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Edizione del 04/11/2021
Estratto da pag. 1
Giorgetti, il ministro che spaventa Salvini: “Io leader? Non sono tagliato”
Potente ma anche leale: fenomenologia del numero due del Carroccio, che ammette i suoi limiti. Lo stupore per la reazione sproporzionata del segretario: «Poteva cavarsela con un’alzata di spalle»
Un consiglio federale della Lega che si riunisce in pompa magna per commentare le sue interviste: qualunque personaggio narciso, e ce ne sono tanti in giro, al posto di Giancarlo Giorgetti si sentirebbe appagato. Vorrebbe dire che da ministro dello Sviluppo è ormai così potente, nei giochi talmente centrale, da creare un terremoto politico semplicemente con quattro chiacchiere in libertà, per giunta riferite da Bruno Vespa nel suo prossimo libro-strenna e astutamente gettate in pasto ai media. L’aspetto più lusinghiero, più gratificante nell’ottica di Giorgetti, è che tutta questa agitazione in fondo si è scatenata senza un vero perché. Il ministro (asseriscono dalle sue parti) non ha fatto altro che ribadire concetti già espressi un mese fa sulla Stampa; solo menti malate (insistono) potrebbero scambiare i consigli a Salvini come chissà quale manovra per rubargli il berretto da Capitano.Matteo non ha nulla da temere, ammesso che sia questa la sua preoccupazione. Se c’è un soldato disposto a immolarsi nel nome della causa leghista, quel qualcuno è proprio Giorgetti. Il quale, a microfoni spenti, quando si fida dell’interlocutore, mostra l’umiltà di riconoscere i propri limiti caratteriali, ammette di non sentirsi tagliato per fare il leader; dà atto che alla fine contano i voti e nell’arte di acchiapparli Salvini non ha rivali a parte Luca Zaia, confinato però nel Veneto e, forse, da lì inesportabile. Anche quando brontola, cioè spesso, alla fine Giancarlo è leale. Falso che stia organizzando una sedizione interna; esagerato definirlo pappa e ciccia coi congiurati del Nord, veri o presunti, incominciando dal governatore del Friuli Massimiliano Fedriga.La sua biografia è lì a smentire chi, nella destra-destra, considera Giorgetti un “compagno” travestito (illusione ottica in cui cadono in parecchi): super-occidentale, americano con la kappa e reduce da colloqui molto riservati negli States, figlio della tradizione cattolica pro-life e anti-abortista, quella per intendersi che non stravede per Papa Francesco. Sono i tratti di un politico conservatore, allineato con i popolari della tedesca Cdu. Sarebbe diventato forse democristiano ma, quando iniziò a fare gavetta da sindaco di Cazzago Brabbia sul lago di Varese, la Dc si era già estinta; divenne leghista con il mito di Umberto Bossi. L’uomo, che in queste ore fa di tutto per mostrarsi «tranquillo e sereno», non pensa minimamente di traghettare la Lega a sinistra assecondando i piani di Enrico Letta o addirittura di Giuseppe Conte, l’Avvocato del popolo. Il suo cuore batte dall’altra parte. Si accontenterebbe che Salvini desse più ascolto a lui e meno a quella manica di «talebani», i quali lo spingono nelle praterie della sguaiataggine facendogli del male. Gli basterebbe che scegliesse meglio da chi farsi consigliare rispondendo qualche volta al telefono, anziché negarsi per settimane. Tutto qua, e forse non è poco; ma agli occhi di Giorgetti nemmeno giustifica la tentazione di metterlo in riga prima nei confronti di Mario Draghi, adesso di mortificarlo davanti agli altri maggiorenti della Lega, lanciandogli contro un martello come Pinocchio al Grillo parlante.Ecco dunque il mistero che Giorgetti e i suoi amici più stretti non riescono a decrittare: come mai da un leader anarcoide come Salvini sia arrivata una reazione così sopra le righe, all’insegna della «lesa maestà», dei metaforici pugni sul tavolo, del «qui comando io». Che bisogno c’era, si domandano. Un leader sicuro del fatto suo poteva tranquillamente cavarsela con un’alzata di spalle, snobbando le osservazioni del suo ministro con una battuta. Avrebbe dato una prova di forza. Matteo invece ha calcato la mano mancando un po’ di auto-stima, dimostrandosi vittima delle proprie fragilità, posseduto dai suoi fantasmi. Quasi che, invece di scavare le ragioni della crisi leghista, dei 15 punti persi dalle Europee a oggi, dell’empatia col mondo reale smarrita, della leadership di centrodestra ormai ceduta a Giorgia Meloni, Salvini ne abbia inteso scaricare le colpe sul parafulmine Giorgetti. Cogliendo al balzo l
a palla dell’intervista a Vespa per auto-assolversi e farsi confermare una scontatissima fiducia dall’apparato di vertice della Lega e da Giorgetti medesimo, com’era prevedibile. A conti fatti, un’ammissione di debolezza.