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Dir. Resp.
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Edizione del 22/02/2022
Estratto da pag. 1
Roberta Lombardi: “Italia Viva fuori dal fronte progressista. Basta con le carriere personali nel M5S”
L’assessora della Regione Lazio: «Il campo largo è possibile soltanto se si fonda sui temi. Con l’ex premier il Pd ha la sindrome di Stoccolma. Fondamentale il limite dei due mandati»
Matita alla mano, resta complicato tracciare i confini dell’alleanza dei progressisti, ma «il campo largo è già una realtà nella Regione Lazio e, con una sana dialettica interna, sta funzionando», assicura Roberta Lombardi, volto storico del M5S e assessore alla Transizione ecologica e trasformazione digitale nella giunta di Nicola Zingaretti. Da Carlo Calenda al Pd, dai Cinque stelle ai renziani, fino alla sinistra ecologista, «abbiamo dimostrato che una convergenza è possibile». Calenda però continua ad attaccarvi. «Mai con i grillini», promette. «La politica nei territori lo smentisce. Ci sono realtà in cui stiamo lavorando insieme e altre in cui lo faremo dopo le amministrative di primavera. Le sue critiche però sono imbarazzanti. Lui, Renzi e Salvini, sono maschi abituati a validare la loro esistenza politica attraverso l’attacco degli altri. È l’unico modo in cui riesce ad avere qualche titolo sui giornali. Temi portati nell’agenda politica nazionale, invece, non ne vedo. C’è chi se ne ricorda almeno uno?». Letta sembra convinto di poter vincere le elezioni solo allargando, ma Conte gli risponde che non servono accozzaglie. Servono dei paletti a questo campo largo? «Per me il campo largo esiste se è recintato dai temi. Europeismo, sviluppo sostenibile, solidarietà, lotta alle disuguaglianze e alla corruzione: questo è il perimetro. Le accozzaglie che non vogliamo sono quelle del centrodestra, che si uniscono solo per dividersi potere e poltrone». Ieri però con il Pd vi siete divisi sul voto per il caso Open. I Dem hanno appoggiato Renzi, mentre voi avete votato contro. È un problema? «Quel voto è coerente con i nostri valori: la politica deve essere trasparente. È un nostro tratto distintivo. E la posizione del Pd non è un problema. Se fossimo tutti uguali, tanto varrebbe avere un partito unico». Letta spinge per far rientrare Renzi nel fronte progressista. Per voi è possibile? «Mi sembra che il Pd abbia ancora uno strascico della sindrome di Stoccolma: si è innamorato del suo carceriere. Per me è sempre una questione di temi e le ultime battaglie di Renzi dimostrano che non può far parte di questo campo». Eppure, lo ha detto lei, nel Lazio governate insieme. «Ci sono persone che al di là del bollino che hanno sulla giacca, hanno un profilo con cui si può lavorare. E soprattutto, abbiamo un’agenda condivisa». Lei è anche responsabile degli enti locali grillini. Con il Pd in qualche città correte insieme, in altre siete avversari. Gli elettori non andranno in confusione? «Con il Pd condividiamo un progetto e le città in cui ci presenteremo insieme stanno aumentando, però non possiamo essere noi, da Roma, a imporre un matrimonio ai territori. È un processo che nasce dal basso, quando ci sono le condizioni. Può ancora esserci del disorientamento tra gli elettori e forse a livello nazionale si può spiegare un po’ meglio il motivo per cui stiamo insieme, ma le occasioni non mancheranno». Il Movimento5 stelle rischia di correre senza simbolo, dopo la decisione del tribunale di Napoli. Per Conte sarebbe un disastro. «Il 10 e l’11 marzo i nostri iscritti torneranno a votare per modificare lo Statuto, così da poter accedere al 2x1000 e, insieme, per blindare il nuovo corso del Movimento con Conte leader. Quella di Napoli resta una situazione incredibile. Siamo una forza politica stalkerizzata da chi non condivide più il nostro percorso e non accetta il fatto che il M5S si sia evoluto. Da una parte c’è la linea politica condivisa da Conte e Beppe Grillo, dall’altra c’è qualcuno che sfoga le proprie frustrazioni personali su di noi». Una risposta che vale anche per Enrica Sabatini? La socia di Rousseau, in un’intervista su questo giornale, vi accusa di non aver rispettato lo Statuto e parla di voi come di persone assuefatte al potere che hanno tradito Gianroberto Casaleggio. «Tutte mistificazioni utili a promuovere il suo libro, ma il tempo della politica dei clic è finito. Si deve rassegnare. E poi, lei Casaleggio non l’ha mai conosciuto, lo lasciasse stare». Dei problemi ci sono anche al vostro interno. La leadershi
p di Conte è stata messa in discussione da Luigi Di Maio, ma lo scontro tra i due è rimasto sospeso. Va risolto? «La leadership di Conte non è in discussione. Gli chiedo però una maggiore rapidità di intervento per la riorganizzazione territoriale. Questi anni di attesa hanno permesso a qualcuno di ricavarsi una filiera di piccolo potere e di influenze, grazie alla quale gli è stato concesso di prosperare. E invece non deve esserci spazio per carriere personali disgiunte dagli obiettivi del Movimento». Il limite dei due mandati è una delle ragioni della guerra tra Conte e Di Maio. Serve una deroga? «Credo fortemente nel principio della politica come un servizio, non come una professione. Se si solleva la questione, affrontiamola con maturità. O si fa una regola nuova o si resta con quella vecchia, ma evitiamo deroghe e formule fantasiose come i mandati zero. Poi, se c’è qualcuno particolarmente bravo, può sempre provare a diventare presidente di una partecipata, ministro o sottosegretario, senza rientrare per forza in Parlamento».

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