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Edizione del 17/12/2021
Estratto da pag. 1
Borrelli: «La cultura della gag usa l’insulto »
Il drammaturgo e gli strali di De Luca contro gli intellettuali «imbecilli»: serve un assessore come Nicolini
l’intervista

Mezzogiorno, 17 dicembre 2021 - 08:14

Borrelli: «La cultura della gag usa l’insulto »

Il drammaturgo e gli strali di De Luca contro gli intellettuali «imbecilli»: serve un assessore come Nicolini

di Natascia Festa

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Sempre su La cultura dell’insulto . Il tema sollevato dal direttore Enzo d’Errico nell’editoriale di due giorni fa è stato commentato ieri, da par suo, da Biagio de Giovanni. E in sintesi è questo: il governatore Vincenzo De Luca questa volta ha preso di mira gli intellettuali napoletani «una serie di imbecilli che sporcano pagine di giornali locali con esempi insopportabili di provincialismo, di municipalismo, di volgarità e stupidità». Dell’insulto nella sua forma immaginifica Mimmo Borrelli — considerato il maggiore drammaturgo italiano oltre a essere ‘O Maestrale in Gomorra. La serie — è un’autorità assoluta. Ne ha impastati con polvere di tufo flegreo e vento di Torregaveta di così barocchi da condurre lo spettatore in una sorta di stordimento linguistico-fonetico.

Borrelli cosa pensa di questa deriva linguistica da parte di un vertice istituzionale? «Ho iniziato a riflettere sull’insulto molti anni fa. Avevo intercettato l’insorgere di questo fenomeno e l’ho assunto nei miei testi verticalizzandolo. Spiego: per far comprendere il portato di violenza che c’è nell’insulto lo traduco nella sua forma più eccessiva ed icastica. E ho avuto ragione. Eccoci qui molti anni dopo a parlare della cultura dell’insulto usata da esponenti delle istituzioni. Quello dei miei spettacoli però è l’urlo dei poveri contro il potere dei pochi. I disagiati sì che ne hanno diritto non coloro che sono dentro il monopolio. I privilegiati, invece, hanno fatto propria quella violenza verbale e la usano a piacimento. Un po’ mi meraviglio che De Luca si sia piegato a questa necessità».

In che senso? «A suo modo, il governatore è un oratore molto capace — da attore me ne accorgo subito — e non capisco perché abbia deciso di abbassare il suo linguaggio in questo modo. O meglio lo capisco: ha necessità come tanti, per colpa anche della stampa, di “fare scalpore” e di ricevere consenso immediato».

Quello dei like? «Esatto. Faccio dei nomi di politici che ho odiato: Andreotti, Craxi, De Mita e addirittura De Michelis. Se rileggiamo i loro discorsi troviamo una qualità altissima. Forse anche De Luca ne potrebbe essere capace ma ha derogato alle sue qualità perché ha avuto successo proprio degradando il suo linguaggio e creando la cultura della gag».

Perché gli strali contro gli intellettuali? «Gli intellettuali — e i Pasolini ahimè non ci sono più — vengono visti come outsider da ingabbiare. Altri a dirla tutta fanno salotto tra di loro. Un tempo la politica si rivolgeva ai sapienti per capire come il mondo poteva cambiare. Noi invece, mi ci metto pure io, siamo una serie di soggetti alla mercé dei fondi pubblici destinati a strutture politiche che poi le elargiscono. Un tempo, invece, i finanziamenti venivano destinati a soggetti che avevano espresso un valore, agli artisti. Negli anni Ottanta la compagnia di Roberto De Simone riceveva 800 milioni, forse troppi per qualcuno, non certo per me. Oggi invece i soldi vanno agli enti, ai Teatri pubblici e si crea una dinamica di dipendenza. La cultura diventa così vetrina, spot».

La politica non fa mecenatismo ma cerca consenso. «Gli amministratori passano, però, e i poeti restano. La verità è che i cosidetti intellettuali sono visti come scimmie in gabbia».

E i fondi sono le noccioline. «È come se dicessero: il tuo spettacolo è bello ma noi te lo facciamo fare. C’è poi l’intellighenzia autoeletta, quella che giudica e dice: questo sì quest’altro no. Risultato: le persone non vanno più a teatro. Non mi meraviglia: perché dovrebbero spendere 30 euro per vedere la rivisitazione penosa di un classico da parte di tizio o caio. Non si dà spazio ad artisti che raccontano il presente. Oggi la cultura è entourage, se c
i sei dentro lavori, se ne sei fuori vieni avvertito come un rischio».

Oltre all’assessorato regionale che ha avocato da subito a sé, De Luca ha detto «manca l’assessore comunale alla Cultura? E chi se ne frega, lo faccio io». «Rispondo con un esempio. Bassolino come assessore chiamò Renato Nicolini l’uomo che aveva capito che il teatro non poteva finire a maggio e inventò l’Estate romana . Gli amministratori devono amministrare per tutto il resto è necessario affidarsi a chi sa fare le cose».

17 dicembre 2021 | 08:14

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