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Edizione del 14/07/2022
Estratto da pag. 1
Draghi, la crisi del vorrei ma non posso
Gli piacerebbe andarsene sbattendo la porta, ma anche gli altri leader, da Conte a Letta, sono incastrati in un rebus di difficile soluzione
Non c’è niente di costruito, di studiato, di tattico, nelle dimissioni di Mario Draghi. La rottura del patto di fiducia di cui parla è la fotografia perfetta di quel che sta accadendo alla maggioranza di governo. Ed è la ragione per cui già nella sua ultima conferenza stampa, il premier aveva usato una parola: «Contentezza». Se non c’è soddisfazione in quel che si fa, se genera sofferenza - l’avvertimento era diretto tanto alla Lega che al Movimento 5 stelle - continuare è inutile.E così davvero l’ex banchiere centrale vuole andar via e abbandonare tutti al loro destino e, sopra ogni cosa, alle loro responsabilità. Ma questa è la crisi del “vorrei ma non posso”, tanto per lui che per gli altri attori di una recita a soggetto di cui non si riesce ancora a intravedere il finale. Perché davanti al desiderio di Draghi ci sono almeno tre ostacoli: il primo è la volontà di Sergio Mattarella di mettere il Paese in sicurezza almeno fino a fine anno. Prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, dopo che la partita del Colle aveva già dimostrato quanto il rapporto tra il capo del governo e alcune forze politiche della sua maggioranza fosse logorato, Palazzo Chigi aveva già esplorato la possibilità di anticipare la sessione di Bilancio all’estate. L’idea circolata in quei giorni era stata proprio l’ipotesi di un voto in autunno, ma tutto si era fermato per via della situazione internazionale. Oltre che perché il tentativo era di difficile realizzazione: serviva una legge e di leggi da approvare subito ce n’erano già abbastanza. Comunque già allora, Mattarella aveva fatto capire che le emergenze per cui il governo è nato sono ancora tutte in piedi. Anzi, si sono aggiunte guerra in Ucraina, inflazione e crisi energetica.Il secondo ostacolo è formale: la fiducia al governo è passata, sebbene senza il voto di quella che prima della scissione di Luigi Di Maio era la prima forza della maggioranza. E quindi serve un ulteriore passaggio in Parlamento, per capire se davvero il governo Draghi non è in grado di andare avanti. Infine, ci sono i condizionamenti internazionali: in questo momento tutta Europa è preoccupata di quel che accade in Italia (mentre in Russia Putin e Medvedev festeggiano). E i mercati reagiranno come fanno sempre: con la speculazione che attacca e fa impennare lo spread già in sofferenza.Che Draghi si faccia incatenare non è affatto detto, dipenderà da quel che le forze politiche di maggioranza faranno e diranno in questi giorni, ma certo non può fare quello di cui avrebbe voglia: chiudere la porta di Palazzo Chigi e salutare.Allo stesso modo, non ha ottenuto quello che voleva Giuseppe Conte. «Fatemi capire, questo comunicato vuol dire che non torna indietro?», ha chiesto ieri davanti alle parole ultimative del premier. Lo schema per cui il Movimento 5 stelle avrebbe fatto di testa sua e poi tutto sarebbe continuato regolarmente, con al massimo un passaggio in Parlamento per dare una nuova fiducia, condizionandola all’approvazione di un decreto di luglio con risposte soddisfacenti su lavoro e caro-vita, era frutto di un puro pensiero magico. Chi conosce Draghi scommette che comunque vadano le cose, non si presenterà mercoledì alle Camere col capo chino di chi accetta i ricatti dei partiti. Se lo facesse, il governo sarebbe ugualmente finito. Perché - come ha ripetuto in queste settimane - «non saremmo più in grado di fare le cose che servono». Così Conte si troverà davanti un bivio: dare una nuova fiducia sulla base di una sfida, col rischio che i suoi elettori non ci capiscano più niente («E mò come glielo spieghiamo?», chiedeva Paola Taverna a un collega mentre usciva dall’Aula - di cui è vicepresidente - durante la chiama). O non farlo e provocare una crisi politica gravissima - che già i giornali stranieri stanno imputando al «partner populista della coalizione», copyright Bbc - sulla base di una mancata modifica a un emendamento sul termovalorizzatore di Roma. «Non è una sciocchezza, è una questione identitaria, riguarda la transizione ecologica», ripetevano ieri nel quartier generale M5S con l’aria di temere
che comunque la mettano, non regga. Non voleva il voto a ottobre, Conte. Non solo se ci sarà rischia di restare senza gli alleati del Pd, ma sarà considerato il colpevole di ogni disastro in arrivo (con Di Maio felice di dipingere la nuova stagione come “Il Papeete di Conte”).Che non possa avere quel che vuole Enrico Letta è ormai nelle cose. Il segretario Pd si aggrappa all’alleanza con i 5 stelle come l’unico modo per affrontare il centrodestra ad armi pari, con l’ansia di recuperare le istanze cui i grillini della prima ora avevano promesso risposte (tra cui giustizia sociale e lotta alla povertà). Vorrebbe alleati affidabili, il leader dem, ma non li ha. Mentre sorseggia un caffè alla buvette, il suo vice Peppe Provenzano spiegava: «Io domani vado in Sicilia dove facciamo le primarie con i 5 stelle e corriamo alleati. Che cosa devo fare? Mandare tutto all’aria?». Soprattutto, il sospetto è che possano farlo loro. E non sarebbe la prima volta.Matteo Salvini vuole il Viminale, di nuovo. A costo di incoronare premier Giorgia Meloni, il segretario leghista non vede l’ora di stringersi a destra in un patto di governo che gli ridia centralità. Solo che nel suo partito le elezioni a ottobre non le vuole praticamente nessuno, nelle prossime ore le spinte di Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia, Massimiliano Fedriga, saranno fortissime e andranno tutte in una direzione: «Sostieni Mario Draghi!». La Lega di governo, che sia a Palazzo Chigi o nei territori, non ha dubbi sulla strada da percorrere. E il leader potrebbe non avere le mani libere, a meno che il cerino non se lo tenga in mano Conte o non possa addossare la crisi tutta su di lui.Infine Giorgia Meloni, che grida da mesi «al voto al voto», ma è consapevole di essere per ora l’unica a poterci guadagnare. Vuole ma non può, anche lei. Almeno per ora, perché anche se Quirinale e Pd lavorano per una composizione, anche se Forza Italia e una parte della Lega proveranno a dare una mano, le vendette incrociate del duo Conte-Draghi potrebbero realizzare il sogno della leader di Fratelli d’Italia. Come per incanto.

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