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Edizione del 07/03/2021
Estratto da pag. 1
Stellantis, si inizia a ballare. La sfida Green alle eco mafie
Lavoratori Stellantis da Cassino alla Sevel: cosa significa. Il panorama industriale sta cambiando. E la politica è tremendamente in ritardo. Non sta capendo. I grandi assenti sul territorio. L''urlo anti Ecomafie che viene lanciato dagli ambientalisti
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Non era una balla, non c’erano esagerazioni. L’allarme lanciato la scorsa settimana durante la riunione del Direttivo di Unindustria Cassino trova le prime conferme. I lavoratori dello stabilimento Stellantis Cassino Plant sono stati mandati in Abruzzo a lavorare in trasferta sulle linee Sevel di Atessa. Non è la prima volta ma adesso c’è un piano ben preciso: prevede lo stop alle assunzioni nella celebra fabbrica di furgoni del Gruppo. (Leggi qui Stellantis “Qui costa troppo”: il dopo è un nuovo modello di sviluppo).

Fa parte di una linea per la razionalizzazione dei costi che colpirà la rete di fornitura. E l’indotto. Non è colonialismo industriale, non è Parigi che fa pagare all’Italia la cessione del suo gioiello industriale. È l’avvio di una riorganizzazione che sarà lacrime è sangue. Per le ragioni che Carlos Tavares (tra i migliori manager mondiali nel settore, non Torquemada) ha detto con chiarezza: sia quando ha visitato lo stabilimento Cassino Plant e sia quando più di recente a Mirafiori e Grugliasco. In pratica qui costa troppo produrre le macchine. E il problema non sono gli stipendi dei lavoratori. (Leggi qui Tavares ed Elkann 7 ore a Cassino: la sfida è Grecale).

Ha fatto esempi concreti il manager portoghese. Rivelando che ogni Maserati assemblata sulle linee di Grugliasco costa 6mila euro di ammortamento mentre quelle fabbricate a Mulhouse in Francia ne costano appena 1.700. Non basta. Su ogni 500 Elettrica prodotta a Mirafiori gravano mille euro in più di una vettura simile realizzata in Spagna. E Cassino? Meglio non parlare di quanto costa produrre una Giulia o una Stelvio. Costa di più la corrente, pesano di più le tasse, contano in maniera terribile i ritardi dovuti alla burocrazia, senza contare che in Italia non c’è mai chiarezza.

In Industria, come in guerra, non si sta a guardare. Si agisce: il tempo perduto è l’unica cosa che non si può riconquistare. Così i lavoratori Stellantis di Cassino tornano a fare le trasferte ad Atessa, i contratti di fornitura iniziano ad essere tagliati (il primo è stato quello con le ditte di pulizia, nonostante facessero brillare i pavimenti di Melfi e Atessa). La riorganizzazione riguarderà tutta la catena di fornitura ed i suoi stessi modelli: realtà come il Polo Logistico di Piedimonte San Germano che fu fondamentale anni fa per salvare Cassino Plant ora potrebbe sparire per essere internalizzato. Ipotesi.

Appare allora ancora più chiara la visione delle cose data la settimana scorsa dal Direttivo degli industriali. Il problema è che non sono loro a dover fornire la soluzione. Ma è la politica.

Una politica che non ha per niente una visione del sistema: basta vedere cosa è accaduto alla Henkel e le sue conseguenze sulla provincia di Frosinone. Lo stabilimento lombardo è stato chiuso e la produzione trasferita a Ferentino: bene. Ma lo stesso principio prima o poi scatterà per le fabbriche che sono qui. E finiranno altrove. Perché si interviene prima per evitarlo, si disegna prima il futuro e non quando un Piano Industriale è già stato approvato dal CdA. (Leggi qui Stellantis o ci muoviamo o ci faranno un (Lo)mazzo cosi).

Qui la politica non ha la più pallida idea né di quale sia il problema né di chi siano gli interlocutori. Con chi di Stellantis ha parlato la Regione Lazio durante i tavoli dell’Automotive organizzati dal presidente Mauro Buschini, unico tentativo di rompere il silenzio? Chi è l’interlocutore istituzionale di Regione Lazio a quel tavolo? Nessuno. Stellantis ha iniziato la sua rivoluzione e qui non c’è uno con cui parlarne ufficialmente ad un tavolo istituzionale.

A peggiorare le cose sono le dimissioni da Segretario nazionale del Partito Democratico rassegnate da Nicola Zingaretti. Con la sua sostituzione, le possibilità di sollevare una questione nazionale sul tema saranno ridot
te al lumicino. Soprattutto perché nel Partito Democratico si parla solo di poltrone e non di problemi concreti. (Leggi qui Pd, Zingaretti si dimette: “Ora scelga l’Assemblea”).

L’unica risposta sta arrivando silenziosamente dallo stesso territorio Cassinate. È il primo esempio pratico di Transizione Ecologica. Cioè la creazione di una vallata interamente coltivata a canapa industriale per farle assorbire i veleni dai terreni e ricavarne bio plastiche con cui sostituire gli imballaggi tradizionali.

Il bambino è nella culla: ora si vedrà chi vuole allattarlo. L’industria e la politica non possono starne fuori. L’idea lanciata dal Comune di Roccasecca e dal Consorzio Industriale Cosilam ha portato all’adesione di partner scientifici nazionali come Enea (Ente Nazionale per le nuove energie) e l’Università di Cassino. Hanno annunciato l’adesione immediata i Comuni di Anagni (in diretta tv la settimana scorsa su Teleuniverso il sindaco Daniele Natalia ha anticipato la sua lettera) e di Ceccano (l’assessore all’Ambiente Riccardo Del Brocco porterà in dote i risultati della micro sperimentazione avviata in città).

Su quell’area c’è stato un altro esempio di riconversione industriale legata al green ed al circular: la ex Ideal Standard e le sue centinaia di posti hanno smesso di fabbricare gabinetti e oggi producono il famoso sampietrino in pietra ceramica. Nel quale una parte dell’impasto deriva da ceneri di termovalorizzatore che oggi vengono interrate in discariche con speciali accortezze (occupando quindi suolo) o smaltite in maniera criminale.

La politica dov’è? Dove sono le agevolazioni per chi mette su una fabbrica con la quale abbattere la plastica ed il suo inquinamento? Dove sono i progetti del Recovery Fund? Dov’è il sottosegretario alla Transizione Ecologica Ilaria Fontana, eletta proprio in quel collegio? (Leggi qui Il trionfo di Ilaria: al Governo con Durigon).

Quel piano avviene a mezzo metro di distanza da uno dei principali player nel settore delle agroenergie, cioè dell’energia ottenuta attraverso l’agricoltura. Quel signore si chiama Valter Lozza ed in Europa lo conoscono per i progetti che ha realizzato nel settore. Possibile che qui debba essere conosciuto solo per le discariche che ha realizzato? Dov’è il know how di statura internazionale che le sue aziende hanno acquisito sul settore? E perché non partecipa mettendolo a disposizione di questa operazione, avviando magari una transizione pure lui?

C’è un’altra sfida, grossa quanto quella di Stellantis e della Green Valley. Inutile nascondersi dietro un dito: avviare questi progetti significa togliere da sotto al naso della camorra sia l’osso e sia la polpa.

Proprio per questo, qui occorrono leggi chiare, regole chiare. Altrimenti sarà fuffa. Con coraggio, lo hanno detto come sempre gli ambientalisti. Lo ha detto ancora una volta con chiarezza Legambiente di Frosinone nei giorni scorsi con un’intervista sulla Rai; lo ha detto Civis di Ferentino con il suo protocollo Cucina a Vista che mette a nudo tutti gli affari sporchi che potenzialmente possono nascondersi dietro ad un’operazione industriale. Chi avrà il coraggio di firmarlo?

Se si rispettano quei vincoli, non ci ritroveremo operazioni camorriste nel giardino di casa. E la recente ondata di interdittive antimafia firmate dal prefetto Ignazio Portelli confermano quanto siano concreti gli appetiti dei clan sul nostro territorio.

L’associazione ha realizzato lo scorso fine settimana un manifesto. Due paginette che sintetizzano il protocollo vero e proprio. Riassumono la rivoluzione contenuta in 8 schede con 25 informazioni. La sfida morale è quella di renderle pubbliche: mettendole sul proprio sito web, o sui siti dei Consorzi Industriali, o delle associazioni di categoria, sulle piattaforme social e così via ma senza alcuna limitazione di accesso. (Leggi qui La sfida agli industriali. Ma pure ai falsi ambientalisti).

Si chiede di mettere in chiaro (documenti alla mano): chi realizza la nuova attività; dove intende co
llocarla; cosa produrrà; come lo produrrà; quanto investirà; perché viene realizzata l’attività – economia circolare e sostenibilità ambientale. Infine chiede l’impegno a rispettare il protocollo della “Cucina a vista”;

Il Protocollo contiene principi chiave che ai clan non piaceranno affatto. Ad esempio l’impegno ad essere trasparenti se si trasferisce l’attività una volta ottenute le autorizzazioni ambientali. Con quel protocollo si introduce il principio che l’autorizzazione ambientale ha una faccia, una reputazione, un’affidabilità.

Non può più succedere che una brava persona, incensurata, con una storia industriale alle spalle, si ritrovi con una pistola alla tempia e decida di entrare in società con un amico dei camorristi. Una volta autorizzati, se si cede l’attività, il principio è che l’autorizzazione torni ad essere valutata dagli organi autorizzatori: è cambiato l’imprenditore va bene anche con quest’altro? Fine di certe infiltrazioni.

È quanto chiedeva la scorsa estate il fondatore e presidente del gruppo Saxa Gres Francesco Borgomeo lanciando l’allarme sugli appetiti delle mafie nella circular economy. (Leggi qui I clan si preparano a mangiare la nuova Circular Economy del Lazio e qui “Contro le mafie vinceremo noi della Circular Economy”)

Chi avrà il coraggio di firmarlo?