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Edizione del 01/02/2022
Estratto da pag. 1
Federazione per il Centro. Prima prova: le Comunali
I moderati sono al lavoro per la costruzione del Grande Centro. Contatti riservati, girandola di incontri, abboccamenti sulla scia dell''elezione sfiorata di Pier Ferdinando Casini al Quirinale....
I moderati sono al lavoro per la costruzione del Grande Centro. Contatti riservati, girandola di incontri, abboccamenti sulla scia dell'elezione sfiorata di Pier Ferdinando Casini al Quirinale. Ma prima di fare una mossa ufficiale, i vari Matteo Renzi e Giovanni Toti, Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello, Lorenzo Cesa e Mara Carfagna e perfino Luigi Di Maio se dovesse concretizzarsi la scissione del M5S, vogliono capire cosa accadrà nella Lega, dove la leadership di Matteo Salvini traballa e quale sarà l'epilogo della guerra senza quartiere tra i 5Stelle. Soprattutto, i centristi attendono di sapere se davvero si andrà verso una riforma elettorale proporzionale: l'unico strumento - dichiarazioni ufficiali a parte, piace a tutti tranne che a Giorgia Meloni e al leader leghista - in grado di liberare i centrini vari dall'abbraccio mortale delle attuali coalizioni.

Giorgia Meloni: «Fuori dai giochi perché non ho votato Mattarella? Io non mi adeguo, decidono gli italiani» Eppure, mentre Carlo Calenda si chiama fuori («non sono interessato») qualcosa si muove. Qualche idea prende forma, tant'è che Salvini lancia il partito repubblicano all'americana per provare a fermare l'implosione del centrodestra. La prima è il modello: non un partito unico, ma una federazione di partiti liberal-riformisti o liberal-progressisti ed europeisti, sotto le insegne di un front man o di una front woman. Tanti leader e una sola bandiera, insomma. La seconda: il primo banco di prova della nuova alleanza potrebbero essere le elezioni comunali in programma tra maggio e giugno a Genova, Palermo, Parma e in altri 23 Comuni capoluogo. La terza: la federazione nazionale potrebbe cercare alleanze con le forze locali presenti in Sicilia, Sardegna, Val d'Aosta e Sud Tirolo, sul modello della Cdu tedesca unita da un patto di sangue con Csu bavarese. «Il nostro obiettivo e la nostra ambizione», confida il governatore della Liguria e leader di Coraggio Italia Giovanni Toti, «è tra il 10 e il 15%». Un tesoretto di voti che, con il sistema proporzionale cui ha aperto il segretario del Pd Enrico Letta per liberare Forza Italia dall'abbraccio della Lega, potrebbe rendere il Terzo polo «ago della bilancia per la formazione di qualsiasi governo». Sul primo punto, quello della federazione, sono tutti d'accordo. Ma chi spera sia Casini a svolgere il ruolo di federatore del Grande Centro rimarrà deluso. Il leader centrista, che è stato a un passo dal Quirinale, svolgerà piuttosto un ruolo di padre nobile, di ispiratore. L'ha fatto capire chiaramente in un'intervista al Carlino. Alla domanda se il Parlamento esca con una ritrovata voglia di centro dalla vicenda Colle, Casini ha risposto: «Può darsi. Ma, come dicono gli inglesi, it's not my cup of tea: non è la mia tazza di tè. Ho già dato, ci sono nuovi protagonisti, non voglio essere parte di questo, ma voglio rappresentare il valore della politica e del Parlamento». Così, ecco che c'è chi prova a tirare fuori dal cilindro altri nomi. Come quelli delle forziste Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, o Renzi. «Oppure uno alla Draghi». «Tanto più che il riferimento esterno della federazione sarà, per forza di cose, proprio il premier. Con Casini come padre nobile e riserva della Repubblica», dice uno dei leader centristi. Nomi a parte, l'altro nodo è quello della coerenza programmatica e ideale. «Il Terzo polo non può essere un'unione di convenienze e furbizie», avverte Bruno Tabacci, leader di Centro democratico. E Quagliariello, vicepresidente di Coraggio Italia, la pensa allo stesso modo: «Le coalizioni sono fallite perché diventate una somma aritmetica di forze politiche. Noi non possiamo ripetere lo stesso errore, rendendo il Grande Centro soltanto un luogo in cui si rifugiano gli scontenti degli altri schieramenti. Dunque, va stabilito un perimetro ideale: dovremo riunire i liberali e gli europeisti. E avere una classe dirigente che non sia una somma di potentati». A incoraggiare l'attivismo centrista, si diceva, è l'apertura di Letta alla riforma elettorale. Il segretario del Pd, in vista del
dopo-elezioni, punta ad affrancare Forza Italia dalla Lega nell'ipotesi di un patto di governo europeista che tagli fuori il Carroccio e Fratelli d'Italia. Ciò sarà possibile solo a condizione che l'approdo sia un sistema proporzionale con sbarramento al 5% sul modello tedesco: la soglia alta serve a evitare il proliferare di partitini. Da Salvini a Conte fino a Letta e Meloni: cosa succede ora? Il post Quirinale e la battaglia sulla legge elettorale La conversione del Pd In queste ore fioccano le adesioni di esponenti dem al modello proporzionale. «Sono pronto, ciò che è accaduto per il Quirinale dimostra che serve il proporzionale», dice Emanuele Fiano, relatore della proposta di legge con sbarramento al 5%. Sulla stessa linea Matteo Ricci, esponente della segreteria dem e Alessandro Alfieri, coordinatore di Base riformista (la corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti): «E' arrivato il momento di fare presto e bene. Questa volta si è aperto uno spazio e credo che il proporzionale convenga anche a Salvini visto che il piano inclinato della leadership del centrodestra porta alla Meloni». D'accordo anche Gianclaudio Bressa che da una vita si occupa di sistemi elettorali: «Il tempo è poco, ma nelle ultime 48 ore tutti considerano un pericolo questa legge elettorale. Quindi il dibattito è aperto». Più o meno ciò che afferma il capogruppo di LeU Federico Fornaro: «Con una legge proporzionale il governo si fa dopo le elezioni, ma si fa nella chiarezza e nella trasparenza del Parlamento, evitando di imbarcare nelle coalizioni tutto e il contrario di tutto pur di vincere, salvo poi non avere compattezza». «Stiamo però attenti», confida Renzi ai suoi, «a non spaccare la maggioranza su questa riforma, metteremmo a rischio il governo Draghi».  



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