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Edizione del 01/02/2022
Estratto da pag. 1
Il centrodestra esce ammaccato
La prova della sua tenuta alle prossime amministrative
Per comprendere se esista ancora il centro-destra basta rifarsi a un'intervista di Giorgia Meloni, considerata oggi come lontana se non avversa agli (ex?) alleati. Alla richiesta sull'essere ancora tali Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, Meloni ha precisato: «In questo momento, no». Dunque, non è una negazione in assoluto. Infatti, «il centro-destra va ricostruito».Non è certo la prima volta che la coalizione fondata nel '94 da Silvio Berlusconi conosce scossoni, fuoriuscite, ritorni: basterebbe citare il ribaltone voluto da Umberto Bossi (diventato poi amico personale del Cav), che contrappose per un lustro il Carroccio a Fi. Restiamo all'odierna legislatura. Il governo con i grillini trovò: il benestare all'operazione fornito stentatamente da Berlusconi; la partecipazione diretta della Lega; l'astensione di FdI. Per un certo periodo Salvini accarezzò di portarsi dietro la Meloni, la quale invece passò all'opposizione. I tre si ritrovarono uniti contro il gabinetto Conte II, mentre l'esecutivo in carica, costruito da Sergio Mattarella, vide la partecipazione di Lega e Fi (quest'ultima scarsamente considerata da Mario Draghi) e l'opposizione dei Fratelli d'Italia.Oggi il centro-destra detiene un nugolo di regioni e di comuni. Non dovrebbe conoscere scossoni, come ammette la stessa Meloni, in questo caso non polemica: «Sul territorio le dinamiche sono diverse, sono modelli che funzionano. Vedremo nelle prossime ore che succederà, ma ricostruiremo quello che oggi si è rotto, in modo migliore». Si avverte però in svariati posti la voglia di «liberi tutti» per sfogare qua e là ambizioni, dissidenze, velleità.Oggettivamente, la ricostruzione del centro-destra troverà un momento forse decisivo proprio nelle elezioni di primavera. Voteranno ben 25 capoluoghi di provincia e un migliaio di comuni: il numero salirà ancora nelle prossime settimane (la Gazzetta Ufficiale fornisce ricorrentemente decreti di scioglimento di singoli enti). A complicare le urne giungeranno otto referendum, per la cui ammissibilità deciderà la Corte costituzionale il 15 del mese.Salvini già in novembre (si guardi la data) aveva proposto una preparazione comune del centro-destra per le amministrazioni locali. L'idea in sé è più che fondata, visto come ormai da troppo tempo i tre partiti si dimostrino incapaci di trovare candidati periferici dotati di penetrazione, al punto di lasciare a Pd e soci amministrazioni quali Torino, Milano, Roma e Napoli. Se continueranno a prevalere candidature dettate da ragioni politiche di bilanciamenti nazionali, difficilmente il centro-destra porterà a casa risultati estesi e validi.Fino alle politiche del 2018 non sussistevano dubbi: il centro-destra aveva alla testa Silvio Berlusconi. I mugugni non mancavano, ma nessuno negava al fondatore il ruolo di perenne numero uno. Le elezioni sancirono invece il primato della Lega su Fi. A questo punto scattava il principio che il coordinatore è chi arriva primo: ecco che lo stesso Cav riconosceva Salvini come «il nostro leader», ammettendolo nelle convulse consultazioni quirinalizie per il nuovo gabinetto. Berlusconi ha lasciato quindi al Capitano la complicata funzione di responsabile dell'alleanza, sofferta tuttavia da Salvini per l'avanzata di Meloni nei sondaggi e, contemporaneamente, dagli arretramenti del Carroccio.La settimana di fuoco dei suffragi quirinalizi ha visto il tracollo politico, ma si direbbe pure personale, di Salvini, fino al momento in cui Fi cioè Berlusconi ha zittito la consunta primazia dell'iperdinamico leghista, rivendicando proprie decisioni opposte a quelle perseguite dal teorico coordinatore, male alleato con Giuseppe Conte (non con tutti i grillini, ridotti allo sbando).La soluzione del bis ha visto Berlusconi, pur acciaccato, consenziente, come il riottoso Salvini, ma non Meloni. Nel caso specifico Salvini, accedendo al progetto, ne ha determinata l'esecuzione. Il Cav ha ripetuto sue precedenti concessioni, scarsamente produttive nel seguito degli eventi: disse sì all'elezione di Carlo Azeglio Ciampi e al bis per Giorgio Napolitano, dandos
i la zappa sui piedi. Meloni, invece, come si colloca all'opposizione del governo, così ha operato con coerenza contro un presidente che già aveva osteggiato in prima battuta.Ovviamente le linee politiche non coincidenti a Roma potrebbero non danneggiare il centro-destra, se non altro perché i cittadini gradiscono una molteplicità di offerte, e dunque maggioranza versus opposizione. Altro discorso, invece, è il ruolo del coordinatore. Non appena il Cav ha ritirato la propria candidatura (i dati posteriori confermano a tutti, tranne proprio al diretto interessato e ai suoi ripetitori, l'inanità di tale tentativo), Salvini ha agito con una giravolta di azioni che, in buona sostanza, sono riuscite esclusivamente a bruciare candidati veri, possibili, fasulli. Si è attribuita la funzione di portavoce, guida, responsabile del centro-destra. Il personaggio, pure per i suoi fallimenti quirinalizi, non è oggi accettato ai vertici dell'alleanza.Salvini non lo tollera Meloni, la quale avverte un'occasione per ridimensionarne il peso. Sono divenuti distinti e lontani taluni settori della Lega, pure a livelli elevati, al punto di far sussurrare che la popolarità indiscussa di Luca Zaia potrebbe recare il presidente veneto molto sopra i confini regionali, mentre la posizione di Giancarlo Giorgetti è traballante. Il Cav ritiene che Salvini, ma va aggiunta la Meloni, non sia accettato né in prospettiva europea né ai vertici della coalizione. Quanto al Cav, ritornato nella comprensione generale (si vedano auguri e telefonata di Enrico Letta), intende riprendere autonomia, succedendo a quelli che avrebbe definito «ragazzini». I cespugli di centro-destra, infine, guardano alla possibile nascita di un'autonoma formazione, come invero da decenni vanamente auspicato.Attenzione, però. La ricostruzione dell'alleanza può trovare difficoltà minori di quelle che soprattutto l'esercito degli avversari opina, purché non si affacci con decisione la riforma elettorale in direzione proporzionale. A quel punto Meloni ha già annunciato una guerra totale, e finora pure Salvini si è detto pesantemente ostile. Ufficialmente, pure Fi si dichiara maggioritaria. Solo ufficialmente, però. Non era ufficiale il ritiro del capo dello Stato fino a un secondo prima della conferma?