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Edizione del 26/05/2022
Estratto da pag. 1
Malattie rare, è sui servizi di assistenza domiciliare integrata il 6° Quaderno di OSSFOR
Roma, 26 maggio 2022 – La pandemia ha spinto il Servizio Sanitario Nazionale a un ripensamento del proprio modello organizzativo, accelerando sulla valorizzazione dell’assistenza territoriale, inclusa l’importanza di offrire alle persone affette da malattie croniche, come quelle rare, assistenza presso il proprio domicilio.
I benefici della prossimità sono evidenti sia in termini di qualità della vita del malato raro sia del caregiver, al quale si evitano i disagi degli spostamenti, e anche le giornate di lavoro perse. Per il SSN si aggiunge il beneficio della potenziale riduzione dei ricoveri ospedalieri.
Ma quali sono oggi le reali opportunità di accesso ai servizi di assistenza domiciliare per le persone con malattia rara? E quanto queste sono variabili da Regione a Regione, visto che l’assistenza domiciliare è regolamentata da normative sia nazionali che regionali?
Da queste domande si è preso spunto per il 6° Quaderno di OSSFOR-Osservatorio Farmaci Orfani dedicato appunto a “L’Assistenza Domiciliare ai malati rari”. La ricerca ha beneficiato del contributo dei responsabili dei Coordinamenti Regionali Malattie Rare, le oltre 260 associazioni dell’Alleanza Malattie Rare e le aziende che sostengono incondizionatamente le attività di OSSFOR-Osservatorio Farmaci Orfani.
“Negli ultimi due anni la pandemia ha dato ai sistemi sanitari, nazionali e regionali, diversi insegnamenti – ha spiegato la prof.ssa Paola Facchin, Coordinatore Tavolo Tecnico Interregionale Malattie Rare – Commissione Salute Conferenza delle Regioni – imponendo una limitazione nell’accesso a strutture anche ambulatoriali gestite dagli ospedali, dando spazio a organizzazioni alternative e portando a un rinnovato interesse per l’organizzazione territoriale. La pandemia ha anche accelerato il ricorso alla tele-assistenza o assistenza via web oltre che all’assistenza domiciliare”.
Per capire cosa si fosse modificato fra prima e durante la pandemia, è stata effettuata una rilevazione ad hoc. La rilevazione è stata fatta attraverso il monitoraggio di 45.433.594 milioni di abitanti (76,2% della popolazione) e ha consentito di fare un raffronto tra il 2019 e il 2020: è emerso che nel 2020 su 320.101 soggetti registrati come malati rari, sono 10.762 quelli che hanno ricevuto un’assistenza domiciliare integrata; il dato risulta in crescita rispetto al periodo pre-pandemico quando questa cifra era pari a 9.661 soggetti (il totale di quelli registrati come malati rari era di 290.927). I malati rari seguiti con assistenza domiciliare rappresentano l’1,6% del totale dei pazienti a cui l’assistenza domiciliare viene garantita. Del totale dei malati rari il 3,4% riceve assistenza domiciliare, valore in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al 2019.
Ma la decisione di seguire più malati rari in assistenza domiciliare non ha risposto tanto a una programmazione unicamente riservata a loro, piuttosto a un atteggiamento diffuso che ha coinvolto varie categorie di malati cronici e complessi tra cui anche i malati rari. Difatti secondo i referenti dei Centri di Coordinamento Malattie Rare regionali l’assistenza domiciliare per i pazienti rari viene spesso erogata in maniera discontinua o ridotta al minimo, oltre ad essere spesso carente in determinati interventi, come quelli riabilitativi o delle terapie a domicilio. Nel settore delle malattie rare sarebbe necessario allora “cucire” l’intervento a misura dello specifico caso e degli specifici fabbisogni, dando una risposta efficace ai molteplici e variegati problemi.
La survey compilata dai pazienti – anche questa presente nel Quaderno – ha messo in evidenza che secondo quanto percepito dal 60,9% di loro, la pandemia non ha comportato una variazione nell’assistenza domiciliare; tuttavia per quel circa 40% di persone che ritiene vi siano state delle modifiche, queste sono per il 60% dei casi esitate in una drastica diminuzione delle ore disponibili mentre solo il 20% ha registrato un aumento.
Inoltre, si segnala che il 49% dei pazienti ha dichi
arato che l’assistenza domiciliare di cui ha beneficiato è stata fornita dal Servizio Sanitario Nazionale, il 19,8% tramite l’erogazione di voucher o assegni di cura-assistenza per l’assistenza domiciliare e il restante 31,2%, invece, mediante strutture e associazioni private.
Dal Quaderno, e nello specifico dal questionario rivolto ai pazienti, si deduce che l’assistenza domiciliare continua a essere un servizio caratterizzato da un ruolo molto marginale dell’innovazione tecnologica sia nei processi che nelle attività: a partire dalla scarsa informatizzazione dei dati di monitoraggio e delle informazioni sui pazienti, fino al ridotto ricorso alle ampie opportunità offerte dalla tecno-assistenza all’assistenza a domicilio (solamente il 17,2% ha beneficiato del teleconsulto).
“Nell’ADI la telemedicina è fondamentale se vogliamo far decollare la presa in carico dei malati rari. L’accordo Stato Regioni del 2015 sull’uso della telemedicina per questi pazienti non è mai stato attuato, direi che è il momento di attivarsi – ha ricordato la prof.ssa Facchin – Il collegamento tra i centri ospedalieri e il territorio deve avvenire sotto responsabilità ben definite, perché stiamo parlando di prestazioni a tutti gli effetti. Durante la pandemia, nel periodo di lockdown, ci siamo attivati in ogni modo per assistere i pazienti a domicilio. E questo lo abbiamo fatto con qualsiasi mezzo disponibile, dal telefono al pc. Questa esperienza è stata utile perché chi impara a gestire un malato raro, diventa più competente con gli altri pazienti. Ora occorre lavorare per attivare la consulenza tra Centri, perché ancora oggi c’è troppa migrazione tra le Regioni. Per ridurla, occorre aumentare la qualità di tutti i Centri e per questo bisogna fare consulenza, e la telemedicina può aiutare, tra i centri con esperienza e quelli che ne hanno meno”.
Altre carenze nell’assistenza domiciliare, segnalate dai pazienti, si riscontrano in tema di servizi socio-sanitari, oltre che di scarsa frequenza degli accessi e carente supporto psicologico. In aggiunta l’assistenza domiciliare, che come anticipato è regolamentata da normative nazionali e regionali, non è omogena soprattutto nell’organizzazione su base regionale, con rilevanti differenze anche a livello di singole Aziende Sanitarie Locali (ASL) della stessa Regione.
Una seconda survey, sviluppata con l’obiettivo di investigare il tema dei Programmi di Supporto al Paziente (PSP) nel contesto della continuità assistenziale offerta ai malati rari, è stata compilata da 11 aziende farmaceutiche produttrici di farmaci orfani. Secondo le aziende rispondenti, la principale motivazione che spinge alla realizzazione di PSP è la volontà di soddisfare i bisogni dei pazienti e quindi di migliorare la vita del malato raro attraverso atti concreti, finalizzati ad appagare le effettive necessità dell’individuo che vive in uno stato di fragilità.
“La pandemia ha stimolato il processo di integrazione fra i servizi assistenziali territoriali privati (PSP) e quelli già erogati dalle organizzazioni afferenti al SSN. Ma oltre a spingere sulla collaborazione del privato, che andrebbe portata avanti e non lasciata in un’ottica puramente emergenziale, bisogna spingere verso il cambiamento delle modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria, in risposta anche alle necessità di distanziamento sociale e riduzione degli accessi ospedalieri – ha sottolineato Francesco Macchia, Coordinatore di OSSFOR-Osservatorio Farmaci Orfani – e in generale si deve cogliere per i malati rari la non ripetibile opportunità offerta dai finanziamenti del PNRR che puntano esattamente su innovazione tecnologica e territorializzazione. OSSFOR monitorerà attentamente nei prossimi mesi che ciò avvenga”.
Se i PSP possono essere considerati un valido strumento per aumentare il valore clinico dell’assistenza sanitaria, incrementando il grado di soddisfazione del paziente rispetto alla gestione della patologia e la conoscenza degli esiti della propria salute, è però necessario riflettere sulle modalità
per rendere i PSP sostenibili dal punto di vista economico. Ad oggi, infatti, tali iniziative sono finanziate esclusivamente dalla liberalità delle aziende farmaceutiche che producono tali servizi di continuità assistenziale spinte da una responsabilità accessoria rispetto alla semplice fornitura del medicinale.
La continuità dei PSP, in futuro, nelle aspettative delle aziende rispondenti, dovrebbe passare per forme di remunerazione del farmaco in grado di considerare anche il ruolo che svolge l’azienda farmaceutica nell’integrare le attività già svolte dal SSN nell’assistenza domiciliare, come i servizi resi, funzionali alla corretta assunzione del farmaco, l’incremento all’aderenza terapeutica e le possibilità di adattamento della terapia grazie al monitoraggio dei parametri vitali agli esiti delle cure.