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Edizione del 26/02/2021
Estratto da pag. 1
Zingaretti: “Non mi faccio logorare”. E chiama i grillini nella sua giunta
Gli ex renziani attaccano il leader, ma insorgono le sezioni storiche: basta risse. Le donne Pd: Orlando si dimetta da vice
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Gli ex renziani attaccano il leader, ma insorgono le sezioni storiche: basta risse. Le donne Pd: Orlando si dimetta da vice

ROMA. «Se vogliono il congresso io sono pronto, certo non mi faccio logorare», sbuffa Nicola Zingaretti rientrando nel suo studio al Nazareno alla fine della Direzione. Dove ha elencato numeri alla mano tutte le riunioni dei vari organismi dirigenti durante la crisi, quindi «tutti i passaggi li abbiamo decisi insieme». Nessuno ha obiettato niente. Il segretario è stufo del bombardamento quotidiano ad opera degli ex renziani: «Che contestano la linea dell’alleanza con i 5 Stelle, senza dire quale sia l’alternativa», si infiammano i suoi colonnelli mentre fanno il punto con lui sulla situazione. Del resto Zingaretti lo dice chiaro al “parlamentino” dem, cosa intende quando declina il Pd come «una forza riformista a vocazione maggioritaria con una sua idea di Paese: non una forza di testimonianza, bensì un partito che coltiva alleanze per vincere». Insomma, la tela delle alleanze con M5s e Leu va cucita e ricucita, ora che il laboratorio del governo Conte è venuto meno. Un governo di cui Zingaretti rivendica la bontà, perché grazie al Pd, «lo stesso Parlamento che li aveva votati, ha ribaltato l’obbrobrio dei decreti Salvini». E che il segretario-governatore stia lavorando ventre a terra su un accordo strutturale con i grillini, lo dimostra una notizia che va maturando in queste ore: l’ingresso nel governo Draghi dell’assessore al Bilancio della giunta regionale del Lazio, Alessandra Sartore, una figura da 7 anni molto vicina a Zingaretti, è propedeutico ad un ingresso dei 5 Stelle nella compagine di governo della regione. Zingaretti avrà dunque un assessore dei 5 Stelle, una svolta costruita come viatico per gli accordi da siglare nelle città che vanno al voto.

Il 13 marzo parte il congresso

E mentre si muove per cercare le intese, deve correre a zig zag per evitare i mortai del fuoco amico. Gli iscritti delle sezioni storiche di Roma, da Ponte Milvio a Garbatella, gli scrivono invocando «uno stop alle liti», chiedendo di trovare i migliori candidati per vincere le elezioni a Roma. Insomma, la base è scocciata di queste risse e pensa a vincere le comunali a Torino, Bologna, Napoli. Molti sono insofferenti verso questo discettare di congresso sull’orlo del burrone: anche la vicepresidente Debora Serracchiani si rivolta contro chi lo chiede ora, quando la sola urgenza a cui pensare è il piano vaccini. Lui, Zingaretti deve spiegare la svolta nel governo Draghi, che considera un esecutivo di emergenza per fare due cose, Recovery e vaccini. E addossa la colpa a Renzi di quanto successo, poiché la strategia dell’ex leader sia quella di indebolire i dem. «Tutto sarà molto più complesso nei prossimi mesi, anche perché la nostra rappresentanza al governo, dopo il Conte 2, è tornata ad essere proporzionale alla forza parlamentare determinata dalla sconfitta del 2018 e dalle scissioni. Così da 23 siamo passati a 9 componenti di governo, ma se dovremo combattere, lo faremo», dice, accusando chi nel Pd ha giocato di sponda con Renzi per far cadere Conte. «E visto che siamo 9 dovremo essere 100 volte più uniti», chiede il segretario. Ma le cose non stanno così, per tutto il giorno gli ex renziani fanno partire una batteria di colpi contro Andrea Orlando, che li accusa in un’intervista di voler logorare il leader. «Orlando insegue le ombre, niente letture complottiste, piuttosto al suo posto mi sarei dimesso da vicesegretario», lo attacca Andrea Marcucci, capogruppo al Senato, considerato al Nazareno una quinta colonna di Renzi.

Il leader deve guardarsi le spalle non solo dai renziani, ma anche dalle donne del partito, che gli contestano di non aver stoppato Draghi e Mattarella quando nominarono i tre ministri uomini. Al riparo dai microfoni gli imputano di aver accettato l’imposizione correntizia dando il via libera a Guerini, Franceschini e Orlando, proprio nel momento in cui lui stesso ha fatto un passo indietro per non far andare Salvini al
governo. «Si doveva imporre lì». Per ora il bersaglio è il suo vice Orlando, De Micheli ricorda di essersi dimessa da vice quando andò al governo, Chiara Gribaudo chiede a Orlando di fare altrettanto. Il segretario prova a suturare «la ferita» (disinfettata facendo 5 donne su 6 sottosegretari) con un’agenda in 10 punti per le donne, dalla 194 alla parità salariale. Per ora si carica anche questa croce sulle spalle. «Io mi assumo tutta la responsabilità politica di aver condotto il Pd ad accettare le scelte fatte in un percorso difficile», dice per far capire che la colpa è sua, quindi di tutti.

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