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Edizione del 04/07/2021
Estratto da pag. 1
Anelli (Fnomceo): “No alla salute a due velocità. Ecco la nostra ricetta per garantire i diritti dei bambini”
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“I dati resi noti dalla Società italiana di pediatria non possono lasciarci indifferenti. È inaccettabile che un bambino abbia il 50% di probabilità in più di morire e il 70% di possibilità in meno di curarsi vicino casa, solo perché è nato al Sud e non al Nord. È inconcepibile che 200 bambini, in un solo anno, avrebbero potuto salvarsi se fossero venuti al mondo in una Regione diversa. È il momento di mettere in atto tutti i correttivi possibili per dire no alla salute a due velocità che ancora affligge il nostro Paese, e che è tanto più grave se a pagarne il prezzo sono dei bambini”.
A intervenire nel dibattito innescato dalla Società italiana di Pediatria, che ha reso noti i risultati di due studi, uno in via di pubblicazione sulla mortalità infantile, l’altro sulla mobilità sanitaria, è oggi il Presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli. Che ripropone la “ricetta” per risolvere la “Questione meridionale” in Sanità. Quattro le linee di intervento suggerite: rafforzare il ruolo del Ministero della Salute; istituire un Osservatorio; aumentare – e ripartire diversamente – il Fondo Sanitario Nazionale; organizzare una rete sovraregionale di cure.
“La Fnomceo, quale garante dei diritti dei cittadini, si muove da tempo per assicurare l’uguaglianza nell’accesso alle cure – afferma Anelli -. Diverse mozioni approvate dal Consiglio Nazionale, l’assemblea dei 106 presidenti degli Ordini, vanno in questo senso”.
“Per prima cosa, occorre riflettere su un ruolo più forte e centrale del Ministero della Salute: l’uguaglianza è un principio che informa tutto il Servizio Sanitario Nazionale, e deve dunque essere lo Stato a garantirla – spiega -. Auspichiamo una modifica di legge che rafforzi le capacità di intervento del Ministero e del Ministro, ne aumenti le disponibilità economiche e le funzioni, al fine di colmare le diseguaglianze”.
“Primo, importante passo in questa direzione può essere l’istituzionalizzazione di un Osservatorio, incardinato proprio all’interno del Ministero della Salute, sulle disuguaglianze in sanità – propone -. Un organismo con funzioni non solo di monitoraggio, ma anche consultive, che proponga interventi normativi per riportare all’unità, all’universalità e all’uguaglianza il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Rivendichiamo anche un ruolo centrale per i professionisti, che devono essere messi nelle condizioni di partecipare alla definizione e al raggiungimento, in autonomia e indipendenza, degli obiettivi di salute. È la Professione medica, sono le Professioni sanitarie, in quanto garanti dei diritti, la vera rete di unità del Paese in tema di salute, tanto più in questa emergenza dovuta alla pandemia”.
Una rete che, secondo Anelli, può e deve diventare anche “rete sovraregionale delle competenze”, per combattere la mobilità sanitaria: a spostarsi, sarebbero i professionisti, gli specialisti con le equipe, e non i cittadini.
“La mobilità sanitaria è un meccanismo iniquo che, finanziando alcuni servizi sanitari regionali a discapito di altri, genera disuguaglianze – argomenta–. È figlia di quella concezione aziendalistica della sanità che, riducendo tutto al mero costo, schiaccia la dignità della persona, l’accoglienza, la solidarietà, la compassione”.
“I centri di eccellenza, in Italia, sono polarizzati in alcune Regioni, in prevalenza del Centro Nord – continua -. Questo crea una lesione del diritto all’uguaglianza dei cittadini: da qui l’idea della “rete sovraregionale delle competenze”, che metta insieme professionisti ed equipe altamente specializzate, pronte a intervenire sul territorio nazionale laddove ve ne sia necessità. Occorre importare le competenze laddove servono per garantire a tutti i cittadini, ovunque risiedano, il diritto alla Salute”.
“Infine, visto che senza risorse le riforme non si fanno, occorre aumentare ulteriormente il Fondo Sanitario Nazionale e procedere finalmente alla revisione, già annunciata dalla Conferenza del
le Regioni, dei criteri di riparto e di ponderazione della popolazione, in modo da tener conto delle specificità regionali- conclude -. Come ricorda oggi Nicola Laforgia, professore dell’Università di Bari, su La Gazzetta del Mezzogiorno, non tutte le Regioni sono finanziate alla stessa maniera: la Puglia, a parità di popolazione, ha meno risorse dell’Emilia Romagna. I piani di rientro hanno avuto conseguenze pesanti. È difficile intervenire sulle innovazioni e le assunzioni. I limiti della regionalizzazione della sanità sono, insomma, evidenti. Ma il giusto rispetto delle specificità territoriali non deve andare a discapito del diritto all’uguaglianza e di quello alla salute: è necessaria maggiore omogeneità e interventi per ridurre il divario Nord – Sud e le disuguaglianze che ancora persistono anche all’interno di una stessa Regione”.
A intervenire nel dibattito innescato dalla Società italiana di Pediatria, che ha reso noti i risultati di due studi, uno in via di pubblicazione sulla mortalità infantile, l’altro sulla mobilità sanitaria, è oggi il Presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli. Che ripropone la “ricetta” per risolvere la “Questione meridionale” in Sanità. Quattro le linee di intervento suggerite: rafforzare il ruolo del Ministero della Salute; istituire un Osservatorio; aumentare – e ripartire diversamente – il Fondo Sanitario Nazionale; organizzare una rete sovraregionale di cure.
“La Fnomceo, quale garante dei diritti dei cittadini, si muove da tempo per assicurare l’uguaglianza nell’accesso alle cure – afferma Anelli -. Diverse mozioni approvate dal Consiglio Nazionale, l’assemblea dei 106 presidenti degli Ordini, vanno in questo senso”.
“Per prima cosa, occorre riflettere su un ruolo più forte e centrale del Ministero della Salute: l’uguaglianza è un principio che informa tutto il Servizio Sanitario Nazionale, e deve dunque essere lo Stato a garantirla – spiega -. Auspichiamo una modifica di legge che rafforzi le capacità di intervento del Ministero e del Ministro, ne aumenti le disponibilità economiche e le funzioni, al fine di colmare le diseguaglianze”.
“Primo, importante passo in questa direzione può essere l’istituzionalizzazione di un Osservatorio, incardinato proprio all’interno del Ministero della Salute, sulle disuguaglianze in sanità – propone -. Un organismo con funzioni non solo di monitoraggio, ma anche consultive, che proponga interventi normativi per riportare all’unità, all’universalità e all’uguaglianza il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Rivendichiamo anche un ruolo centrale per i professionisti, che devono essere messi nelle condizioni di partecipare alla definizione e al raggiungimento, in autonomia e indipendenza, degli obiettivi di salute. È la Professione medica, sono le Professioni sanitarie, in quanto garanti dei diritti, la vera rete di unità del Paese in tema di salute, tanto più in questa emergenza dovuta alla pandemia”.
Una rete che, secondo Anelli, può e deve diventare anche “rete sovraregionale delle competenze”, per combattere la mobilità sanitaria: a spostarsi, sarebbero i professionisti, gli specialisti con le equipe, e non i cittadini.
“La mobilità sanitaria è un meccanismo iniquo che, finanziando alcuni servizi sanitari regionali a discapito di altri, genera disuguaglianze – argomenta–. È figlia di quella concezione aziendalistica della sanità che, riducendo tutto al mero costo, schiaccia la dignità della persona, l’accoglienza, la solidarietà, la compassione”.
“I centri di eccellenza, in Italia, sono polarizzati in alcune Regioni, in prevalenza del Centro Nord – continua -. Questo crea una lesione del diritto all’uguaglianza dei cittadini: da qui l’idea della “rete sovraregionale delle competenze”, che metta insieme professionisti ed equipe altamente specializzate, pronte a intervenire sul territorio nazionale laddove ve ne sia necessità. Occorre importare le competenze laddove servono per garantire a tutti i cittadini, ovunque risiedano, il diritto a
lla Salute”.
“Infine, visto che senza risorse le riforme non si fanno, occorre aumentare ulteriormente il Fondo Sanitario Nazionale e procedere finalmente alla revisione, già annunciata dalla Conferenza delle Regioni, dei criteri di riparto e di ponderazione della popolazione, in modo da tener conto delle specificità regionali- conclude -. Come ricorda oggi Nicola Laforgia, professore dell’Università di Bari, su La Gazzetta del Mezzogiorno, non tutte le Regioni sono finanziate alla stessa maniera: la Puglia, a parità di popolazione, ha meno risorse dell’Emilia Romagna. I piani di rientro hanno avuto conseguenze pesanti. È difficile intervenire sulle innovazioni e le assunzioni. I limiti della regionalizzazione della sanità sono, insomma, evidenti. Ma il giusto rispetto delle specificità territoriali non deve andare a discapito del diritto all’uguaglianza e di quello alla salute: è necessaria maggiore omogeneità e interventi per ridurre il divario Nord – Sud e le disuguaglianze che ancora persistono anche all’interno di una stessa Regione”.