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Dir. Resp.
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Edizione del 27/09/2022
Estratto da pag. 1
E’ un Veneto diverso quello che si è svegliato dopo la notte elettorale del 25 settembre.
Un Veneto in cui sono saltati equilibri consolidati da decenni, con la Lega che implode dalle sue fondamenta nella terra che vide le origini della Liga Veneta, quella del “Leòn che magna el teròn”.
Certo non è andata meglio nelle altre Regioni di quella che fu la “Padania” bossiana, con il Partito della Meloni che doppia la Lega anche in Lombardia, e addirittura arriva al triplo dei voti in Friuli Venezia Giulia.
Ma si sa che ognuno sente di più le proprie ferite, ed è quindi comprensibile lo sconcerto di dirigenti e militanti veneti di fronte ad un risultato che per la Lega di Salvini ha il sapore di una Waterloo.
La debacle elettorale è addirittura sconcertante se si confrontano i dati odierni con quelli del marzo 2018, solo quattro anni fa, quando in Veneto, per il Senato, la Liga aveva ottenuto il 31,78 per cento, con Forza Italia al 10,86 per cento, e Fdi solo al 4,28 per cento, praticamente un ottavo della Liga.
Per la Camera dei Deputati, nella circoscrizione Veneto 1 proporzionale, il centrodestra era al 46,70 per cento e la Lega da sola aveva il 31,94 per cento, mentre i Fratelli d’Italia erano al 3,73 per cento, nove volte in meno.
Ma si fa ancora più imbarazzante il raffronto con le Regionali del 2020 (solo due anni fa).
Il 25 settembre 2020 il GovernatoreLuca Zaia aveva ottenuto quasi il 77% dei voti: con la lista Zaia presidente al 44,57 per cento, e la Lega di Salvini al 16,9 per cento (FdI arrivò al 9,6 per cento).
Di fronte ai risultati di domenica scorsa in Veneto, ed in quel Nord che è sempre stato la ridotta della Lega, confesso che mi sarei aspettato che Salvini nella sua prima conferenza stampa facesse un discorso del tipo: “Ragazzi, le cose non sono andate come speravo, il progetto della Lega nazionale non è decollato, e poiché mi rendo conto che evidentemente qualcosa si è rotto fra me e la società ed il mondo produttivo del Nord, andiamo a congresso in tempi rapidissimi, e fin da ora rimetto il mio mandato di Segretario a disposizione del Partito”.
Qualcosa di simile a quello che ha fatto ieri Enrico Letta per spiegarmi meglio.
Ed invece il Salvini che si è presentato alla stampa nella tarda mattinata di lunedì 26 ha cominciato vantando i 100 parlamentari leghisti previsti nel nuovo Parlamento, ha ammesso che il risultato non lo soddisfa (sic!), ma rispondendo da una domanda relativa al suo ruolo futuro ha detto: “Domani si radunerà il consiglio federale, ascolterò i commissari e valuteremo i dati. Dimissioni? Non ho mai avuto così tanta voglia di lavorare grazie ai militanti leghisti che vengono prima di qualche eletto da 15mila euro al mese. Il mio mandato è in mano a 20 mila militanti, non a dei consiglieri regionali e a qualche deputato”.
Il che equivale a dire: “non è successo nulla, domani è un altro giorno, e si ricomincia come sempre”.
Immagino lo sconcerto della dirigenza veneta della Liga, che era comunque trapelato già nelle prime dichiarazioni post voto.
Come Gianantonio Da Re, eurodeputato trevigiano, che senza giri di parole ha dichiarato che “Questa disfatta ha un nome e cognome, Matteo Salvini. Dal Papeete in poi ha sbagliato tutto, ha nominato nelle segreterie delle persone che hanno solo ed esclusivamente salvaguardato il proprio sedere. Quindi si dimetta, passi la mano a Massimiliano Fedriga e fissi in anticipo i congressi per la ricostruzione del partito”.
O come il vulcanico assessore regionale Roberto Marcato che ha argomentato impietosamente: «26/09/2022 cronaca di un disastro annunciato. Stiamo parlando di un tracollo vero e proprio. Un tracollo di consensi che così repentino non si era mai visto: Fratelli d’Italia ci raddoppia e ci sorpassa persino il partito Democratico. Da forza ubiquitaria siamo ora la terza forza in Veneto.
Le riflessioni di Marcato assumono anche toni drammatici: “Io ho il cuore a pezzi e sono arrabbiato. Ho il
cuore a pezzi perché il mio partito ha avuto questo risultato e perché avevo detto quali erano i rischi, lo avevo detto da anni e da mesi, ma sono rimasto assolutamente inascoltato»
E il Doge?
Sicuramente dopo una notte di riflessione piuttosto travagliata, Luca Zaia ha deciso di esprimere la sue valutazioni con queste parole : «Il voto degli elettori va rispettato, perché, come diceva Rousseau nel suo contratto sociale, `il popolo ti delega a rappresentarlo, quando non lo rappresenti più ti toglie la delega´. È innegabile come il risultato ottenuto dalla Lega sia assolutamente deludente, e non ci possiamo omologare a questo trovando semplici giustificazioni». Aggiungendo: “È un momento delicato per la Lega, ed è bene affrontarlo con serietà perché è fondamentale capire fino in fondo quali aspetti hanno portato l’elettore a scegliere diversamente”.
I toni di Zaia sono sicuramente contenuti, com’è un po’ nel suo stile, ma ha ribadito con fermezza che la sua linea Maginot è e rimane l’autonomia: «Resta per noi un caposaldo, sul quale non transigeremo minimamente nei rapporti con il prossimo Governo. Questo nel rispetto degli oltre 2 milioni di veneti che legittimamente e democraticamente sono andati a votare il referendum”.
Un segnale forte per il Capitano, che dopo il pessimo risultato di domenica avrà sicuramente meno forza per trattare l’autonomia, su cui spingono le Regioni del nord, con una Giorgia Meloni che appartiene ad una tradizione di destra sociale e nazionalista, tendenzialmente scettica sul decentramento dei poteri dello Stato.
Ma non penso che Zaia, Fedriga e anche Fontana stavolta possano fare finta di niente, perché la base della Lega ribolle, e non possono non farsene interpreti data la loro vicinanza con il territorio.
Oggi nella Lega ci sono sicuramente più orientamenti.
Ci sono i nordisti duri e puri, quelli che pur di tornare alla Padania, ai riti dell’ampolla cari a Bossi, alla contrapposizione con i “teròni”, a vedere ancora garrire sui vessilli il verde Sole delle Alpi, si farebbero battezzare con l’acqua del Po. Certo si tratta di meri militanti, che magari si limitano a discutere nei bar, ma che fanno opinione nella base leghista, e fanno sentire le loro frustrazioni ed il loro malcontento su quadri e dirigenti del partito.
Poi ci sono i Governatori, gli Assessori, i Sindaci, vale a dire la classe dirigente degli Enti locali, che ha inevitabilmente una visione politica di tipo “governista”, e si pone quindi come interprete degli interessi del Nord produttivo che viene prima di ogni cosa, e che vede appunto nell’autonomia regionale l’obiettivo più alto della propria missione politica.
Poi ci sono i fedelissimi di Salvini, quelli che grazie al Capitano hanno via via occupato i posti di comando, gli scranni in Parlamento, i posti da Commissario, quelli che qualcuno definisce “cerchio magico”, e che non possono proprio per questo abbandonare il Capo, perché una sua eventuale caduta sarebbe anche la loro caduta.
Immagino non sarà agevole per Salvini riuscire a fare sintesi fra queste visioni diverse, e tenere insieme mondi che fanno sempre più fatica a dialogare.
Ma credo che prima o poi dovrà realizzare che un “ritorno al Nord” è inevitabile per la sopravvivenza del Partito, per il semplice motivo che al Sud lo spazio politico sarà sempre più ridotto, anche perché la Lega Sud da domenica esiste già, ed è il rinato M5S di Giuseppe Conte.
Certo il Capitano ha già cominciato a giocare la carta che la Lega, pur fortemente ridimensionata, farà parte a pieno titolo del prossimo Governo di Centrodestra, ma ho l’impressione che potrebbe non risultare una carta vincente, perché in Terra di San Marco i militanti leghisti sembrano ancora legati al detto “Xe megio esar paron de ‘na sessola, che servidor de ‘na nave”.
Umberto Baldo