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Edizione del 05/10/2021
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Roberto Esposito: «Manfredi, il patto Pd-M5s-Leu è un modello nazionale»
Il filosofo: «La vittoria è da ascrivere soprattutto a Letta e Conte. L’ex rettore ha saputo mettere insieme le tredici liste. L''erdeità di de...
L’intervista

Mezzogiorno, 5 ottobre 2021 - 09:02

Roberto Esposito: «Manfredi, il patto Pd-M5s-Leu è un modello nazionale»

Il filosofo: «La vittoria è da ascrivere soprattutto a Letta e Conte. L’ex rettore ha saputo mettere insieme le tredici liste. L'erdeità di de Magistris è praticamente inesistente»

di Gimmo Cuomo

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Roberto Esposito«Una forte vittoria a Napoli che può anche indicare una strategia più ampia. Manfredi può essere una personalità destinata a segnare le sorti della città. Auguri». Così a caldo il filosofo Roberto Esposito valuta l’elezione a sindaco dell’ex rettore.



Professore, immaginava una vittoria così netta? «Non così netta. Evidentemente le liste che ha aggregato hanno funzionato bene. Lui è stato un buon tessitore di questa rete. In particolare, mi pare che abbiano giocato a suo favore la garanzia ottenuta rispetto al dissesto e l’aver voluto il patto tra Pd, M5S e Leu».

Le tredici liste a sostegno hanno avuto un peso determinante in un contesto nel quale il primo partito è stato quello dell’astensione? «Penso di sì. Così come penso anche che sul pessimo risultato di Maresca abbia influito l’eliminazione di alcune liste».

L’astensionismo a Napoli ha connotazioni particolari? «Sentendo gli umori dei quartieri popolari e dei tassisti, questo tema dell’antipolitica è sempre forte. “Tanto tutti sono uguali, tutti disonesti”. Fa parte dello scetticismo napoletano. Ma il dato dell’astensione è omogeneo in ambito nazionale. Non insisterei quindi troppo sulla specificità napoletana».

Napoli è stata l’unica grande città in cui Pd e M5S correvano insieme al primo turno. La vittoria rappresenterà un modello da seguire a livello nazionale? «Ormai non si torna indietro. L’alleanza Pd-M5S può non piacere, ma si conferma un fatto necessario perché manca un’alternativa. Si è visto che lo scontro a Roma ha messo in seria difficoltà la prospettiva di un corso neocentrista del Pd. I pentastellati, per quanto ridimensionati, restano una forza tra il 15 e il 20 per cento che non ha alternative. La vittoria di Manfredi ha dunque un significato nazionale».

Pd e M5S alleati vincenti al Comune di Napoli e avversari in Regione. Durerà questa contraddizione? «De Luca ha appoggiato Manfredi, e, poi, l’orientamento generale nel centrosinistra va in questa direzione. Non sarà semplice, non accadrà subito ma anche alla Regione si andrà verso un riavvicinamento».

Vincenzo De Luca è ora “padrone” anche di Napoli? «Non direi. A Napoli hanno vinto soprattutto Letta e Conte. De Luca ha avuto un ruolo importante ma non stringe il suo dominio su Napoli».

Manfredi ha già detto che coinvolgerà nella squadra di governo l’ex questore di Napoli Antonio De Iesu. Riuscirà a completare l’esecutivo con personalità della stessa caratura o sarà costretto a pagare un debito ai partiti? «Manfredi ha buoni rapporti con ampi settori di competenze. Pensiamo all’ambito culturale, alla ricerca. Sicuramente coinvolgerà tecnici di alto profilo. Certo dovrà concedere qualcosa al Pd e al M5S. Non è il Draghi napoletano, ma è in grado di guidare il processo con personalità di sua fiducia».

La debacle di Catello Maresca si spiega solo con l’esclusione di un terzo delle liste o anche con motivazioni di ordine politico? «Il centrodestra ha sempre, con toni diversi, combattuto la magistratura. La candidatura di un magistrato può essere stata letta come una contraddizione. Ha pagato dunque il fatto di essere un magistrato. In più a Napoli il partito storicamente trainante del centrodestra, cioè FI, non è più riuscito a esercitare questo ruolo».

Cosa avrebbe dovuto fare il centrodestra per risultare almeno competitivo? «Forse l’unico candidato abbastanza competitivo poteva essere Mara Carfagna. Voto femminile, qualche simpatia nel centrosinistra. Ma Manfredi era troppo forte: aveva l’appoggio del governo Conte e del Govern
o Draghi».

Che valutazione dà del risulto di Antonio Bassolino? «Forse si aspettava qualcosa di più. C’era una sensazione di crescita. Ma guardando con oggettività, se il 60 per cento è andato a Manfredi quello di Bassolino, in fin dei conti, non è un cattivo risultato. I napoletani gli hanno riconosciuto un ruolo. Spero che lo svolga. Un ruolo politico culturale, s’intende, certamente non istituzionale».

L’era de Magistris si può considerare una parentesi, per quanto lunga, ormai archiviata? «Il sindaco uscente non ha lasciato molto alla città, tranne qualche segno sul turismo. Ma nel complesso non c’è alcuna eredità da raccogliere».

5 ottobre 2021 | 09:02

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