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Edizione del 08/06/2022
Estratto da pag. 1
La crisi innescata dalla guerra in Ucraina si abbatte sui mari italiani, e dopo il grano e i fertilizzanti, l’allarme adesso ha raggiunto le acciughe e le sardine. Il caro gasolio infatti sta rendendo difficile il lavoro dei pescatori, che nelle scorse settimane hanno deciso a fasi alterne di non prendere il largo con le loro imbarcazioni.
Il primo sciopero dei pescherecci è arrivato quasi dopo l’invasione dell’Ucraina, a marzo. «Gli scioperi in realtà sono serrate, visto che sono le imprese che decidono di non andare in mare», racconta Gilberto Ferrari di Fedagripesca-Confcooperative.
All’ennesima impennata dei prezzi, i pescatori hanno deciso di non uscire in mare per una settimana, poi hanno ripreso a lavorare: «Non possono durare all’infinito, se non lavorano nessuno guadagna».
Fedagripesca-Confcooperative ha stimato gli effetti del caro gasolio: dall'inizio del conflitto russo-ucraino a oggi sono andati in fumo circa 200 milioni di euro di fatturato. Le spese per il carburante pesano per l’80 per cento dei costi.
«In molte famiglie è già scattato l'effetto scorta, come avvenuto per il lockdown e quindi chi può acquista e congela pesci, molluschi e crostacei per paura di non trovare prodotto ittico nazionale», dicono i pescatori.
Grande grande distribuzione e i ristoranti sopperiscono alla carenza di pesce pescato da italiani con le importazioni.
Ma i prezzi in pescheria o al ristorante, rileva un monitoraggio di Fedagripesca starebbero salendo: «Si registrano complessivamente da marzo a oggi aumenti fino al 30 per cento per il consumatore finale e praticamente nulla in più per le tasche del pescatore».
Dopo Ancona, dove hanno manifestato oltre 200 lavoratori provenienti anche dall'Abruzzo, è stata poi la volta di Venezia con una trentina di pescherecci di Chioggia davanti alla capitaneria di porto.
A Bari le delegazioni di quasi tutte le marinerie pugliesi si sono date appuntamento davanti al porto e per una settimana 200 pescherecci del comparto marittimo di Manfredonia (Foggia) sono rimasti fermi. Sul Tirreno, gli operatori di Fiumicino hanno optato per un fermo ad oltranza per poi rientrare. Anche se in alcune aree, come Termoli, sono partite altre serrate alla fine della settimana scorsa, la crisi sta rientrando ancora una volta.
Il primo giugno, mentre la protesta raggiungeva il suo picco, il ministero per le politiche Agricole ha convocato le associazioni al tavolo permanente presieduto dal sottosegretario Francesco Battistoni (Fi). La riunione è stata descritta come «molto positiva».
Il ministero ha comunicato che, dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale del decreto ministeriale, è stato firmato il decreto direttoriale che permetterà alle imprese di presentare le domande per ottenere il contributo del fondo filiere da 20 milioni di euro.
Nel frattempo l’Agenzia delle entrate ha rilasciato i codici per la compensazione del credito d’imposta per il primo trimestre 2022 ed è stato confermato l’impegno del governo a sostenere nella conversione del decreto “aiuti” l’emendamento proposto dalle rappresentanze per prorogare lo strumento anche per il secondo trimestre 2022. Ma i benefici arriveranno al momento della dichiarazione dei redditi.
Le associazioni sollecitano il tavolo con il ministero del Lavoro per l’attivazione della cassa integrazione per il settore. Attualmente, racconta Ferrari, i contratti di lavoro sono strutturati in modo che la difficoltà investa tutta la filiera all’unisono: «Nella pesca nella maggior parte dei casi anche i dipendenti compartecipano ai ricavi».
Il dettaglio lo ha offerto Antonio Pucillo della Flai Cgil al Manifesto: «L’impatto del caro gasolio incide sul salario – puntualizza Pucillo – perché dopo aver tolto le “spese vive”, da quelle amministrative a quelle appunto del carburante, il ricavato di un mese di lavoro viene diviso “alla parte”, con il 50 per cento che va all’armatore e il 50 per cento ai pescatori».
Quando l’attività di pesca si
ferma, anche per cattivo tempo, ddi solito la retribuzione è integrata direttamente dall’armatore.
I pescatori imbarcati sono poco meno di 24 mila, di cui circa 19.000 a tempo pieno. Erano circa 30mila dieci anni fa, mentre quelli che operano a terra sono oltre 100 mila, per un totale che si aggira attorno ai 125 mila lavoratori (escluso l’indotto).
Papa Francesco dopo la recita dell’Angelus domenica ha espresso la sua solidarietà al settore: «Esprimo la mia vicinanza ai pescatori, che a causa dell’aumento del costo del carburante rischiano di dover cessare la loro attività; e la estendo a tutte le categorie di lavoratori gravemente penalizzati dalle conseguenze del conflitto in Ucraina».
Il Mipaaf si sta muovendo e l’8 giugno il tema sarà discusso durante un incontro della Conferenza delle Regioni: «Chiediamo da parte del ministro Andrea Orlando e del ministro Daniele Franco la stessa attenzione che sta dimostrando in queste ore il ministero delle politiche agricole alimentari e forestali» si legge in una nota di Fedagripesca.
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Giornalista di Domani. Nasce a Patti in provincia di Messina nel 1988. Dopo la formazione umanistica tra Pisa e Roma e la gavetta giornalistica nella capitale, si specializza in politica, energia e ambiente lavorando per Staffetta Quotidiana, la più antica testata di settore.
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