corrieredelmezzogiorno.corriere.it
Dir. Resp.
Tiratura: n.d. - Diffusione: n.d. - Lettori: 16627
Edizione del 29/04/2021
Estratto da pag. 1
Nomine, lobby e poca cultura
SuIl Mattino c’era una notizia che è mancata ai nostri lettori: la Regione Campania ha finalmente un assessore alla Cultura. Si chiama Rosanna Romano e presiede la Direzione Generale per le Politiche Culturali e per il Turismo. Lo so, vi starete chiedendo: ma un alto burocrate può svolgere contemporaneamente mansioni di indirizzo politico e amministrativo? Per le elementari norme del buon senso, la risposta sarebbe ovviamente no. Ma a Palazzo Santa Lucia il buon senso è ormai un ospite molesto e quindi c’è ben poco da meravigliarsi. La nomina, diciamo così, è stata resa ufficiale da una lettera che la stessa Romano ha indirizzato al quotidiano vesuviano in merito alla controversa vicenda delle nomine fatte da Vincenzo De Luca all’interno dei comitati scientifici dei principali musei campani.Ricordate? A Paestum, Antonio Bottiglieri (ex giornalista Rai e ora presidente di Scabec, l’azienda regionale che si occupa della valorizzazione del patrimonio culturale dispensando copiosi fondi pubblici); a Capodimonte, don Antonio Loffredo (il sacerdote che è stato tra gli artefici della rinascita del rione Sanità); a Pompei, Emilio Di Marzio (un politico del Pd locale); al Mann, proprio Rosanna Romano. Questo giornale, attraverso firme e voci autorevoli del panorama nazionale (da Sabino Cassese a Vincenzo Trione, da Biagio de Giovanni a Paolo Macry, da Domenico De Masi a Nicola Spinosa), si era chiesto banalmente cosa ci facessero in un museo persone che ti saresti aspettato di trovare ovunque ma non in un team di esperti. Per giorni nessuno si è degnato di darci una risposta.Allo stesso modo abbiamo denunciato come il Madre fosse sostanzialmente privo di un comitato scientifico visto che cinque membri su otto si erano dimessi e ci siamo chiesti perché sul sito, in sprezzo a qualsiasi forma di trasparenza, comparissero invece ancora in carica. Anche in questo caso la presidente Tecce, o chi per lei, ha scelto di non parlare con noi (sebbene per 48 ore le avessimo sollecitato un’intervista) ma di pubblicare una disastrosa nota sull’home page della Fondazione Donnaregina che ha spinto Vincenzo Trione e Patrizia Re Rebaudengo, due esperti d’arte di fama internazionale, ad abbandonare definitivamente il museo insieme con Doris Salcedo, Olga Sviblova e Manal Ataya, tre «signore» della cultura estera. Detto ciò, la polemica si era poi sopita a causa dell’altalena di argomenti che la cronaca irrimediabilmente impone. Ma quest’intervallo silenzioso deve aver spronato la dottoressa Romano, o chi per lei, a «ufficializzare» la sua promozione ad assessore con una lettera che definire ardita, per contenuti e stile, sembra addirittura eufemistico. E allora, con calma tenace, il Corriere del Mezzogiorno aggiunge altri interrogativi a quelli già avanzati. Il primo: perché insolentire i lettori de Il Mattino che di questa faccenda sanno meno di zero, dato che il loro giornale non ha scritto una sola parola a riguardo? Si tratta, forse, di un messaggio trasversale spedito dalle pagine di una testata compiacente? Il secondo: a che titolo il dirigente di un’amministrazione pubblica interviene in una storia che è tutta politica e per niente burocratica? Dove si è mai visto che un alto funzionario rilasci dichiarazioni, intervenga alle conferenze stampa e, nella sostanza, orienti così le scelte strategiche al pari di un assessore? Il terzo: si può voltare la frittata in ogni modo e tirare in ballo a sproposito l’articolo 6 del Codice dei beni Culturali, ma resta inoppugnabile che quei quattro nomi sono incompetenti sotto il profilo artistico e in un paio di casi (Bottiglieri e Romano stessa) perfino al centro di un plateale conflitto d’interessi. Possibile che in Campania non esistessero personalità tali da meritare quegli incarichi garantendo così un reale sostegno scientifico ai nostri musei? Il ministro Dario Franceschini ha operato in senso diametralmente opposto, a conferma che si potevano percorrere altre strade. Tuttavia, alla fine, non è l’improvvida sortita di Rosanna Romano a destare sconcerto.Ben più inquietante è la somma che si ot
tiene addizionando le notizie degli ultimi giorni: le nomine in stile Cinque Stelle modello Rosseau (uno vale uno), il Madre che risponde alle polemiche con un comunicato pubblicato esclusivamente sul suo sito, il direttore di Capodimonte e padre Loffredo che ci scomunicano per aver criticato la confusione tra arte e sociale, il sovrintendente del San Carlo che annuncia a una sola testata (quasi fosse il suo house organ) la riapertura del teatro dopo la pandemia, la Regione e Scabec che nei social appongono i loro loghi sulla guida alla Campania di Lonely Planet per certificare l’avvenuta «sponsorizzazione» del volume, l’inopinato cambio di nome del Napoli Teatro Festival in Campania Teatro Festival, il pasticcio compiuto al Festival di Ravello con il nuovo presidente defenestrato dopo ventiquattr’ore, tutti indizi di una concezione «privatistica» della cultura e, più in generale, delle istituzioni. Qualora non fosse chiaro, stiamo parlando di teatri, rassegne, musei e iniziative che sono finanziati con denaro pubblico (svariati milioni) e non con soldi di famiglia: questo impone rigore amministrativo, trasparenza nelle nomine (che vanno sempre motivate), massima attenzione al merito, una condivisione delle scelte che sia il più ampia possibile.Invece assistiamo alla degenerazione di ciò che un tempo si chiamava democrazia partecipata, fondata sul dialogo e sulla discussione anche aspra, in nome di un’autocrazia piramidale che vede in cima il Grande Capo e via via, a scendere, piccole e grandi lobby dove s’intrecciano convenienze, alleanze, vendette e opportunismi. Chi, come questo giornale, cerca di restaurare un discorso pubblico che abbia al centro il confronto tra cittadini e istituzioni viene scacciato come una mosca sul naso o travolto dalla macchina del fango che impasta illazioni, sospetti e pettegolezzi d’infimo grado. Dunque mi chiedo: nella costumanza deluchiana, che premia condannati per reati gravi come Nello Mastursi e Patrizia Boldoni eleggendoli a suoi diretti collaboratori, che confonde la burocrazia con la politica al pari degli antichi regimi dell’Est, che abolisce le domande e instaura gli editti televisivi del venerdì come unica forma di comunicazione, quale spazio è ancora concesso a una dialettica civile di stampo occidentale? Per quanto tempo il Pd di Enrico Letta potrà sopportare tutto questo, assistendo inerme all’erosione del suo tradizionale elettorato riformista scalzato ormai da un populismo neo-borbonico basato su palpiti isolazionisti e «ammuine» travestite da rivendicazioni sudiste? Non mi illudo: immagino che anche queste domande resteranno senza risposta, considerata l’arrogante strafottenza di De Luca e l’immane pavidità politica del Pd. Ma è sempre meglio avanzarle perché si tenga a mente che non ci troviamo davanti a un varietà televisivo formato Crozza, bensì dinanzi a qualcosa che sta alterando profondamente il tessuto connettivo della nostra democrazia e il senso stesso delle istituzioni pubbliche. C’è solo da sperare che quando ci risveglieremo dal lungo sonno dell’indifferenza non sarà troppo tardi.