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Edizione del 08/12/2021
Estratto da pag. 1
PER PORTARE A COMPIMENTO IL PNRR SERVE UN ISTITUTO PER LA REALIZZAZIONE DEL PIANO - Il Quotidiano del Sud
Il conflitto di poteri fra Stato e Regioni è una patologia che se non risolta non consente la realizzazione di un programma organico e strettamente integrato con il territorio quale è il Piano nazionale di ripresa e resilienza
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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci ha fatto capire quanto sia determinate l’Ente locale e quanto sia essenziale il rapporto tra Stato ed Ente locale.

La Presidente di Italiadecide Anna Finocchiaro presentando il Rapporto 2021 dell’associazione per la qualità delle politiche pubbliche ha detto: “il conflitto di poteri tra Stato e Regioni è una piaga decennale. E abbiamo costatato tutti la solitudine dei sindaci della prima fase della pandemia. I rapporti verticali tra i vari livelli istituzionali sono improntati nel nostro Paese a un criterio gerarchico.

Ma questa impostazione non può funzionare con l’obiettivo transizione ecologica contenuti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha un carattere trasversale a tutti i livelli delle politiche pubbliche”. In realtà appare evidente questa patologia del nostro sistema istituzionale ed è una patologia che se non risolta non consente la realizzazione di un programma organico e strettamente integrato con il territorio quale è il PNRR.

Ricordo sempre ogni volta che affronto il tema della infrastrutturazione del nostro Paese che la concreta realizzazione di una infrastruttura non è difficile perché:

•             non ci siano qualità professionali capaci di progettare interventi tecnologicamente avanzati

•             non ci siano adeguate risorse finanziarie

•             non esistano capacità imprenditoriali in grado di realizzare opere complesse e all’avanguardia

•             non ci siano adeguate procedure di verifica, di approvazione e di controllo delle proposte progettuali ma il vero motivo delle ricorrenti difficoltà della messa a terra delle scelte progettuali è da individuare proprio nella discrasia vigente tra Stato ed Ente locale. Una discrasia che non è superabile con lo strumento del “Dibattito pubblico”, non è superabile con lo strumento della “Conferenza dei Servizi”.

Sono strumenti che, nel migliore dei casi, offrono solo occasioni di conoscenza di una proposta progettuale ma che non superano assolutamente il difficile rapporto tra Stato – Regioni – Province – Aree metropolitane – Comuni.

Nel caso delle infrastrutture ed in particolare delle reti stradali e ferroviarie è sbagliato pensare che il sistema arterioso dipenda dallo Stato e quello venoso dagli Enti locali, è sbagliato perché sia il sistema arterioso che venoso rivestono un ruolo ed una funzione paritetica e, quindi, è solo assurdo continuare a sostenere un simile equivoco, è assurdo, ad esempio, continuare a concepire, con il supporto del Fondo di Sviluppo e Coesione, un Programma Operativo Nazionale (PON) ed un Programma Operativo Regionale (POR). Ed è davvero strano che una sede istituzionale come la Conferenza Stato Regioni Province e Comuni non abbia compreso che, come ha detto la Presidente Finocchiaro “occorre superare il sistema gerarchico e conflittuale delle nostre istituzioni se si vuole che i progetti del PNRR si realizzino entro il 2026. Il tempo per i conflitti è scaduto”.

Bisogna dare atto a Donato Menichella, a Gabriele Pescatore, a Pasquale Saraceno che, nei vari loro interventi preparatori alla creazione della Cassa del Mezzogiorno, ipotizzarono sempre la istituzione di un organismo che programmava, progettava e realizzava in modo organico interventi capaci di innescare la crescita in aree critiche come quelle del Mezzogiorno. Ripeto un organismo, non tanti organismi, cioè Dicasteri, Regioni, Province, Comuni, ma solo un organismo capace di diventare catalizzatore delle proposte, degli interessi provenienti dall’organo centrale e dall’organo locale, un organismo capace di assolvere, in modo unitario, un processo che non può essere affrontato ricorrendo alla frantumazione delle finalità.

Nel nostro Paese si realizzano gli assi portanti della rete ferroviaria ad Alta Velocità e poi si perdono o si sottovalutano le esigenze delle reti locali, quelle che danno vita e supportano il pendolarismo.

Nel nostro paese si realizz
ano grandi assi autostradali e si rendono in alcuni casi irraggiungibili aree chiave di determinati ambiti regionali.

Ma, ancora peggio, la infrastrutturazione del Paese non può essere soggetta alla qualità gestionale di una determinata Regione, non può essere legata alla qualità ed all’efficienza di giunte regionali capaci, di amministrazioni comunali efficienti.

Tra l’altro il nostro Paese da oltre 35 anni dispone di un Piano Generale dei Trasporti, più volte aggiornato e di un Programma delle Infrastrutture Strategiche approvato dalla Legge 443/2001 (Legge Obiettivo); un Programma di 332 miliardi di euro di cui già spesi dal 2002 al 2014 circa 140 miliardi di euro, un Programma di interventi che, per oltre il 90%, è ancora una volta stato confermato nel PNRR; quindi non abbiamo assolutamente bisogno di programmare, abbiamo bisogno di attuare scelte diventate, in tutti questi anni, veri “invarianti” di cui il Paese non può farne a meno.

Ed allora nasce spontanea una proposta: occorre costruire un Istituto per l’Attuazione del Piano, cioè un organismo in parte simile alla ex Cassa del Mezzogiorno, cui affidare il compito di attuare le strategie del Governo, del Parlamento, degli Enti locali; un Istituto che interagisca pariteticamente con i Dipartimenti della Unione Europea, con i Dicasteri, con le Regioni, con le Provincie, con le Aree metropolitane, con i Comuni. Un organismo che, per quanto concerne gli aspetti finanziari, dovrebbe essere supportato dalla Cassa Depositi e Prestiti e dalla Banca Europea per gli Investimenti. Un organismo che possa smontare integralmente le sistematiche discrasie tra organo centrale ed organo locale; un organismo che sprovincializzi i nostri schieramenti politici, un organismo che, sono convinto, farebbe uscire il Mezzogiorno da una lunga ghettizzazione che ormai sembra irreversibile.

Forse questa proposta, ritenuta oggi utopica ed irrealizzabile, sarà accettata quando cominceremo a capire che per attuare il PNRR è fondamentale ricorrere ad un simile organismo. Sarà troppo tardi? Non credo perché nel 2023, quando effettueremo il previsto tagliando sullo stato di avanzamento del PNRR, sicuramente chiederemo uno spostamento della scadenza del 2026 al 2030 e, in quella occasione, spero invocheremo il ricorso ad un Istituto per l’Attuazione del Piano.

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