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Edizione del 01/10/2022
Estratto da pag. 1
Tutti gli errori della Lega. Ma ora ha davvero senso un cambio di leadership?
Roma, 1 ott – Il risultato elettorale raccolto dalla Lega alle recenti elezioni rappresenta il dato maggiormente fallimentare della segreteria di Matteo Salvini. Ai tempi della sua elezione a leader di partito, il Carroccio era dato nei sondaggi al 4%, fattore che concede statisticamente tutt’oggi un elettorato doppio rispetto a quello di quasi 10 anni fa. Tuttavia, appare evidente la necessità di ricordare come in questo decennio al vertice Salvini sia riuscito a rendere la Lega un partito nazionale, portandola al governo prima e poi al successo senza precedenti del 34% raccolto alle europee del 2019, dove in regioni d’Italia storicamente ostili, come la Campania, raccolse il 24% dei voti.
Sono passati appena tre anni, che appaiono un secolo in politica e hanno profondamente ridotto il peso elettorale del partito, evidenziando degli obiettivi errori di Matteo Salvini, compiuti nell’ambito delle scelte e della comunicazione politica (il suo indiscusso asso nella manica fino a poco tempo fa). Prima la caduta provocata del governo Conte I, poi l’assenza di proteste verso le restrizioni immense del primo e secondo lockdown, infine l’entrata nel governo Draghi, il vero punto di non ritorno per la perdita di credibilità del carroccio. Quella “svolta” istituzionale, presentata ai cittadini come l’avvenuta maturazione di un partito storicamente ostile alla tecnocrazia, tanto da essere l’unico a votare contro la fiducia all’allora governo Monti, non soltanto non ha ripagato elettoralmente, ma ha provocato un travaso di voti anche al nord verso Fratelli d’Italia e uno scisma sotterraneo a via Bellerio. Infatti, è risaputa l’avversione di Salvini verso l’entrata nel governo guidato dall’ex presidente della Bce, di fatto imposta dalla fazione interna dei governatori del Nord, su invito delle classi produttive ed imprenditoriali venete, lombarde e friulane.
Tuttavia, come denunciammo a lungo al momento della formazione del governo Draghi, (quasi) nel silenzio generale della gran parte dei media, imporre delle scelte e una linea politica in un governo composto dal Partito Democratico e pensato dalla presidenza della Repubblica sarebbe stato impossibile. Non a caso, la Lega si è trovata obbligata ad appoggiare misure lesive della libertà dei cittadini e del suo stesso elettorato produttivo, come il green pass, l’obbligo vaccinale, i bonus a pioggia, la proroga del reddito di cittadinanza fino al 2029 e l’aumento sia pure surrettizio della tassazione. Un mix fatale che Salvini ha provato a disinnescare impostando una comunicazione ostile alle decisioni prese dai suoi compagni di partito in Parlamento e nel consiglio dei ministri: scelta rivelatasi un boomerang, perché apparsa irrisoria nei confronti degli italiani e ben sfruttata da Giorgia Meloni, che dall’opposizione ha potuto vantare un atteggiamento coerente ed inglobare tanti voti anche nelle regioni storicamente care alla Lega.
Ora, già dal clima creatosi nell’immediato post voto, pare essere giunto il momento di una resa dei conti nel carroccio. Numeri congressuali alla mano, la leadership di Salvini parrebbe poter essere messa difficilmente in discussione, ma è da considerare che il peso politico e storico ricoperto da esponenti come Luca Zaia, Giancarlo Giorgetti e Massimiliano Fedriga nel partito potrà giocare un ruolo importante in vista del dibattito interno. Tuttavia, quel che siamo portati a domandarci è quanto realmente un cambio di leadership ai vertici leghisti potrebbe risultare utile al partito. Esistono altre figure capaci di trascinare la forza politica in campagna elettorale come ha dimostrato Salvini in passato? I voti persi anche al Nord in favore di Fratelli d’Italia potrebbero realmente essere riconquistati, ora che Giorgia Meloni rivestirà l’incarico di premier? La parabola discendente del carroccio appare difficile da stoppare, anche perché nessuno in quel partito può giovarsi di un “elettorato di affezione” simile a quello di Forza Italia, dove Silvio Berlusconi riceve ancora dignitose percentuali elettorali soltanto per l
’affetto di alcuni milioni di cittadini italiani. Pertanto, l’assenza di un dibattito serio che porti a un cambio di rotta all’interno della Lega rischierebbe di incrementare la sfiducia nell’ormai ristretto elettorato e, di conseguenza, di produrre ulteriore perdita di voti in favore di altre forze politiche o dell’astensionismo.
Tommaso Alessandro De Filippo
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