesce ad eleggere solo i capolista nel proporzionale. Con Valeria Valente, senatrice uscente, che si salva con l'elezione in Puglia. Non c'è quindi l'effetto traino con il governatore De Luca che vede tutti i suoi fedelissimi sconfitti nei collegi sull'asse Salerno-Avellino. Con il Pd che frana nella provincia di Salerno a favore di Fdi e crolla a Caserta, Avellino e Benevento. In mezzo, anche qui, una lotta fratricida tra i democrat: il presidente del consiglio regionale Gennaro Oliviero e il parlamentare uscente Umberto del Basso de Caro si tirano candidamente fuori dalla contesa elettorale nei loro territori, rispettivamente in Terra di Lavo
ro e nel Sannio, perché contro il compagno di partito Stefano Graziano (che invece è eletto). In Puglia, invece, un piccolo balzo del Pd che passa dal 13,41 al 16,28 ma non basta affatto (risulta terzo partito dopo Fdi ed M5s). Eppure qui lo scenario era diverso: i democrat governano in Regione con i grillini e il Pd, con Letta, si era speso molto lanciando proprio da Taranto il Manifesto per il Sud. Coinvolgendo sia il governatore Michele Emiliano che il collega campano Vincenzo De Luca. Emiliano in queste ore comunque insiste sulla crescita di tre punti del suo partito ma i segretari provinciali sono in rivolta e sperano ora nel sindaco di Bari Antonio Decaro ansioso di scalare la leadership del Nazareno. Ma la situazione più esplosiva è in Sicilia nonostante il partito non si sia mosso di un millimetro dal 2018 (si passa dall'11,17 all'11,25). Ma qui la catastrofe delle politiche collima con le regionali vinte dal centrodestra e segue una lunga sequenza di sconfitte che partono dalle amministrative di Palermo. Per questo ora si chiede la testa del segretario regionale Anthony Barbagallo. «Non ho nessuna intenzione», ha fatto sapere qualche giorno fa. Mentre nel Pd siciliano cercano di capire almeno cosa farà: se opterà per la poltrona da deputato o quella da consigliere regionale, essendo stato eletto in entrambi i casi. «Sarà una scelta approfondita e ponderata», ha spiegato lui. Prendendo ancora del tempo. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA