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Dir. Resp.
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Edizione del 01/03/2021
Estratto da pag. 1
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Oggi la direzione del Pd, la minoranza aspetta un segnale. La scelta di D’Elia potrebbe aprire la sfida del congresso
Nicola Zingaretti, l’uomo tranquillo, è chiamato ad una scelta che non appare strategica, ma che potrebbe cambiare la vita sua e del suo partito: se indicherà come vice-segretaria del Pd una donna a lui vicina, Cecilia D’Elia, rifiutando la mano tesa del ministro della Difesa Lorenzo Guerini («Serve una gestione unitaria»), in automatico si aprirà il congresso del partito, nel quale l’attuale segretario potrebbe essere sfidato da un candidato alternativo. Una sfida per la leadership che, sebbene sconosciuta alla tradizione del Pci, evocato come partito «da rilanciare» in un recente lapsus da Nicola Zingaretti, è invece una costante nella storia del Pd.
Le aree del partito che nel marzo 2019 non hanno votato il segretario ma non lo hanno mai avversato – nel periodo meno conflittuale nella vita interna del Pd dalla sua nascita sino ad oggi – hanno chiesto che, accanto al vice-segretario Andrea Orlando (ministro che vuole mantenere il suo incarico), la “vice” donna (prevista da Statuto) sia riconducibile alla “minoranza”. Ma se la scelta cadesse su una “zingarettiana”, Base riformista (l’area che fa capo a Guerini), lo interpreterà come un gesto di rottura e si preparerà alla mozione alternativa. In un congresso destinato a tenersi nell’autunno di quest’anno.
Oggi si concluderà la riunione della Direzione del Pd sulla questione della rappresentanza delle donne, dopo il caso dei tre ministri uomini (su tre), peraltro una replica del Conte-2: il Pd si presentò con sei ministri uomini su sette. Ma le scelte dirimenti – se, quando e come fare il congresso – sono demandate all’Assemblea nazionale convocata per il 13 e 14 marzo. In quella occasione Zingaretti traccerà il suo percorso. Un primo indizio lo offre Matteo Ricci, il sindaco (di Pesaro), più vicino al segretario: «Serve un congresso tematico», senza «conte interne». In altre parole, il segretario proporrebbe le tesi e il congresso sarebbe chiamato soltanto a fare emendamenti, come si usava nel Pci da Bordiga e Togliatti in poi.
Il variegato fronte che contesta la linea dell’alleanza prioritaria con i 5 stelle (Base riformista, i principali sindaci, Stefano Bonaccini) punterà ad un congresso vero che fissi le percentuali tra le componenti in vista della formazione delle liste per le prossime Politiche, pensiero fisso e prevalente per Zingaretti ma anche per gli “altri”? In vista del congresso il fronte Zingaretti punta ad un’alleanza «non strategica» ma stabile con i Cinque stelle, con Giuseppe Conte nel ruolo di federatore: «Rimane una carta decisiva», dice Goffredo Bettini, mentre l’ex ministro Francesco Boccia dice che «sbaglia chi ritiene sia un uomo del passato». Ma da ieri Conte è entrato nel gotha 5 Stelle, diventando uomo di parte nelle fila di un Movimento che da due anni nelle intenzioni di voto è sotto al Pd. Ma il vero discrimine dentro il Pd potrebbe diventare Mario Draghi. Dice un battitore libero come Giorgio Tonini, in un’intervista a Confini di Rainews 24: «Il Pd dovrebbe nutrire l’ambizione di diventare abitabile, in via spontanea, per personalità, mondi che oggi fanno fatica a riconoscersi in un partito dilaniato da incomprensibili baruffe, anche per evitare che a far propria l’agenda Draghi siano i partiti del Nord, Lega e Forza Italia». Se congresso sarà, chi sfiderà Nicola Zingaretti? Il candidato “naturale” sarebbe Stefano Bonaccini, che al Pd “frontista” di Bettini, contrappone «un’alleanza di centro-sinistra», ma che non si vede nei panni di sfidante di Nicola, suo compagno alla Sinistra giovanile. Da Base riformista spunta una suggestione: e se fosse una donna
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