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Edizione del 16/02/2022
Estratto da pag. 1
Lo scatto di Draghi e quella grande occasione che il Pd è fermamente intenzionato a perdere
L’inusuale durezza con cui Mario Draghi si era espresso contro il superbonus 110 per cento nella conferenza stampa di venerdì aveva giustamente richiamato l’attenzione di molti, suscitando i più diversi commenti. In verità, alla base c’era probabilmente una questione di merito, o per meglio dire di principio, cioè di carattere: da tempo Draghi cerca perlomeno di ridimensionare e correggere quella norma, e poche cose gli devono essere pesate quanto doversela tenere, convinto com’è che sia esattamente ciò di cui l’Italia non ha bisogno in questo momento. Ma il merito dei provvedimenti, in politica, ha un’importanza non sempre decisiva.Dunque la maggior parte dei commenti si era finora concentrata su ragioni e conseguenze di quello che a tutti era apparso anzitutto come un attacco, il primo in termini così espliciti, al Movimento 5 stelle e al suo leader, Giuseppe Conte (salvo diversa disposizione del tribunale che l’ha attualmente sospeso). Il fatto che a rincarare subito la dose, in un’intervista al Corriere della Sera, fosse stato domenica Giancarlo Giorgetti, vicesegretario della Lega ma anche tra i ministri più in sintonia con il Presidente del Consiglio, sembrava quindi perfettamente coerente con questa lettura.Nient’affatto scontato era invece che in difesa del provvedimento bandiera dei cinquestelle e del governo Conte – «Conte due», come ama dire lo stesso ex Presidente del Consiglio – intervenisse il segretario della Lega, Matteo Salvini, in aperta polemica col suo ministro e di fatto in asse con l’acerrimo nemico grillino, e per ben due giorni di fila (l’ultima volta ieri).«Non si può brindare al +6% del Pil e poi gettare fango sul Superbonus», avrebbe detto (cioè ha fatto scrivere di avere «detto ai suoi») l’Avvocato del popolo, ed è sempre degna di nota la disinvoltura con cui i grillini utilizzano una simile espressione, «gettare fango», proprio loro, solo ed esclusivamente quando non c’entra niente.In ogni caso, il ritorno dell’asse gialloverde non sarebbe ormai nemmeno una notizia, se non per gli irremovibili strateghi dell’alleanza giallorossa ancora annidati nel Partito democratico. Ma è significativo che per la prima volta il campo si sia così chiaramente diviso e veda schierato con grande nettezza, da un lato, Mario Draghi, dall’altro, nuovamente insieme, Conte e Salvini.Se la politica avesse un senso, invece di tante chiacchiere su maggioranze Ursula (Pd-Forza Italia-M5s) e coalizioni giallorosse (Pd-M5s), con tutte le ulteriori combinazioni date dall’aggiunta delle formazioni di area liberaldemocratica o di sinistra radicale, neocentriste o neosinistriste, sarebbe ragionevole che nel Pd si discutesse di questo. E cioè di quale concreta politica riformista, dal governo, facendo perno proprio sulla ferma posizione di Draghi, potrebbe incoraggiare il superamento della stagione populista, in entrambe le versioni, hard e soft, gialloverde e giallorossa. E favorire così la scomposizione degli attuali partiti e la ricomposizione degli schieramenti secondo un criterio più razionale e rispondente agli effettivi interessi in gioco, attraendo quei pezzi di Forza Italia e della stessa Lega che si riconoscono nelle posizioni non solo dei rispettivi ministri, ma anche di tanti amministratori e presidenti di Regione, da Massimiliano Fedriga a Giovanni Toti, secondo un’evoluzione che ha dato i suoi frutti più evidenti su vaccini e green pass (isolando e mettendo in condizione di non nuocere lo stesso Salvini).Non per niente, giusto ieri, nel suo duro attacco a Salvini, Giorgia Meloni non ha esitato a battere esattamente lì: «La Lega non voleva l’obbligo vaccinale e c’è l’obbligo vaccinale, era contraria al Green Pass come strumento di discriminazione e lo è…». Ma tutta la sua invettiva ha una sua indiscutibile, geometrica coerenza: «…non volevano la revisione del catasto e c’è la revisione, erano d’accordo con noi sui balneari e votano per mettere all’asta ed espropriare 30.000 aziende italiane…». La conclusione di Meloni è che nel centrodestra «c’è un problema di posizionamento». E ha ragione da vendere. Sare
bbe auspicabile che altrettanta chiarezza illuminasse, prima o poi, anche i dirigenti del Pd.Lo scatto di Draghi sul superbonus e le reazioni dei gialloverdi dimostrano che finalmente, per chi volesse spezzare il soffocante bipopulismo perfetto di questi ultimi anni, ci sarebbe una prateria, assai più larga del «campo» lettiano. Ma, appunto, occorrerebbe volerlo.Condividi:Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)Fai clic per condividere su Telegram (Si apre in una nuova finestra)Fai clic per condividere su WhatsApp (Si apre in una nuova finestra)