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Edizione del 11/03/2022
Estratto da pag. 1
Gianrico Carofiglio: «De Luca? Non apprezzo il suo stile comunicativo»
Lo scrittore è coordinatore delle Agorà dem: «Privo di ironia e muscolare, bene Letta che ha risposto»
l’intervista

Mezzogiorno, 11 marzo 2022 - 08:31

Gianrico Carofiglio: «De Luca? Non apprezzo il suo stile comunicativo»

Lo scrittore è coordinatore delle Agorà dem: «Privo di ironia e muscolare, bene Letta che ha risposto»

di Simona Brandolini

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Le parole «osservatore», men che meno «coordinatore delle Agorà democratiche», non s’addicono a Gianrico Carofiglio. «Mi considero un indipendente di sinistra, categoria che viene da una tradizione nobile e che va recuperata, per rendere mobile e fertile il confine tra il dentro e il fuori del più grande partito progressista italiano». Ex magistrato, ex senatore Pd, scrittore di successo. Oggi pomeriggio converserà con il vicesegretario nazionale dem, Peppe Provenzano, a Napoli per una tappa delle Agorà su «I Giovani contano». Arriva in città dopo l’appello degli intellettuali contro Vincenzo De Luca e la risposta netta di Enrico Letta: «Mi occuperò delle molte questioni sollevate». «Letta ha fatto benissimo — dice —, è una risposta di una persona seria, che prende sul serio il suo compito. Uno stile politico molto diverso da quello, purtroppo assai diffuso, caratterizzato da una dimensione narcisistica».

Carofiglio, il fatto che il Partito democratico, nonostante governi, nazionalmente e localmente, resti inchiodato più o meno al 20 per cento, senza riuscire a erodere e a monetizzare gli errori di altri partiti, non le fa pensare che venga percepito come un partito chiuso nel palazzo? «In generale l’idea della politica fatta in contropiede non mi piace e non è vincente. La questione non è tanto approfittare della delusione dell’elettorato di altri partiti o altri schieramenti per recuperarne i transfughi. Non si vince così. Io credo funzioni la politica che va all’attacco: significa la politica capace di enunciare con chiarezza i propri valori e renderli non solo comprensibili, ma capaci di suscitare emozioni. Uno dei ritardi culturali più seri della sinistra nel Paese è quello relativo alla mancata comprensione delle emozioni nella politica, ben cavalcata dai populisti che le sfruttano per costruire consenso sulle paure. Riguardavo una intervista di Vittorio Gassman a Danilo Dolci, Dolci dice una cosa bellissima: la gente tante volte non si impegna perché crede che il cambiamento non sia possibile. Renderlo comprensibile, dunque possibile è il compito della buona politica».

E qual è l’identità del Pd? «L’identità di un vero partito progressista sta scritto nell’articolo 3 comma 2 della Costituzione, quello che parla dell’uguaglianza delle opportunità».

L’uguaglianza delle opportunità al Sud è più di un miraggio. «Questo è il problema ma anche la soluzione, c’è una prateria davanti. Nell’Occidente contemporaneo l’ascensore sociale è in avaria, alla sinistra tocca ripararlo. In un sistema in cui la finanziarizzazione dell’economia produce un sempre crescente aumento delle disuguaglianze, bisogna dichiarare che il problema è questo qui e poi lavorare su singole azioni concrete e, ripeto, comprensibili».

Lei parlerà oggi a una platea di giovani campani, in una regione dove la politica è quasi ereditaria, dove il familismo è un dato di fatto. Cosa pensa e cosa dirà? «Penso delle cose ovvie e cioé che bisogna creare meccanismi che consentano l’accesso in politica anche a chi, come dire, non è figlio di famiglia. Detto questo, credo che non si debba fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono politici che magari hanno avuto condizioni di vantaggio nell’accesso ma che sono capaci. Bisogna saper distinguere, esercitare sempre il pensiero critico in tutte le direzioni».

Ma se essere figlio di è la precondizione, un tappo per gli altri, come si rimuove? «Più che il cavatappi, servono i solventi, tanto per giocare con le metafore. Se l’accesso alla politica (ma non solo alla politica, anche alle professioni, al mondo della cultura eccetera) è intasato, bisogna ricorrere ad azioni possibilmente non traumatiche che consentano di dis
tinguere il merito dal privilegio».

Anche selezionare meglio la classe dirigente o no? «Certo. Non basta però che i segretari scelgano bene chi mettere nelle liste, ma anche avere la consapevolezza che il mondo è complesso e le nostre soluzioni sono sempre contingenti e fallibili. Orwell divideva i politici tra quelli con la testa fra le nuvole e quelli con i piedi nel fango. La mia idea è che sia possibile la terza via: entrare nel fango quando è necessario per aiutare gli altri, ma sempre con lo sguardo rivolto alla costellazione dei valori che ci ispirano».

Nella lettera a Letta, i sottoscrittori scrivono: «Ma se la Campania piange, non è che dalle parti del Nazareno si possa gioire più di tanto. Da anni il tuo Partito si tiene gli insulti e si volta dall’altra parte, da anni assiste a liste che si chiamano “De Luca Presidente” contro liste e candidati ufficiali del Pd». «Non mi piacciono le liste personali ma dire semplicemente: chiudiamo i rapporti con loro, non è una buona idea. Nel fare le scelte, anche se certe derive ci piacciono poco, bisogna avere nervi a posto e trovare punti di equilibrio. Altrimenti si regalano le vittorie alle liste personali degli avversari».

A proposito di De Luca lei dice di non condividere leadership narcisistiche. Ci dice cosa non le piace? «Non mi piace lo stile comunicativo e muscolare che ha a che fare poco con l’azione politica e molto con un’immagine di sé grandiosa. Credo che una regola da non dimenticare mai (i narcisi la dimenticano sempre o forse proprio non la conoscono) è quella di non farne mai un fatto personale. Non mi riferisco ai comportamenti penalmente rilevanti, ma alla confusione che spesso si fa fra ambizione personale e interesse pubblico».

Quindi Crozza-De Luca non fa più ridere? «Lui ha un buon talento comico ma questo ha poco a che fare con il senso dell’umorismo, che per me è una qualità morale. Il senso dell’umorismo non è (solo) far ridere gli altri, ma essere capaci di ridere di se stessi, liberandosi della trappola dell’ego. La pratica politica che mi piace include autorironia e allegria. Foucault in “Istruzioni per una vita non fascista” scriveva: toglietevi dalla testa che essere militanti significhi essere tristi. Sono del tutto d’accordo».

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11 marzo 2022 | 08:31

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