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Dir. Resp.
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Edizione del 14/05/2022
Estratto da pag. 1
La sfida per l’Italia sarà affrontare il dopo-Draghi senza tradire le riforme, dice Alan Friedman
Mario Draghi ha portato serietà e competenza al governo. È un fatto. E Alan Friedman, sia nel suo ultimo libro, “Il prezzo del futuro” (La Nave di Teseo), che nella sua intervista a Linkiesta, non smette di ripeterlo. Dopo la disastrosa esperienza dei governi guidati da Giuseppe Conte, soprattutto nella fase gialloverde di coabitazione della Lega, ha saputo mettere sui giusti binari il piano vaccinale e, soprattutto, costruire l’impianto fondamentale per gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Il problema, adesso, è: cosa succederà dopo?Nel 2023 ci saranno nuove elezioni ed è molto improbabile, al momento, rivedere a Palazzo Chigi l’attuale presidente del Consiglio. Ma non è nemmeno detto che l’esperienza di governo non si interrompa prima: «Il rischio maggiore è, adesso, che le fibrillazioni nella maggioranza, blocchino l’azione dell’esecutivo e annacquino le riforme. Adesso serve in modo assoluto una politica che sappia mantenere la continuità». È stato svolto «un lavoro serio», spiega Friedman, e deve andare avanti, anche se «è ovvio che senza Draghi non ci sarà lo stesso livello di competenza, di impegno e di senso di urgenza. Questo deve preoccuparci».Lo scenario peggiore è quello di sprecare i fondi europei, perdere il treno per lo sviluppo e le riforme e rinunciare, in via definitiva, all’ammodernamento del Paese. Ma ci sono indicazioni che inducono a sperare. «Sia Vittorio Colao, ministro per l’innovazione tecnologica e transizione digitale, che Roberto Cingolani, ministro per la transizione ecologica, che ho avuto modo di incontrare più volte per scrivere il mio libro, mi hanno spiegato che quello che conta è che il periodo da febbraio 2021 alla primavera 2023 sia vissuto come palestra. Mesi in cui si insegna un metodo di lavoro – non il “metodo Draghi”, ma il “metodo Pnrr” – che potrà proseguire anche dopo». Del resto, «nell’esecutivo sono presenti quasi tutti i partiti, imparano a correre e a saltare gli ostacoli della burocrazia, che rappresentano uno dei problemi maggiori».L’eredità di Draghi, insomma, può trasmettersi anche a un esecutivo molto diverso. Un governo guidato da Giorgia Meloni, ad esempio, potrebbe non essere così improbabile, visti i sondaggi. «Non è detto che non funzioni. Ma nel libro c’è un passaggio importante, a mio avviso. Quando ho intervistato Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia e rappresentante di quella Lega con un volto serio, insieme a Luca Zaia e Giancarlo Giorgetti – uno di quelli che non ama la politica urlata – mi ha detto che il centrodestra potrebbe vincere, ma non è detto che riesca a governare: non ha un progetto, non ha un’idea di Italia. Serve una profonda riprogettazione, anche a corso di scontrarsi. Questo vale anche per Giorgia Meloni, che del resto sta cambiando molto e in fretta, come Di Maio. Un “democristiano digitale”, come ho già avuto modo di definirlo, che nel giro di pochissimo è diventato un politico solido, democratico e serio, abbandonando le sue origini populiste».Questo cambiamento di mentalità purtroppo non si può dire che abbia avuto presa a livello collettivo. Draghi può avere fatto tanto, ma ancora non ha cambiato la testa degli italiani. «La sua figura ha dato nuove speranze a un Paese in cui l’80% della popolazione è impegnata nella difesa dei diritti acquisiti, è spaventato dal cambiamento e soffrono di più per le riforme. Ecco, se c’è un limite che mi è stato indicato del governo Draghi è stata la comunicazione, non sempre al massimo. Non ha saputo dare quella visione – un quadro, un affresco, una capacità di far visualizzare il futuro – per cui il digitale, per esempio, è un’occasione per creare nuovi posti di lavoro per i giovani, anche in realtà depresse come la Calabria».Insomma, sembra che il Pnrr, forse indebolito, forse annacquato, andrà avanti – lo dicono tutti gli opinion leader che Friedman ha incontrato per il suo libro – grazie alla palestra introdotta da Draghi e agli obblighi legati a questi soldi. «Sono, in gran parte, a debito. Andranno restituiti, ma soprattutto, se le ri
forme non vengono fatte, i soldi non vengono proprio erogati. Questo è il vincolo esterno più efficace». Si ricordi che ciò che ha fatto Draghi, ancorché miracoloso, «rappresenta il minimo indispensabile, la base di tutto: le riforme andranno avanti, ma saranno incisive?». Tutti lo sperano.Ma per un Paese spaccato vedere l’Europa che dà soldi, che si mostra solidale e aperta è senza dubbio un bel messaggio. «Io credo nell’Europa. Credo che Putin abbia fatto un grande errore, perché l’ha ricompattata. È, al momento, più civile anche degli Stati Uniti, dove c’è un enorme problema di populismo e di razzismo, dove Trump è andato al governo e, se non succede nulla, tornerà». L’Europa è la casa del futuro, in questo momento. E in queste fasi l’Italia deve saper giocare al meglio la sua partita.Condividi:Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)Fai clic per condividere su Telegram (Si apre in una nuova finestra)Fai clic per condividere su WhatsApp (Si apre in una nuova finestra)