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Edizione del 18/02/2020
Estratto da pag. 1
Professioni educative, la petizione di “Mille”
Il 25 gennaio scorso una petizione su Change.org ha proposto una moratoria sospensiva dell’albo e degli elenchi speciali per Educatori professionali, per arrivare a nuove norme che mettano fine al caos attuale e superino la dicotomia tra la figura dell’educatore professionale socio-pedagogico e socio-sanitario.

La petizione, che ha già superato le 3850 firme, è stata lanciata dall’associazione “M.I.L.L.E./Professioni educative”. “M.I.L.L.E” sta per esteso “Movimento Indipendente Liberi Lavoratori dell’Educazione” ed è ispirato alla garibaldina spedizione dei Mille.

Abbiamo fatto il punto di una situazione ingarbugliata che probabilmente non ha eguali in Europa, con Andrea Rossi, presidente di Mille, e col vicepresidente Fabio Ruta.

Andrea Rossi ha iniziato a “bazzicare” il mondo educativo per poi lavorare come educatore alla fine degli anni Ottanta. Conseguito il titolo di EP regionale nel 1991, si è successivamente laureato nel 2012 anche in Scienze dell’educazione. Attualmente è coordinatore didattico del corso in educazione professionale (SNT/2) dell’università di Torino.

Fabio Ruta lavora come educatore professionale da oltre un quarto di secolo. Ha conseguito il titolo di EP regionale “post ‘99” presso la Fondazione Enaip Lombardia di Busto Arsizio. Ha conseguito una laurea in Scienze dell’educazione e una laurea specialistica in Consulenza pedagogica e ricerca educativa presso l’università di Milano-Bicocca.

Prima di tutto, perché la scelta della petizione?

Fabio Ruta: La scelta della petizione ha due finalità. La prima è quella di fare pressione sui ministeri e sulle istituzioni competenti al fine di mettere in sicurezza nell’immediato i posti di lavoro e ottenere la istituzione di un tavolo tecnico. Tavolo tecnico finalizzato a sostenere il legislatore nella realizzazione di una legge quadro sulle professioni di educatore professionale e pedagogista. Questo tavolo – interistituzionale e su mandato interministeriale – dovrebbe porre a confronto enti (come le Regioni e le rappresentanze degli enti locali), mondo del lavoro (sindacati e sigle cooperative e del terzo settore), associazionismo professionale e di categoria, poli universitari. Il confronto dovrebbe produrre finalmente una proposta di legge quadro organica che armonizzi una congerie normativa ancora troppo complessa e contraddittoria. Tutto ciò è urgente per garantire certezze ai lavoratori del settore; sicurezza alle famiglie che beneficiano di servizi educativi; continuità ai servizi stessi.

La seconda ragione consiste nel portare alla attenzione pubblica una materia che riguarda la collettività. Poiché le professioni educative e pedagogiche hanno una importante utilità e funzione sociale. Purtroppo però sono ancora poco riconosciute e spesso collegate nell’immaginario collettivo a una visione missionaria e sacrificale. Noi vogliamo che si imponga una altra immagine: quella del riconoscimento della dignità professionale, contrattuale e salariale (da questo punto di vista l’Italia è un fanalino di coda). È materia che non può più riguardare solo gli addetti ai lavori.

Siete soddisfatti del risultato?

La raccolta firme è ancora in corso. Ma i risultati ottenuti sin qui sono davvero sorprendenti. Abbiamo superato già le 3.850 firme. Quando abbiamo lanciato la petizione, in contemporanea una nota associazione di categoria di pedagogisti ed educatori ne ha avviata una sulla stessa piattaforma online con obiettivi simmetricamente opposti ai nostri. Ovvero per mantenere due diversi profili di educatore. Risultato? Mentre noi superavano in scioltezza il migliaio di firme, loro erano ancora attorno al centinaio. Poco dopo hanno fatto dietrofront, chiudendo la loro petizione. La nostra invece continua e raccoglie consensi ed interesse.

Quali sono i punti salienti della petizione?

Si è generata grande confusione su chi sia effettivamente vincolato ad iscriversi agli elenchi speciali ed all’albo professionale; quali funzioni siano eventualmente riservate all’
uno o all’altro profilo di educatore e quali sovrapponibili. La stessa circolare 87/ bis del Tsrm-Pstrp (da noi sollecitata insieme ad altre associazioni) chiede al Ministero di fare chiarezza in materia.

Nel frattempo, ci troviamo di fronte a migliaia di educatori professionali socio-pedagogici che hanno chiesto di iscriversi agli elenchi speciali. Lo hanno fatto a causa di informazioni fuorvianti: non perché tenuti a farlo, ma perché indotti nell’infondato timore di perdere il posto di lavoro. Posto di lavoro che invece è garantito da quanto disposto nei commi Iori della L.205/2017, integrati dal comma 517 della legge di bilancio 2019 (L.145/18). Allo stesso tempo gli educatori professionali socio-sanitari incontrano problemi nei settori sociali e pedagogici, dove invece possono continuare a esercitare in virtù del D.M. 520/98 ancora attivo. Noi ci sottraiamo al risiko sugli ambiti di lavoro e alla guerra fratricida tra i due profili di educatori. Per questo chiediamo – nella nostra petizione – una moratoria sospensiva, che vada accompagnata dalla contestuale autorizzazione ministeriale alla agibilità di entrambi i profili in tutti i settori di lavoro.

Ricordiamo che moratoria sospensiva non significa abolizione tout-court dell’albo, né tanto meno un suo mantenimento. Significa creare uno spazio di riflessione e ripensamento che coinvolga i soggetti interessati ed il legislatore. Che parta dalla analisi della realtà per progettare il futuro. Per quanto riguarda l’albo lanciammo un sondaggio a cui parteciparono oltre 700 professionisti, che bocciarono seccamente la sua collocazione in ambito sanitario.

La proposta che porteremo al tavolo tecnico, se sarà istituito, è quella di una nuova legge che identifichi un profilo unico ex novo di Educatore. Un profilo che ricalchi il modello di “educatore sociale” prevalente in Europa. La formazione del nuovo profilo dovrebbe trovare la sua naturale collocazione in ambito umanistico: ma con una innovazione dei contenuti disciplinari. Contenuti che necessitano di essere improntati ad una esplicita matrice multidisciplinare, capaci di formare professionisti in grado di lavorare nei settori più disparati. Fornendo risposte competenti ai bisogni educativi ed alle fragilità di una società sempre più intricata ed in veloce e continua trasformazione. Proponiamo anche che venga pienamente riconosciuta la figura del pedagogista, specialista di secondo livello del campo educativo: con elevate competenze nella formazione, progettazione, supervisione, consulenza e coordinamento dei servizi.

Andrea Rossi: E’ bene precisare che la petizione ha come fine principale quello di fare chiarezza a livello normativo. A questa richiesta, che riguarda e interessa tutti, noi abbiamo aggiunto, per correttezza, qual è la soluzione che noi proponiamo. Il che non significa, ovviamente, che questa sarà in automatico il risultato dell’eventuale percorso che la petizione vuole innescare. È evidente che in costanza di un tavolo tecnico si esprimeranno visioni plurali e differenti da quella che abbiamo proposto. Ma il confronto è quanto mai urgente ed improcrastinabile. Pensavamo, forse ingenuamente, che anche chi non condivide la nostra soluzione potesse quantomeno appoggiare l’idea del percorso per superare lo stallo attuale. Al momento, tuttavia, sembrano prevalere gli interessi particolari, e a volte ci si attacca a singoli aspetti per giustificare la scelta di non firmare. Atteggiamento comprensibile ma forse un po’ rigido. E con le contrapposizioni non si arriva da nessuna parte.

Attualmente quale è l’inquadramento dell’educatore professionale socio-pedagogico e di quello socio-sanitario? In che cosa si differenziano, se si differenziano?

Fabio Ruta : Entrambi i profili di Educatore debbono essere inquadrati nelle stesse fasce contrattuali, riservate al personale laureato. Mentre al pedagogista spetterebbe un inquadramento apicale, in quanto figura con laurea specialistica. Questo in teoria. Poiché nel privato sociale spesso gli educatori vengono inquadr
ati nella categoria inferiore. Pratica diffusa anche per la abitudine a lungo utilizzata di assumere personale senza titolo adeguato. Ma sorprendentemente enormi ritardi si registrano anche nella pubblica amministrazione. In ambito sanitario l’educatore professionale viene da molti anni inquadrato nella corretta fascia di merito, ma ciò non avviene nel principale comparto sociale pubblico: rendendo così difficoltose persino le mobilità intercompartimentali di personale. Infatti si attende da decenni che nel ccnl “Regioni-autonomie locali” (il contratto degli enti locali) la figura dell’educatore ottenga il giusto riconoscimento contrattuale. Ogni rinnovo contrattuale demanda la classificazione del personale educativo a fantomatiche commissioni paritetiche, che puntualmente disattendono il compito. Il risultato è che non essendo esplicitamente menzionato l’educatore professionale nelle declaratorie di quel contratto, gli enti locali lo inquadrano a macchia di leopardo. Ovvero, potremmo osare, “ad catzum”. A fronte di comuni e consorzi che correttamente inquadrano gli educatori in categoria D (riconoscendo il loro livello formativo), ve ne sono molti altri che continuano a mantenerli in categoria C. La categoria C – nel contratto degli enti locali – è quella riservata al personale in possesso del solo diploma di scuola superiore. Purtroppo molti concorsi per EP sono stati banditi (e avviene tutt’ora) in questa categoria: pur richiedendo tra i requisiti concorsuali la laurea o titolo ad essa equipollente. Consideriamo tutto ciò un abuso ed una ingiustizia da sanare: attraverso un esplicito e corretto inquadramento degli EP nei ccnl.

Ma le problematiche sul lavoro che riguardano gli educatori non si fermano ai livelli contrattuali disattesi. Gli educatori che lavorano nel sostegno scolastico tramite cooperative sovente non si vedono retribuire le ore di lavoro se il loro assistito all’ultimo momento è assente. Hanno contratti intermittenti con mesi di mancato guadagno. Spesso precari. Per quanto attiene alla scuola guardiamo con interesse e favore al disegno di legge di iniziativa parlamentare, presentato dalla senatrice Vanna Iori, in merito alla proposta “di istituzione della figura professionale dell’educatore scolastico e del pedagogista scolastico per lo sviluppo della comunità educante”.

Professionisti che verrebbero reclutati direttamente dal MIUR attraverso concorsi pubblici o dalle procedure già previste per le scuole parificate.

Inoltre riteniamo sia importante sostenere la proposta avanzata dalla CGIL-fp e dalle altre sigle confederali per giungere finalmente a dare un profilo unico nazionale al personale che lavora nella inclusione scolastica. Questo è importante non solo per stabilire i requisiti formativi necessari per questo impiego, salvaguardando le posizioni già in essere. Ma è soprattutto importante per sconfiggere fenomeni di svalorizzazione professionale e precarietà, arrivando ad una uniformità sul territorio nazionale.

Un altro esempio di estrema gravità è quello rappresentato dalle notti passive, che alcune strutture residenziali impongono ai loro operatori. Noi riteniamo che la notte sia fatta per riposare o per fare all’amore. Se si chiede ad un lavoratore di recarsi sul luogo di lavoro in orario notturno, gli va riconosciuto il turno di servizio. Con tanto di indennità di lavoro notturno (e in caso festivo). Questi sono solo alcuni esempi. Se ne potrebbero fare molti altri: dalla assenza di supervisione in molti contesti, alle scarse risorse, a rapporti utenza-personale talvolta soverchianti (magari con aspettative, mutue lunghe o maternità che non vengono sostituite). Tutti questi aspetti insieme costituiscono il grande capitolo della svalorizzazione delle professioni educative. E più in generale del lavoro sociale. Torna in mente la scena del film Joker (capolavoro scioccante del 2019), in cui una operatrice sociale comunica al protagonista con gravi problemi psichiatrici la chiusura del servizio (per taglio dei finanziamenti). La frase che la operatrice pronu
ncia è all’incirca la seguente: “alla società non frega nulla delle persone come te e di quelle come me”. Noi pensiamo invece che il livello di civiltà di un Paese si veda anche dal suo sistema di Welfare. Per restituire dignità e potere ai soggetti fragili di cui ci occupiamo (disabili, utenti psichiatrici, alcolisti e tossicodipendenti, donne vittime di violenza, migranti, minori a rischio, borderline, anziani, ecc.) dobbiamo guadagnare riconoscimento per le nostre professionalità. Occorre curarsi di chi “cura”. E ricordiamo che – fra le helping professions – quella dell’educatore è una delle più esposte a fenomeni di stress lavorativo e burnout (oggi incluso dall’Oms nella recente edizione della International Classification of Diseases). Questo ci porta a ritenere necessario promuovere tutti quei fattori di organizzazione del lavoro che possano contribuire a prevenire questo fenomeno: dall’obbligo per gli enti di provvedere a riconoscere ai singoli operatori ed ai gruppi di lavoro adeguate supervisioni; a turnistiche rispettose dei ritmi di vita; al rispetto delle specificità mansionarie (gli educatori non sono “tuttofare”); al riconoscimento di adeguate ore di servizio – di distacco dalla utenza – per progettazione (e sarebbe utile iniziare a pensare a periodi sabbatici da dedicare a studio e ricerca). Inoltre ci pare assolutamente dovuto – per gli educatori – il riconoscimento di lavoro particolarmente gravoso-usurante ai fini del calcolo della età pensionabile.

Andrea Rossi: Dal punto di vista legislativo ci sono invece differenze importanti. L’educatore professionale socio-pedagogico e quello sociosanitario sono definiti da due norme diverse (rispettivamente L.205/17 e DM 520/98, ripreso nella stessa legge), sono formati attraverso percorsi accademici diversi, ed hanno, teoricamente, campi d’azione diversi. Uso il termine “teoricamente” a ragion veduta: uno, perché la realtà dei servizi ci dice che, nella stragrande maggioranza dei casi, EP nominalmente diversi esercitano, nel concreto, lo stesso mestiere. E due, perché, a fronte di queste differenze formali, non troverai in nessuna norma una definizione precisa ed inequivocabile di cosa spetti all’uno e cosa spetti all’altro profilo. C’è invece una ricerca spasmodica delle frange estreme di escludere l’altro, avocandosi tramite interpretazione forzate e forzose la titolarità su questo o quell’aspetto. Noi ci sottraiamo da questo gioco al massacro, voluto peraltro da una parte secondo noi nettamente minoritaria degli EP; lavoriamo, come già detto, nell’immediato per la più ampia compresenza possibile, e, in prospettiva, per la costruzione anche formale e legislativa di un profilo unico. Più complessa la questione della formazione di base, che effettivamente presenta a volte differenze significative, con pregi e difetti in entrambi i percorsi. Anche su questo, ci sarà da fare un lavoro certosino di ricomposizione, mantenendo le parti migliori delle due “anime”.

A tutto questo si aggiunge la questione spinosa dell’albo (e relativo elenco speciale), voluto da pochissimi, apertamente osteggiato da pochi, subito dalla grande maggioranza. Anche volendo sospendere il giudizio sull’albo in sé (la moratoria potrebbe servire invece a entrare nel merito), resta il fatto che per gli educatori, i cui stipendi non sono certo da nababbi, comporta un costo significativo a fronte di vantaggi ancora tutti da dimostrare.

Come hanno risolto la situazione i vari paesi dell’Unione Europea? C’è una qualche direttiva che regolamenti la materia?

Educatore Professionale e Pedagogista operano rispettivamente nelle aree di professionalità del 6 e 7 livello del QEC, quadro europeo delle qualifiche.

Il panorama europeo è molto vario, come richiamato in un recente documento della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome . Di un fatto però siamo abbastanza certi: pur avendo denominazioni diverse, campi d’azione non sempre sovrapponibili, o magari a volte specializzazioni su determinati settori, un educatore formato dalle facoltà di medicina
e definito come professione “sanitaria” è un fatto piuttosto singolare in Europa. La matrice culturale prevalente è sempre pedagogica e sociale. La stessa Aieji, organizzazione internazionale che riunisce associazioni nazionali di educatori, è definita “International Association Of Social Educators”; più chiaro di così…

Fabio Ruta: Noi siamo interessati allo studio ed al confronto dei sistemi formativi europei. Perché il profilo ex novo dell’educatore di cui auspichiamo la nascita, vorremmo raccogliesse il meglio delle diverse esperienze assumendo un respiro internazionale. Per gli studenti universitari di oggi l’Europa è il proprio giardino di casa.

Mille è stata fondata per rappresentare tutte le figure professionali sotto un’unica bandiera?

M.I.L.L.E. è stata fondata come associazione nell’ottobre scorso, ed origina dal “comitato post ’99”, un gruppo di educatori prevalentemente di Lombardia e Piemonte che ha lavorato accanitamente per ottenere il riconoscimento dei propri titoli regionali conseguiti dopo il 1999. Raggiunto il risultato, una parte di loro, insieme ad altri colleghi che si sono aggiunti, ha proseguito un percorso comune che è esitato nella nascita dei MILLE. Quella battaglia ha unito molti in un obiettivo comune. Nello stesso modo, i MILLE – che stanno rapidamente diventando un soggetto nazionale -si propongono di unire verso un obiettivo comune, quello del riconoscimento e della dignità professionale, di tutte le figure che lavorano nel campo dell’educazione. Ci teniamo a ribadire, lo facciamo spesso, che la nostra modalità è sempre quella del dialogo, del confronto, dello scambio e dell’arricchimento reciproco. Non si tratta quindi solo di stare sotto la stessa bandiera, ma soprattutto di costruire insieme.

Quali sono gli scopi e i programmi dell’associazione?

La “Carta degli intenti”, contenuta nel nostro Statuto, è piuttosto chiara.

Noi vogliamo per l’Educatore Professionale una figura unica, formata da un solo percorso formativo che unisca competenze in ambito pedagogico, sociale, umanistico, psicologico e sanitario e che assuma il meglio dei diversi attuali e pregressi percorsi formativi in Italia e si relazioni con la realtà della educazione sociale e professionale europea.

Accanto, e come logica conseguenza di questo, vogliamo il riconoscimento dei diritti contrattuali come figura laureata. Lottiamo per il riconoscimento del pedagogista come figura specialistica di secondo livello dell’agire educativo: su questo tema è opportuno spendere qualche parola. Alcuni vorrebbero far passare il pedagogista per qualcosa di altro dall’EP; addirittura c’è chi lo dipinge come il “burattinaio” che muove i fili di un educatore ridotto a mero esecutore. Niente di più falso e lontano dal nostro sentire. Pensiamo al pedagogista come un naturale sviluppo, formativo e professionale, dell’EP: non si può essere pedagogisti senza prima essere educatori

Un altro fronte su cui ci muoviamo è quello delle politiche a protezione del lavoratore; per fare qualche esempio, il riconoscimento del lavoro educativo come lavoro usurante ai fini pensionistici, la prevenzione e cura del burnout, e la promozione del benessere lavorativo ed organizzativo, il contenimento di ogni forma di svalorizzazione del lavoro, l’azione sugli accreditamenti per garantire il corretto rapporto personale utenza nei servizi, l’attenzione sugli appalti per garantire la continuità educativa e la qualità degli stessi servizi.

Altri temi a noi cari sono la formazione, ovvero l’individuazione di strategie di formazione continua accompagnate da proposte concrete, che siano basate non sulla sola imposizione, ma sul bisogno e sul desiderio e previste per ogni ambito di lavoro, e l’informazione, ovvero l’attivazione di modalità e strategie che permettano di informare, e tenere informata, la categoria tutta sulle normative e gli scenari presenti e futuri.

Avete in cantiere qualche nuova iniziativa?

Ne abbiamo MILLE… ovviamente! Scherzi a parte, veniamo da un pe
riodo molto intenso di lavoro, e ci sono vari fronti aperti: la petizione per la moratoria è quello più visibile, ma c’è molto altro.

Ci sta molto a cuore, ad esempio, il tema degli accreditamenti, sui quali cerchiamo di agire per ottenere il massimo di compresenza possibile stante il quadro legislativo attuale; al contempo, cerchiamo di informare adeguatamente i datori di lavoro che, più o meno in buona fede, tendono a dividere i campi d’azione dei due attuali profili in maniera molto più rigida di quello che la legge impone; anzi, diciamolo pure, a volte anche contro la legge: ad esempio, escludendo colleghi regionali dagli ambiti del sociale, quando è ben specificato l’ambito di competenza sia sociale che sanitario per quel titolo.

Monitoriamo, per quanto possibile, la situazione degli elenchi speciali, che coinvolge un gran numero di colleghi con formazione SDE (molti di loro forzati dal datore di lavoro ad iscriversi, pur non avendone sempre obbligo) o con formazioni non più adeguate. Lanceremo un paio di proposte di formazione. Lavoriamo su alcune proposte di legge.

…e siamo in campagna associativa. Speriamo di avere nuove adesioni, che ci portino idee e risorse per le nostre battaglie. Abbiamo ora un sito internet della associazione dove rimanere aggiornati (www.associazionemille.it) e un partecipatissimo gruppo su facebook (M.I.L.L.E. Agorà Professioni Educative).

Veniteci a trovare…

Antonio Salvatore Sassu