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Edizione del 09/05/2021
Estratto da pag. 1
Razzo cinese nell`Oceano Indiano. Ma si può andare avanti così?
Ha vinto (per fortuna) il calcolo delle probabilità. La caduta dello stadio centrale del Lunga Marcia 5B è finita sull''Oceano Indiano
Alla fine il razzo cinese è caduto in mare, nell’Oceano Indiano, vicino alle Maldive, intorno alle quattro e mezza della mattina italiana. Non si registrano danni, né avvistamenti di detriti. A dare per prima la notizia è stata l’agenzia spaziale cinese Cnsa, che finora era stata piuttosto silenziosa. Poi l’ha confermata il Comando aerospaziale nord America (Norad) degli Stati Uniti.

Nel rispetto del calcolo delle probabilità, ripetuto continuamente negli ultimi giorni, il primo stadio del Lunga Marcia 5B non ha colpito persone. Ma si può andare avanti così? Non è la prima volta che la Cina preoccupa il mondo che le sue attività spaziali. Inoltre, nei prossimi mesi, Pechino realizzerà dieci missioni molto simili, tutte per realizzare la sua terza stazione spaziale.

Il Lunga Marcia 5B è partito il 29 aprile dalla base di Wenchang, sull’isola di Hainan, lungo la costa sud del Paese. Il carico a bordo era particolarmente prezioso: il modulo Tianhe (“armonia celeste”), primo pezzo dell’ambizioso programma per il terzo “palazzo celeste”. Il Lunga Marcia 5B è il più potente razzo della Cina. “Progettato specificamente per lanciare i moduli della stazione spaziale in orbita terrestre bassa”, spiegava l’esperto Marcello Spagnulo, “è alto quasi sessanta metri e pesa al decollo 156 tonnellate; è dotato di un potente primo stadio a cui sono attraccati quattro booster laterali”. Questi “ricadono nell’Oceano Pacifico tre minuti dopo il decollo, mentre l’enorme primo stadio con i suoi due motori arriva in orbita dove rilascia il prezioso carico”. È alto più di 25 metri per cinque di diametro, con un peso stimato di 18 tonnellate.

“La maggior parte dei primi stadi dei razzi – proseguiva Spagnulo – non raggiunge la velocità orbitale e quindi rientra nell’atmosfera cadendo in una zona di rientro predefinita che è calcolata sulla base del sito di lancio e dell’inclinazione dell’orbita target”. Invece, il razzo pesante della Cina “arriva in orbita, ma non mantiene la velocità che lo porrebbe in equilibrio tra la forza di attrazione gravitazionale della Terra e la forza centrifuga, e così ricade; può metterci giorni o settimane, dipende dalla crescente interazione con l’atmosfera che lo trascina, frenandolo, sul Pianeta”. Ci sono poi altri elementi, “come le fluttuazioni atmosferiche, che non sono prevedibili essendo influenzate dall’attività solare e da altri fattori eso-atmosferici”. Queste le variabili in gioco, che non hanno permesso di verificare l’area dell’impatto fino a pochissimi ore della caduta effettiva.

La traiettoria è così stata seguita da tutto il mondo. Anche l’Italia ha attivato le sue strutture, tra Aeronautica militare, osservatori e competenze tecniche. Con circa metà della Penisola coinvolta dalle orbite del razzo, da qualche giorno si era attivato un apposito tavolo tecnico con Protezione civile, Agenzia spaziale italiana, un membro dell’ufficio del Consigliere militare della presidenza del Consiglio, rappresentati del ministero dell’Interno, Vigili del Fuoco, della Difesa (Coi e Aeronautica militare), degli Esteri, Enac, Enav, Ispra e la Commissione Speciale di Protezione civile della Conferenza delle Regioni.

Gli Stati Uniti hanno invocato a più riprese “responsible space behaviours”, mentre il capo del Pentagono Lloyd Austin ha fatto sapere che la Difesa americana non avrebbe cercato di intercettare il razzo, nonostante avesse “diverse capacità a disposizione”. Dalla Cina nessuna comunicazione ufficiale è arrivate circa la situazione, almeno fino alla caduta nell’Oceano indiano. Global Times, tra i quotidiani del Partito a diffusione globale, ha adottato negli ultimi giorni una narrativa tranquillizzante, spiegando che il razzo era ormai privo di propellente, e che la lega di alluminio che lo riveste avrebbe bruciato facilmente al rientro in atmosfera, riducendo gran parte della massa in caduta.

Non è la prima volta che il mondo si trova col naso all’insù per le cadute incontrollate cinesi. A maggio 2020, il Lunga Marcia 5B debuttò per la prima volta dal
la base Hainan, con a bordo la nuova navicella che servirà a portare i taikonauti a bordo della Tiangong-3. Dopo aver eseguito correttamente la missione, lo stadio centrale del vettore è precipitato nell’Oceano Atlantico, non senza preoccupazioni, trattandosi “dell’oggetto più massiccio degli ultimi decenni rientrato nell’atmosfera terrestre in modo incontrollato”. Si ricorderà a Pasqua del 2018 la preoccupazione (anche in Italia) per la caduta incontrollata della Tiangong-1. Episodi che hanno creato una certa pressione internazionale sulla ambizioni spaziali di Pechino, ritenuti il sintomo di una corsa sfrenata, senza troppi fronzoli quando si tratta di sicurezza.

A giugno dello scorso anno, in occasione del lancio dei satelliti Beidou (con cui la Cina vuole un sistema autonomo di navigazione satellitare concorrente al Gps americano, al Galileo europeo e al Glonas russo) è stata riportata la caduta pericolosa di parti del razzo vettore nelle aree circostanti la base di lancio di Xichang, nella provincia sud-occidentale del Sichuan. Le immagini dell’impatto a terra mostrarono un denso fumo arancione a elevarsi su una collina alberata, per molti indice di esplosione da tetrossido di nitrogeno, ovvero ciò che alimenta alcuni stadi del Lunga Marcia 3B, usato per il lancio. Anche per questo Pechino ha spinto molto per una quinta base di lancio, ad Haiyang, nella provincia di Shandong, protesa nelle acque del Mar giallo, lì dove l’eventuale caduta sarebbe indolore.

Ora la comunità internazionale si interroga su come evitare ulteriori episodi. Il diritto spaziale è ancora in evoluzione, e non tutto è normato per casi simili. Oltre le condanne e le denunce, ben poco si può fare per evitare il ripetersi di cadute incontrollate. Il problema è comunque noto da tempo, come d’altra parte lo è il tema della “space debris”, la spazzatura che popola le nostre orbite, tra satelliti non più attivi, detriti di vario genere e pezzi di razzi.

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