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Edizione del 27/10/2021
Estratto da pag. 1
"Medici di famiglia così non va. Diventino dipendenti delle Asl"
Le Regioni chiedono di cambiare status ai camici bianchi oggi liberi professionisti convenzionati. Icardi: Senza modifiche non parte la medicina territoriale. Sul tavolo anche un sistema con obiettivi e verifiche. Oggi l''incontro con Sper
SANITÀ & RECOVERY

"Medici di famiglia così non va.

Diventino dipendenti delle Asl"



Stefano Rizzi 07:00 Mercoledì 27 Ottobre 2021

Le Regioni chiedono di cambiare status ai camici bianchi oggi liberi professionisti convenzionati. Icardi: "Senza modifiche non parte la medicina territoriale". Sul tavolo anche un sistema con obiettivi e verifiche. Oggi l'incontro con Speranza. I sindacati fanno muro

“Se non si mette mano alle regole sui medici di famiglia, non si può fare una vera riforma della medicina territoriale”. Mettere mano, come sostiene l’assessore regionale alla Sanità Luigi Icardi, sullo status di questa parte di camici bianchi e sul loro rapporto con il sistema sanitario equivale a metterla su una bomba pronta ad esplodere. 

A confermarlo basterebbero le durissime reazioni dei sindacati nei confronti di Letizia Moratti colpevole di aver detto che i medici di medicina generale lavorano molte meno ore rispetto ai loro colleghi ospedalieri. Si è scatenato il finimondo. Proprio insieme alla sua omologa lombarda e al suo successore alla guida della commissione Salute in Conferenza delle Regioni, l’emiliano Raffaele Donini, Icardi parteciperà (sia pure in videoconferenza per poter presenziare ai lavori del Consiglio regionale sulla commissione di indagine sull’emergenza Covid) all’incontro con Roberto Speranza sulla questione dei medici di famiglia. 

Al ministro della Salute gli assessori alla Sanità di tutte le Regioni, qualche settimana fa, avevano inviato la richiesta di trasformare i medici di famiglia da liberi professionisti convenzionati con il sistema sanitario a dipendenti delle Asl. Una rivoluzione in piena regola, dettata dalla presa d’atto trasversale ai vari colori politici dei titolari della sanità regionale di un modello che non funziona come dovrebbe. Le probabilità di un simile cambiamento, a fronte dei muri subito eretti dalle rappresentanze sindacali a partire dal maggior sindacato di categoria, la Fimmg, appaiono veramente esigue e nessuno si fa troppe illusioni. Da qui il piano B, che potrebbe anche coesistere con una parziale applicazione di quello principale. “In alternativa abbiamo proposto al ministro un sistema di accreditamento, molto simile a quello che regola il rapporto con le strutture della sanità privata. – spiega Icardi – Contrariamente a quanto accade oggi, ci sarebbero degli standard definiti da rispettare sia a livello nazionale, sia regionale, dei parametri da rispettare e, non ultimo, delle verifiche costanti”.

Un fatto è certo, così com’è il sistema non funziona come dovrebbe e non potrà garantire l’applicazione delle riforme previste dal Pnrr per la medicina territoriale. “Aspettiamo di vedere la proposta del ministro, la valuteremo – preannuncia Icardi – ma in ogni caso chiederemo l’applicazione del nuovo quadro normativo già da gennaio del prossimo anno”. Da quel poco che trapela, da Speranza non arriverà l’accoglimento della richiesta principale delle Regioni, insomma ci vorrebbe quasi un miracolo per vedere i medici di famiglia passare alle dipendenze del sistema sanitario regionale, con tutto quel che ne conseguirebbe. 

Il lavoro dei medici di famiglia, che restano liberi professionisti a tutti gli effetti, è disciplinato da accordi collettivi sottoscritti dalle rappresentanze sindacali e dalla Conferenza Stato-Regioni. Quello in vigore prevede che lo studio sia aperto cinque giorni a settimana e il numero di ore minimo garantito dipende dal numero di assistiti: si va dalle cinque ore settimanali per chi ha fino a 500 pazienti, alle 15 per 1.500 assistiti, ovvero il numero massimo consentito. Un impegno che, da sempre, varia da dottore a dottore, con casi in cui il limite minimo si raddoppia e talvolta si triplica. E questo avveniva anche quando non si era in emergenza com
e lo si è da quasi due anni. Ma la disponibilità a lavorare di più era ed è tuttora lasciata alla coscienza del singolo professionista. Rispondere fuori dall’orario di studio alle chiamate, visitare a domicilio i pazienti, anche queste sono attività che hanno punte di estrema disponibilità cui non di rado corrispondono situazioni opposte. Ecco perché, in subordine alla trasformazione da professionisti in convenzione a dipendenti, le Regioni chiedono almeno il regime di accreditamento con obiettivi assegnati e verifiche delle prestazioni effettuate.

Leggi qui la proposta delle Regioni

Il cambio di passo ha una ragione ineludibile: la richiesta di rivedere le regole di ingaggio da parte dell’Unione Europea per poter spendere i soldi del Pnrr. I medici di medicina generale dovranno assicurare il funzionamento delle case di comunità che in Piemonte è previsto debbano essere 90. Con gli attuali orari definiti dalla convenzione e con lo status riconosciuto a quelli che una volta erano i dottori della mutua, è praticamente impossibile pensare a far funzionare le future strutture territoriali. Non solo. L’anomalia data dalla libera professione e dal rapporto fiduciario con il paziente da una parte e dal regime di convenzione con il sistema sanitario pubblico, mostra più un lato debole e questioni irrisolte da tempo.

L’impossibilità di chiedere cambiamenti nella programmazione e nella gestione dell’attività ambulatoriale se non imponendo modifiche difficoltose alla convenzione, unita alle richieste che i sindacati dei medici di famiglia avanzano ogniqualvolta vi sia un’esigenza (dalle vaccinazioni, ma addirittura agli incentivi economici riconosciuti per convincere i riottosi verso l’immunizzazione), fanno del rapporto sanità regionale-medici di famiglia uno dei più complessi e spesso difficili.

Oggi Speranza dirà quale strada intende proporre alle Regioni in risposta alla richiesta di un notevole cambiamento per i principali attori della futura sanità territoriale.

In Piemonte sono poco più di tremila, un numero inferiore rispetto alle necessità secondo la Fimmg che chiede incentivi economici per rendere più attrattivi i posti ancora vacanti in tutta la regione con la sola eccezione di Torino. Un motivo in più per mettere mano a un’anomalia come quella della figura ibrida del medico di famiglia, a metà tra libero professionista e anello importante della catena sanitaria pubblica, pur sapendo che si maneggia una bomba corporativa pronta a scoppiare.

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