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Edizione del 24/05/2021
Estratto da pag. 1
Mondadori Portfolio via Getty ImagesThe Italian Premier Mario Draghi during the press conference after the minister's cabinet. Rome (Italy), May 20th 2021 (Photo by Samantha Zucchi/Insidefoto/Mondadori Portfolio via Getty Images)Dentro ci sono un po’ tutti, da palazzo Chigi ai sindacati. Ma ognuno dei tre livelli scelti da Mario Draghi per la gestione dei 248 miliardi del Recovery ha un suo peso specifico. C’è chi deciderà quasi tutto e chi invece sarà chiamato a dire la sua senza incidere. Il messaggio che arriva da palazzo Chigi è quello di una condivisione allargata perché la scommessa dei soldi europei dipende dall’atteggiamento di tutti, dai ministri ai sindaci. Ma è vero anche che i progetti devono procedere spediti, le riforme vanno attuate secondo le scadenze concordate con Bruxelles, il ritmo politico e operativo deve essere sostenuto. E per questo la governance deve essere snella. Non tutti possono contare allo stesso modo. Chi conterà tantissimo: Draghi, la struttura dei tecnici di palazzo Chigi, il titolare dell’Economia Daniele Franco e i ministri coinvolti nelle voci di spesa del Recovery. Dal triumvirato di Conte alla cabina di regia a “geometrie variabili”. Ma è Draghi a guidare la partitaIl primo livello della governance è quello politico. Sarà il premier a presiedere una cabina di regia che avrà sede a palazzo Chigi. Il ruolo del regista, Draghi appunto, e il luogo delle decisioni che contano, palazzo Chigi, sono le immagini che spiegano bene quanto sarà centrale la presidenza del Consiglio. Accanto a Draghi siederanno, di volta in volta, i ministri competenti sulla materia che sarà oggetto della riunione. Se si parlerà di green ci sarà il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, se il tema saranno le ferrovie allora ci sarà il titolare dei Trasporti Enrico Giovannini. È quello che Draghi ha indicato come uno schema “a geometrie variabili” quando in mattinata ha riunito la cabina di regia con le forze di maggioranza per illustrare, in poco più di mezz’ora, come funzionerà la governance del Recovery. Insieme alla raccomandazione di procedere spediti e alla volontà di portare il decreto per la governance sul tavolo del Consiglio dei ministri entro la fine della settimana, auspicabilmente già giovedì. Qui si apre una questione politica non da poco. Rispetto al governo Conte, che aveva abbozzato una cabina di regia a tre (palazzo Chigi, Tesoro e ministero dello Sviluppo economico), questa volta il tavolo è aperto a tutti i ministri, ma alcuni, più di altri, si recheranno con più frequenza a palazzo Chigi. E questo perché le sei missioni del Recovery riguardano temi che afferiscono alle competenze di alcuni ministri, non di tutti. Il green, quindi Cingolani, il digitale e qui entra in campo il ministro per la Transizione digitale Vittorio Colao, ancora le infrastrutture e quindi Giovannini. In più ci sono la salute in capo a Roberto Speranza, l’istruzione e l’università che fanno riferimento a Patrizio Bianchi e a Maria Cristina Messa. Con l’eccezione di Speranza sono tutti ministri tecnici. Ma questo non cancella il tema che molte forze politiche di maggioranza si sono già intestate - dalla Lega al Pd - e cioè contare nella gestione del Recovery. Tra l’altro nel piano ci sono anche soldi per la cultura e per il lavoro. Ecco allora che convocare i due ministri responsabili, Dario Franceschini e Andrea Orlando, entrambi quota Pd, potrebbe accrescere questo problema di inclusione-esclusione dalla governance politica. Soprattutto se si guarda alla Lega che non ha un ministro di peso in chiave Recovery. La possibilità che alla cabina di regia possano partecipare, a rotazione, i presidenti delle Regioni compensa questo gap perché la Lega ha con Massimiliano Fedriga la presidenza della Conferenza delle Regioni, ma è pur vero che ogni governatore risponde al suo partito. Letta in questa ottica anche Forza Italia, che ha Mariastella Gelmini agli Affari regionali, può rientrare nel ragionamento delle geometrie variabili anche politiche e non solo tra i ministri tecnici. La questione che si apre
, quindi, è capire quale sarà l’effetto di questo schema a geometrie variabili, cioè se e quanti diffidenze e litigi genererà dentro la maggioranza. Ma non è una questione solo di materie. In ballo c’è il più generale potere di indirizzo e coordinamento che sarà in capo alla cabina di regia. Ci saranno operazioni che possono creare problemi di consenso politico, come il monitoraggio periodico o l’individuazione delle criticità normative, ma queste stesse operazioni hanno anche un risvolto importante perché la stessa cabina di regia avrà il potere di cambiare il corso delle cose qualora il meccanismo dei progetti e della spesa dovesse incepparsi. È il cosiddetto potere sostitutivo, cioè la possibilità di fermare tutto, togliere il progetto al gestore di turno e rimettere le cose in ordine. Insomma la cabina di regia potrà rivendicare di aver sbloccato i ritardi per la costruzione di una pista ciclabile invece che di una strada. La segreteria dei tecnici di palazzo Chigi supporterà le decisioni della cabina di regia. L’asse Draghi-Garofoli-FrancoUna struttura ad hoc avrà il compito di supportare il lavoro della cabina di regia. Saranno tecnici, tutti di palazzo Chigi. Lavoreranno in stretto contatto con le strutture già attive presso la presidenza del Consiglio come il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi e il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica. Prepareranno documenti e schede, più in generale tutto quello che serve per assumere decisioni a livello politico. Anche il ruolo della segreteria tecnica di palazzo Chigi ha un peso politico: sarà il raccordo con il Tesoro, da dove arriveranno le segnalazioni sugli intoppi. Il Mef segnala, la segreteria tecnica di palazzo Chigi prepara l’istruttoria, la cabina di regia decide. Quindi Franco, la struttura che sarà supervisionata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, e Draghi. Eccolo l’asse palazzo Chigi-via XX settembre.Rapporti con Bruxelles, rendicontazione e monitoraggio. La super centrale operativa del TesoroA palazzo Chigi farà da specchio il Tesoro. Seguirà, passo dopo passo, l’attuazione del piano e cioè come saranno spesi i soldi che arriveranno man mano da Bruxelles da parte dei ministeri, ma anche dei Comuni e degli altri enti locali che rientrano tra i cosiddetti soggetti attuatori. Sarà il punto di contatto esclusivo con la Commissione europea che chiederà conto dello stato di avanzamento dei progetti ma anche delle riforme. Una super centrale operativa che si doterà di due strutture: una Direzione generale per il Recovery e un’unità di missione per il monitoraggio della spesa, quest’ultima affiancata dalla Ragioneria generale dello Stato e dalla Corte dei Conti. Ai sindacati solo un “tavolo per il partenariato economico e sociale”La dizione utilizzata da fonti di Governo per indicare il ruolo dei sindacati e delle imprese spiega bene il ruolo marginale che avranno le parti sociali: “Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale”. Ci saranno Cgil, Cisl e Uil, Confindustria e le altre associazioni di impresa, i Comuni. Il Governo sa che il Recovery ha bisogno di un clima sociale in linea con lo sforzo che bisognerà intraprendere da qui al 2026. Il decreto Semplificazioni, il primo decreto per fare muovere il Recovery, ha generato l’insurrezione della Cgil di Maurizio Landini e la minaccia di ricorrere a una mobilitazione generale se non cambieranno le norme sugli appalti. Anche questo è un punto politico. Dal Recovery, infatti, passa la possibilità di recuperare i posti di lavoro persi a causa della pandemia, ma anche la riforma degli ammortizzatori sociali e le politiche attive del lavoro. Ancora le misure per favorire l’occupazione di giovani e donne. I soldi ci sono, le linee guida pure. Ma è chi li tradurrà in spese e possibilmente in risultati che potrà rivendicare di averlo fatto. Al tavolo per il partenariato sono i sindacati e le imprese a partire con un evidente svantaggio. Dall’altra parte del tavolo, però, c’è un governo che non può permettersi
il ritorno delle piazze quando di mezzo ci sono 248 miliardi da spendere.
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Giuseppe Colombo
Business editor L'Huffington Post
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