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Dir. Resp.
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Edizione del 24/02/2020
Estratto da pag. 1
Coronavirus, perché chiudere le frontiere ai migranti (come chiede Salvini) non ha alcun senso
In piena emergenza da coronavirus, il leader della Lega Matteo Salvini ha spostato l'attenzione ancora una volta sugli sbarchi e sui migranti, additati come ulteriori fattori di rischio per per la diffusione del virus. Proprio ieri sera ha ribadito il concetto, riprendendo anche le polemiche per i mancati periodi di quarantena, per le persone che nelle scorse settimane rientravano dalla Cina: "Siamo stati accusati di razzismo perché chiedevamo controlli e quarantene. Parlare di quarantena sembrava una parolaccia a gennaio, adesso a detta di tutti i medici e virologi è l'unico modo per circoscrivere il problema", ha detto parlando da Genova a proposito del piano messo in atto dal governo per affrontare l'epidemia.
"Sicuramente – ha aggiunto – a livello di governo qualcuno ha sottovalutato, non ha capito o non ha voluto fare quello che doveva. Aumentare i controlli è doveroso. Via aerea, via terra e via mare. Non è legato al contagio, ma che in queste ore stiamo sbarcando centinaia di migranti provenienti dall'Africa, dov'è certificata la presenza del virus, non mi sembra una scelta responsabile".
In particolare nella giornata di ieri Matteo Salvini ha contestato lo sbarco dei 274 migranti della Ocean Viking di Msf e Sos Mediterranee. In questo caso le persone salvate, che sono state portate a Pozzallo, in Sicilia, e sono state messe in quarantena nell'hotspot del paese. Sulla nave, lo ricordiamo, non c'era alcun caso sospetto, ma le autorità hanno comunque deciso per l'isolamento, "in conformità alle decisioni prese dall'Unità di crisi convocata nei giorni scorsi dall'assessore alla Salute", ha spiegato il presidente della Regione Nello Musumeci. L'equipaggio rimarrà invece per 14 giorni a bordo. Tutti i provvedimenti quindi sono stati presi per precauzione. Per questo una misura chiesta dal segretario del Carroccio, come quella di chiudere i porti alla nave dell'ong, sarebbe stata del tutto spropositata e ingiustificata.
In risposta agli attacchi l'Asp di Ragusa ha confermato che tra ieri e oggi sono stati effettuati oltre 100 tamponi per il coronavirus tra i migranti sbarcati a Pozzallo ieri mattina dalla nave Ocean Viking. Ma una fake news diffusa ieri, a proposito di sette casi di coronavirus nel ragusano, ha scatenato la psicosi. Si è già provveduto alla denuncia alla polizia postale per risalire all'autore, e anche l'Asp di Ragusa ha confermato che si trattava solo di una fake news, montata ad arte.
Per quanto riguarda l'attività delle navi, al momento si continua solo con i controlli documentali sulla provenienza dei passeggeri e i loro recenti spostamenti. Sulla situazione dei migranti, l'ong Medici senza frontiere ha twittato così: "L'epidemia di Covid-19 non dovrebbe tradursi in una nuova ingiustificata ansia pubblica nei confronti di coloro che sono stati salvati in mare e non servono come pretesto per impedire a Ocean Viking di riprendere il suo lavoro di controllo nel Mediterraneo centrale".
Parliamo innanzi tutto di cifre. I casi accertati in Italia hanno superato ampiamente quota 200, e il nostro Paese è il terzo al mondo per numero di contagi. Stando alla mappa elaborata dalla Johns Hopkins University, che viene aggiornata di continuo, nel Nord Africa c'è un solo caso accertato, in Egitto. Chiaramente questo non significa che possiamo dire con certezza che in Africa non stia circolando il virus, ma significa solo che di questi Paesi non si hanno informazioni sufficienti, perché magari gli screening anti coronavirus non sono partiti, o perché ci sono meno controlli. Sicuramente il livello di allerta resta alto, considerato che, come ha scritto Forbes, la Cina è il principale partner commerciale dell'Africa, con circa 10mila aziende cinesi che operano in tutto il continente. E sicuramente le strutture sanitarie in Africa non hanno a disposizione molti posti in terapia intensiva, come ha sottolineato l'Oms, e i posti letto non sarebbero bastevoli per tutti i malati. Ma è un fatto che, stando ai dati, non si può ancora parlare di emergenza dall'altra parte
del Mediterraneo.
Il contagio in Egitto è stato registrato oltre dieci giorni fa, e si trattava di un un cittadino cinese in viaggio in Egitto, che è stato messo in isolamento in ospedale. Walter Ricciardi, membro del consiglio esecutivo dell'Organizzazione mondiale della sanità, appresa la notizia, aveva commentato così: "Non è una buona notizia. Non tanto perché è il primo caso, ma perché significa che il virus si è spostato in un continente debole dal punto di vista della sanità pubblica, della capacità diagnostica e della capacità di risposta. È comunque ancora presto per fare previsioni: per prima cosa dobbiamo capire bene la storia del primo paziente, da dove viene, che cosa ha fatto, come è arrivato in Egitto, che contatti ha avuto".
Come è emerso da un dossier dell'Istituto nazionale francese di salute e ricerca medica, che per conto del governo francese, ha studiato il livello di preparazione del continente a far fronte a un'epidemia da Covid-19, l'Egitto è considerato il Paese a più alto rischio di importazione del virus, ma è anche tra quelli più equipaggiati per affrontare la situazione dal punto di vista sanitario. Come riporta il Corriere della Sera, i Paesi che si sono già dotati del kit diagnostico sarebbero oltre 15 (tra questi Senegal, Sudafrica, Ghana, Madagascar, Nigeria e Sierra Leone), e altri saranno presto operativi con i test.
Ma la chiusura delle frontiere richiesta dai leghisti è davvero possibile? A questo proposito riportiamo le parole del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che a questo proposito si è espresso durante la conferenza stampa di sabato sera: "Ne abbiamo ragionato con il governatore Fedriga (Fvg), in collegamento anche con Fontana (Lombardia), Zaia (Veneto) e Fugatti (Trentino). Ma vi faccio un esempio: il Friuli Venezia Giulia vede un flusso giornaliero di 27 mila persone e di 8.400/8.500 pulmann attraverso 623 valichi. In Lombardia il numero aumenta a 153 mila persone… Quando parliamo di controlli accurati – ha ribadito – dobbiamo sempre tenere conto della sostenibilità delle misure" e uno ‘stop' o una regolamentazione della circolazione delle persone, sarebbe una scelta "sproporzionata". Non c'è inoltre nessuna certezza che prevedendo una quarantena obbligatoria per tutti coloro che rientravano dalla Cina, ammesso che fosse possibile metterla in atto, avremmo impedito la diffusione del virus. Prova ne è il fatto che Paesi europei come la Francia (12 casi) o la Germania (16) o la Spagna (2) non hanno previsto nessuna quarantena per chi rientra dalla Cina, e non hanno predisposto alcun blocco dei voli verso il Paese asiatico.
Ci si sta interrogando in queste ore sul perché ci siano stati tanti contagi in Italia, e se ci sia stata una qualche falla nella prevenzione. Quel che è certo è che a questo punto siamo in una fase nuova dell'emergenza: "Siamo passati da una fase di importazione ad una di diffusione autoctona del virus, com'era avvenuto ad esempio in Veneto per la West Nile. È un salto importante", ha detto ieri l'esperto Giorgio Palù, ordinario di microbiologia e virologia all'Università di Padova, presidente uscente delle società europea e italiana di virologia. La presenza di focolai autoctoni significa che più che aprire una caccia alle streghe e concentrarci sulla minaccia che viene dall'esterno, sarebbe opportuno rintracciare eventuali errori nella catena di comando ed eventualmente nel sistema sanitario. E andare alla ricerca delle cause.
In un'intervista pubblicata sul Corriere della Sera l'infettivologo Massimo Galli, "da noi si è verificata la situazione più sfortunata possibile, cioè l'innescarsi di un'epidemia nel contesto di un ospedale". E ancora: "Purtroppo in questi casi, un ospedale si può trasformare un uno spaventoso amplificatore del contagio se la malattia viene portata da un paziente per il quale non appare un rischio correlato: il contatto con altri pazienti con la medesima patologia oppure la provenienza da un Paese significativamente interessato dall'infezione". In pratica il primo paziente che si
è recato all'ospedale di Codogno, il 38enne poi ricoverato in terapia intensiva, è stato inizialmente trattato senza le necessarie precauzioni, perché non è stato possibile identificare subito la patologia. Ma come ha sottolineato lo stesso Galli, se anche avessimo fermato alla frontiera il paziente zero, che presumibilmente è entrato in Italia in una fase di incubazione del coronavirus, non è detto che saremmo stati in grado di individuare i sintomi, in assenza di sintomi.