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Edizione del 20/05/2021
Estratto da pag. 1
Obbligo di vaccinazione solo per i lavoratori del settore sanitario
Per la generalità dei lavoratori la vaccinazione è invece volontaria
In concomitanza con l’inizio della campagna di vaccinazione anti COVID-19, si è acceso un vivace dibattito in merito all’esistenza (o meno) dell’obbligo vaccinale nel contesto lavorativo e alle relative conseguenze giuridiche in caso di rifiuto.Tale questione pone delicati problemi che riguardano le libertà costituzionali, il diritto alla salute e l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro e comporta una valutazione che tenga conto del comparto produttivo, della categoria di lavoratori e della classificazione del rischio a cui gli stessi sono esposti.

Secondo un primo orientamento, l’obbligo di vaccinazione del lavoratore – pur in assenza di una legge ad hoc – sarebbe ricavabile dalla normativa vigente a tutela della salute nei luoghi di lavoro, ossia l’art. 2087 c.c. e le disposizioni ex DLgs. 81/2008 (in particolare, gli artt. 279 e 42). In base a tale indirizzo, il datore di lavoro potrebbe imporre ai lavoratori la vaccinazione a pena dell’allontanamento temporaneo dal lavoro ma anche del licenziamento, qualora la ricollocazione non fosse compatibile con l’assetto organizzativo o mettesse in pericolo la salute di altre persone.

Secondo un’altra parte della dottrina, sarebbe invece necessaria, nel rispetto della riserva posta dall’art. 32 Cost., una legge che preveda in maniera specifica l’obbligo vaccinale per i lavoratori, con la conseguente impossibilità per il datore di licenziare il dipendente che rifiuti la vaccinazione.

La delicata e controversa questione delle conseguenze giuridiche per il dipendente renitente non solo ha infiammato la dottrina, ma è anche approdata in tribunale. Con l’ordinanza del 19 marzo 2021, il Tribunale di Belluno ha ritenuto legittima la decisione di una RSA di collocare in ferie forzate alcuni dipendenti che si erano rifiutati di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID, facendo leva sugli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. (si veda “Problematico gestire i dipendenti che rifiutano il vaccino senza norme chiare” del 26 marzo 2021).

A mitigare i termini della questione è intervenuto il legislatore che, con l’art. 4 del DL 44/2021, ha introdotto l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che lavorano nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali (pubbliche e private), nelle farmacie e negli studi professionali.La norma precisa, innanzitutto, come il vaccino anti COVID-19 costituisca requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento di tali prestazioni lavorative, stabilendo che – in caso di rifiuto – il datore di lavoro possa sospendere, senza retribuzione, il lavoratore dallo svolgimento di mansioni che implicano “contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”, qualora sia impossibile adibirlo ad altra mansione (anche inferiore) che non esponga al rischio.

L’art. 4 del DL 44/2021 prevede un’articolata procedura che attribuisce alle ASL un ruolo fondamentale nell’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale e individua una durata massima del periodo di sospensione, ossia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.

L’intervento legislativo, seppure riguardi solo il comparto sanitario e contenga diverse criticità applicative, sembra definire alcuni punti nell’ambito del dibattito sorto negli ultimi mesi.In primis, il fatto che l’obbligo vaccinale sia stato introdotto esclusivamente per il personale sanitario fa propendere per la volontarietà della vaccinazione con riguardo alla generalità dei lavoratori. Ad avallare questa soluzione è il Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti COVID-19, sottoscritto il 6 aprile 2021, e le indicazioni tecniche ad interim approvate dalla
Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome l’8 aprile scorso, seguite dal documento tecnico operativo attuativo del 12 maggio 2021.Questi documenti, infatti, prevedono espressamente l’adesione volontaria e informata da parte dei lavoratori alla campagna vaccinale nei luoghi di lavoro quale presupposto imprescindibile per la realizzazione dei punti vaccinali. Anche il Garante della privacy, nel documento di indirizzo sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro, ha confermato – sulla base dello stato della regolazione attualmente in vigore – la libertà di scelta vaccinale da parte dei lavoratori.

Per quanto riguarda il tema della reazione aziendale al rifiuto opposto dal lavoratore, alla luce di quanto precisato dal Garante della privacy, il datore di lavoro non potrebbe avere informazioni sullo stato vaccinale dei propri dipendenti e non gli sarebbe consentito far derivare alcuna conseguenza negativa alla mancata adesione alla campagna vaccinale e, conseguentemente, applicare sanzioni disciplinari. Si attende, tuttavia, un intervento legislativo chiarificatore.

In concomitanza con l’inizio della campagna di vaccinazione anti COVID-19, si è acceso un vivace dibattito in merito all’esistenza (o meno) dell’obbligo vaccinale nel contesto lavorativo e alle relative conseguenze giuridiche in caso di rifiuto.Tale questione pone delicati problemi che riguardano le libertà costituzionali, il diritto alla salute e l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro e comporta una valutazione che tenga conto del comparto produttivo, della categoria di lavoratori e della classificazione del rischio a cui gli stessi sono esposti.

Secondo un primo orientamento, l’obbligo di vaccinazione del lavoratore – pur in assenza di una legge ad hoc – sarebbe ricavabile dalla normativa vigente a tutela della salute nei luoghi di lavoro, ossia l’art. 2087 c.c. e le disposizioni ex DLgs. 81/2008 (in particolare, gli artt. 279 e 42). In base a tale indirizzo, il datore di lavoro potrebbe imporre ai lavoratori la vaccinazione a pena dell’allontanamento temporaneo dal lavoro ma anche del licenziamento, qualora la ricollocazione non fosse compatibile con l’assetto organizzativo o mettesse in pericolo la salute di altre persone.

Secondo un’altra parte della dottrina, sarebbe invece necessaria, nel rispetto della riserva posta dall’art. 32 Cost., una legge che preveda in maniera specifica l’obbligo vaccinale per i lavoratori, con la conseguente impossibilità per il datore di licenziare il dipendente che rifiuti la vaccinazione.

La delicata e controversa questione delle conseguenze giuridiche per il dipendente renitente non solo ha infiammato la dottrina, ma è anche approdata in tribunale. Con l’ordinanza del 19 marzo 2021, il Tribunale di Belluno ha ritenuto legittima la decisione di una RSA di collocare in ferie forzate alcuni dipendenti che si erano rifiutati di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID, facendo leva sugli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. (si veda “Problematico gestire i dipendenti che rifiutano il vaccino senza norme chiare” del 26 marzo 2021).

A mitigare i termini della questione è intervenuto il legislatore che, con l’art. 4 del DL 44/2021, ha introdotto l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che lavorano nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali (pubbliche e private), nelle farmacie e negli studi professionali.La norma precisa, innanzitutto, come il vaccino anti COVID-19 costituisca requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento di tali prestazioni lavorative, stabilendo che – in caso di rifiuto – il datore di lavoro possa sospendere, senza retribuzione, il lavoratore dallo svolgimento di mansioni che implicano “contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”, qualora sia impossibile adibirlo ad altra mansione (anche infe
riore) che non esponga al rischio.

L’art. 4 del DL 44/2021 prevede un’articolata procedura che attribuisce alle ASL un ruolo fondamentale nell’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale e individua una durata massima del periodo di sospensione, ossia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.

L’intervento legislativo, seppure riguardi solo il comparto sanitario e contenga diverse criticità applicative, sembra definire alcuni punti nell’ambito del dibattito sorto negli ultimi mesi.In primis, il fatto che l’obbligo vaccinale sia stato introdotto esclusivamente per il personale sanitario fa propendere per la volontarietà della vaccinazione con riguardo alla generalità dei lavoratori. Ad avallare questa soluzione è il Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti COVID-19, sottoscritto il 6 aprile 2021, e le indicazioni tecniche ad interim approvate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome l’8 aprile scorso, seguite dal documento tecnico operativo attuativo del 12 maggio 2021.Questi documenti, infatti, prevedono espressamente l’adesione volontaria e informata da parte dei lavoratori alla campagna vaccinale nei luoghi di lavoro quale presupposto imprescindibile per la realizzazione dei punti vaccinali. Anche il Garante della privacy, nel documento di indirizzo sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro, ha confermato – sulla base dello stato della regolazione attualmente in vigore – la libertà di scelta vaccinale da parte dei lavoratori.

Per quanto riguarda il tema della reazione aziendale al rifiuto opposto dal lavoratore, alla luce di quanto precisato dal Garante della privacy, il datore di lavoro non potrebbe avere informazioni sullo stato vaccinale dei propri dipendenti e non gli sarebbe consentito far derivare alcuna conseguenza negativa alla mancata adesione alla campagna vaccinale e, conseguentemente, applicare sanzioni disciplinari. Si attende, tuttavia, un intervento legislativo chiarificatore.

In concomitanza con l’inizio della campagna di vaccinazione anti COVID-19, si è acceso un vivace dibattito in merito all’esistenza (o meno) dell’obbligo vaccinale nel contesto lavorativo e alle relative conseguenze giuridiche in caso di rifiuto.Tale questione pone delicati problemi che riguardano le libertà costituzionali, il diritto alla salute e l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro e comporta una valutazione che tenga conto del comparto produttivo, della categoria di lavoratori e della classificazione del rischio a cui gli stessi sono esposti.

Secondo un primo orientamento, l’obbligo di vaccinazione del lavoratore – pur in assenza di una legge ad hoc – sarebbe ricavabile dalla normativa vigente a tutela della salute nei luoghi di lavoro, ossia l’art. 2087 c.c. e le disposizioni ex DLgs. 81/2008 (in particolare, gli artt. 279 e 42). In base a tale indirizzo, il datore di lavoro potrebbe imporre ai lavoratori la vaccinazione a pena dell’allontanamento temporaneo dal lavoro ma anche del licenziamento, qualora la ricollocazione non fosse compatibile con l’assetto organizzativo o mettesse in pericolo la salute di altre persone.

Secondo un’altra parte della dottrina, sarebbe invece necessaria, nel rispetto della riserva posta dall’art. 32 Cost., una legge che preveda in maniera specifica l’obbligo vaccinale per i lavoratori, con la conseguente impossibilità per il datore di licenziare il dipendente che rifiuti la vaccinazione.

La delicata e controversa questione delle conseguenze giuridiche per il dipendente renitente non solo ha infiammato la dottrina, ma è anche approdata in tribunale. Con l’ordinanza del 19 marzo 2021, il Tribunale di Belluno ha ritenuto legittima la decisione di una RSA di collocare in ferie forzate alcuni dipendenti che si erano rifiutati di sottoporsi alla vaccinazione anti
COVID, facendo leva sugli obblighi di cui all’art. 2087 c.c. (si veda “Problematico gestire i dipendenti che rifiutano il vaccino senza norme chiare” del 26 marzo 2021).

A mitigare i termini della questione è intervenuto il legislatore che, con l’art. 4 del DL 44/2021, ha introdotto l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che lavorano nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali (pubbliche e private), nelle farmacie e negli studi professionali.La norma precisa, innanzitutto, come il vaccino anti COVID-19 costituisca requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento di tali prestazioni lavorative, stabilendo che – in caso di rifiuto – il datore di lavoro possa sospendere, senza retribuzione, il lavoratore dallo svolgimento di mansioni che implicano “contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”, qualora sia impossibile adibirlo ad altra mansione (anche inferiore) che non esponga al rischio.

L’art. 4 del DL 44/2021 prevede un’articolata procedura che attribuisce alle ASL un ruolo fondamentale nell’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale e individua una durata massima del periodo di sospensione, ossia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.

L’intervento legislativo, seppure riguardi solo il comparto sanitario e contenga diverse criticità applicative, sembra definire alcuni punti nell’ambito del dibattito sorto negli ultimi mesi.In primis, il fatto che l’obbligo vaccinale sia stato introdotto esclusivamente per il personale sanitario fa propendere per la volontarietà della vaccinazione con riguardo alla generalità dei lavoratori. Ad avallare questa soluzione è il Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti COVID-19, sottoscritto il 6 aprile 2021, e le indicazioni tecniche ad interim approvate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome l’8 aprile scorso, seguite dal documento tecnico operativo attuativo del 12 maggio 2021.Questi documenti, infatti, prevedono espressamente l’adesione volontaria e informata da parte dei lavoratori alla campagna vaccinale nei luoghi di lavoro quale presupposto imprescindibile per la realizzazione dei punti vaccinali. Anche il Garante della privacy, nel documento di indirizzo sulla vaccinazione nei luoghi di lavoro, ha confermato – sulla base dello stato della regolazione attualmente in vigore – la libertà di scelta vaccinale da parte dei lavoratori.

Per quanto riguarda il tema della reazione aziendale al rifiuto opposto dal lavoratore, alla luce di quanto precisato dal Garante della privacy, il datore di lavoro non potrebbe avere informazioni sullo stato vaccinale dei propri dipendenti e non gli sarebbe consentito far derivare alcuna conseguenza negativa alla mancata adesione alla campagna vaccinale e, conseguentemente, applicare sanzioni disciplinari. Si attende, tuttavia, un intervento legislativo chiarificatore.