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Dir. Resp.
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Edizione del 02/01/2022
Estratto da pag. 1
Nel mare magnum degli emendamenti approvati insieme alle legge di Bilancio si nasconde una novità che potrebbe cambiare non poco la struttura del mercato del lavoro in Italia, soprattutto per i giovani. Si tratta di un provvedimento di cui poco o nulla si è detto nei giorni scorsi ma che vuole intervenire in modo radicale sulla natura e sulle regole di svolgimento dei tirocini extra-curriculari.
Per capire la centralità che i tirocini extra-curriculari, che si svolgono (a differenza dei curriculari) dopo un percorso formativo, nel 2019 il numero di quelli attivati è stato di 355mila. Se prendiamo il numero complessivo di politiche attive erogate grazie al piano Garanzia giovani tra il 2014 e il 2021 (circa 1 milione) ben il 56 per cento è consistito in questa forma di tirocinio.
Le criticità di un utilizzo così massiccio dello strumento sono state evidenziate da più voci ultimamente. Ma, salvo qualche eccezione, non ci sono mai state proposte di riforme radicali. Le criticità vanno dalla scarsa natura formativa di molti tirocini, spesso utilizzati come forma di impiego di manodopera a basso costo, all’assenza di contributi previdenziali per i periodi di tirocinio che spesso sono anche reiterati per diversi anni, fino al loro ruolo di ostacolo nei confronti dell’apprendistato, forma di inserimento nel mercato del lavoro che presenta molte più tutele, a partire dal fatto che, a differenza dei tirocini, è un vero e proprio contratto di lavoro.
In questo scenario si inserisce l’emendamento fatto proprio dal ministero del Lavoro che prevede diverse modifiche. Una in particolare sembra però essere dirompente ed è quella che ne circoscriverebbe l’applicazione a soggetti con difficoltà di inclusione sociale.
Una definizione che letta in questi termini sembrerebbe comprendere tanti soggetti, inclusi magari anche i giovani disoccupati. Ma che se andiamo ad analizzare bene sembra invece rimandare a quelle forme di tirocinio, già presenti e normate in molte regioni, rivolte a soggetti svantaggiati quali disabili, tossicodipendenti, detenuti ed ex detenuti e altri ancora.
Questo implicherebbe di fatto un ridimensionamento pressoché totale dei tirocini extra-curriculari, infatti i tirocini per l’inclusione sociale rappresentano oggi solo il 3 per cento del totale di quelli attivati. Molto dipenderà da come le regioni interpreteranno la norma considerato che l’articolo della legge di Bilancio in questione chiede a loro e al governo (in sede di Conferenza stato-regioni) un accordo per la definizione di nuove linee guida che seguano quanto detto.
Se in quella sede la “difficoltà di inclusione sociale” verrà interpretata in un inedito senso ampio i tirocini extra-curriculari potrebbero vedere alcune modifiche ma non tali da modificarne radicalmente l’utilizzo. Se al contrario, e come una prima lettura della norma sembra suggerire, si andrà verso una restrizione dell’utilizzo dello strumento le novità saranno molte.
Quello che è chiaro al momento è che la confusione è molta, a partire dal fatto che intendere i tirocini come misura di politica attiva, finalizzata all’orientamento e al miglioramento dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro è qualcosa di molto diverso da uno strumento di inclusione sociale.
La scelta di procedere con un emendamento a discussione avanzata della manovra non ha consentito un dibattito che, con il contributo di molti che si sono occupati negli anni del tema, avrebbe permesso di fare chiarezza e di porre i problemi sul tavolo.
Salvo che si sia invece voluto intervenire in questa modalità per limitarsi a lanciare un messaggio politico a favore di un impegno del governo sul tema, fino ad allora non trattato, dell’occupazione giovanile nella legge di Bilancio senza troppo interesse per l’esito concreto rimandato a una sede, la Conferenza stato-regioni, nella quale prendere una posizione così forte come la sostanziale abolizione dei tirocini extra-curriculari sembra difficile.
Se si voleva intervenire nettamente con
una abolizione difficilmente si sarebbe proceduto quindi in questo modo. Così come sembra abbastanza critica una abolizione in toto senza prevedere qualche soluzione intermedia, magari salvaguardandoli per i neodiplomati e neolaureati entro 12 mesi garantiti da convenzioni con le scuole (come proposto recentemente da Adapt, l’associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro).
Il rischio ora è quello di indebolire, considerate le modifiche normative che verrebbero aggiunte, anche i pochi tirocini per l’inclusione, esperienza povera in termini di numeri ma utile perché si rivolge a una fetta veramente svantaggiata della popolazione che avrebbe poche altre opportunità.
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Presidente di Fondazione ADAPT e assegnista di ricerca presso l'Università di Modena e Reggio Emilia