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Edizione del 29/01/2020
Estratto da pag. 1
Nello Musumeci a New York: “Basta fatalismo, la Sicilia cambierà i siciliani”
We love New York, from where we write, and we want to tell it to Italians.We love Italy, and we want to tell it to the world.

Il viaggio del Presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci nell'illustrazione di Antonella Martino

In missione per il commercio quindi grande attenzione alla comunità: il Presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci è stato in visita tra New York e New Jersey e i suoi obiettivi economici si intrecciavano con le feste solo apparentemente sociali. Infatti lo scopo era anche quello di farsi aiutare dalla comunità dei milioni di oriundi siciliani negli USA a spronare possibili iniziative per imprese interessate ad investimenti e attività commerciali in Sicilia. E così gli abbracci in New Jersey con i siculo americani arrivati anche da stati del Far West, servivano sì a far rimpiangere le radici, ma soprattuto a individuare professionisti e/o facoltosi compaesani e convincerli a darsi pure loro una mossa per aiutare l’economia siciliana.

Ovviamente, è stato pronto il nuovo direttore dell’ICE di New York, il siciliano Antonino La Spina, affiancato dal Console Generale Francesco Genuardi, ad organizzare per Musumeci e il suo assessore alle attività produttive Mimmo Turano un incontro con un gruppo di possibili investitori americani, che ci sono sembrati attenti ai dati che il presidente della Sicilia aveva da riferire sull’isola più grande del Mediterraneo – noi non lo chiameremo mai governatore Musumeci, perché la Sicilia resta a statuto speciale e quindi ha un presidente che dovrebbe contare molto più di un governatore-. Dopo, nel pomeriggio di lunedì, Musumeci ha partecipato anche con successo alla riunione a Manhattan dell’Italian Export Forum, organizzata insieme a “Your Italian Hub”, per un tour di promozione con lo slogan, a noi molto caro da anni, “Italy: Exporting Beauty”.

Per questa intervista abbiamo incontrato Musumeci sulla Park Avenue subito dopo che il presidente aveva partecipato, con evidente commozione, alla lettura dei nomi dei deportati ebrei italiani ad Auschwitz organizzata, come ogni 27 gennaio, dal Consolato Generale d’Italia insieme al Centro Primo Levi. La nostra chiacchierata é iniziata mentre Musumeci finiva di visitare la bella mostra di fotografie sulla Sicilia dell’artista Midge Wattles esposte sempre in Consolato,  per proseguire per strada nella breve passeggiata che separa la sede consolare italiana da quella commerciale dell’ICE, tra Park Avenue e Madison Avenue. E’ stato lo stesso Musumeci a capire che la nostra intervista meritava attenzione e concentrazione, così abbiamo aspettato che finisse il suo lavoro con i potenziali investitori per chiuderci in una stanzetta riservata dell’elegante sede commerciale italiana dove il presidente della Sicilia ha risposto alle nostre domande su questa sua missione a New York e su problemi di cui magari aveva accennato poco o nulla agli investitori. Ecco il resoconto della nostra conversazione. 

Da presidente della Sicilia questa è la prima volta a New York?

“Sì, da presidente della Regione siciliana sì. Ma sono già stato il mese scorso a Pittsburgh per definire un accordo con il centro medico universitario di quella città finalizzato alla realizzazione di un nuovo grande ospedale in Sicilia, l’ISMEET Due, nei pressi di Palermo. L’accordo è stato raggiunto per un centro soprattutto specializzato nei trapianti, e nella terapia oncologica, e nella neurologia”.

Già ieri è stato accolto in New Jersey dalle federazioni dei siciliani in America. Lei ha detto loro che la Sicilia “ha bisogno di voi”. Quindi dei siciliani migrati in America ma anche dei loro figli. Cosa intendeva con quel “ha bisogno di voi”?

“Intanto sono rimasto piacevolmente sorpreso dal calore umano con cui mi ha accolto la comunità siculo-americana nel New Jersey. Ho voluto evidenziare come in questa stagione, la Sicilia abbia tutte le carte in regola  per uscire dal tunnel. E’ un brand appetibile, persino il New York Times ci dice che la Sicilia è una delle sette mete preferite al
mondo, e questo capitale merita di essere investito con l’impegno non soltanto del governo regionale, ma anche dei siciliani in patria e ovunque sparsi nel mondo. Io credo che il cittadino siciliano, o discendente, non importa di quale generazione, debba avvertire il bisogno di essere utile alla propria patria. E lo può fare promuovendone l’immagine, il valore dell’isola…”

I siciliani all’estero però, che con i loro discendenti sono più numerosi dei quasi cinque milioni che risiedono in Sicilia, ripetono: i siciliani in Sicilia restano troppo pessimisti. Ci vuole più ottimismo?

“E’ una lamentela fondata e giustificata. Si tratta di una sorta di tara antropologica. Una terra come la nostra che ha subito 15 dominazioni ci ha indotti ad essere fatalisti. Ed è uno de più grandi ostacoli da superare quello della rassegnazione perché per cambiare la Sicilia occorre che cambino innanzitutto i siciliani.  Nel senso bisogna credere che questa terra sia redimibile, bisogna credere nella possibilità di sviluppo. Invece si continua ad affidarsi al fato, al destino, da noi ancora si dice ‘comu finisci si cunta’ . Questo è un grosso errore perché non si interviene per determinare come finisce la nostra condizione, ma ci si limita soltanto a raccontarla. Oggi la Sicilia ha tutte le carte per poter avere una sorte diversa rispetto a quella del passato ma da solo il governo non basta. Serve il coinvolgimento della comunità. Per carità non tutti i siciliani sono dei rassegnati fatalisti, ma la grande maggioranza ancora sì.  In Sicilia ogni mattina un milione e 350 mila persone si alza per andare a lavorare e per consentire a questa terra di andare avanti. E’ pero è anche vero che in Sicilia soltanto uno su 4 lavora. In Emilia Romagna, per esempio, due su quattro. Se noi riuscissimo a capitalizzare le opportunità che oggi la Sicilia presenta, anche per favorevoli congiunture internazionali, riusciremmo ad aumentare il prodotto interno lordo, i consumi e quindi a bloccare un processo non più recessivo ma quasi stagnante. Per carità cresce il tasso di occupazione dello 0,3%, c’è poco da festeggiare, ma è una inversione di tendenza rispetto al passato. Cresce l’export. Siamo la regione dove il turismo ha un tasso di crescita superiore a tutte le altre regioni del mezzogiorno, il nostro agro alimentare trova spazio nel mondo, non abbiamo grandi aziende, grandi industrie, se si fa eccezione per la STMicroelectronics”.

Ci sembra di capire dal suo discorso, che lei rifiuti l’idea che la più grande isola del Mediterraneo debba rassegnarsi a sperare solo nel turismo rilanciato dal NYT… Oggi, incontrando qui all’ICE alcuni potenziali investitori americani, crede che in Sicilia si possa ancora creare sviluppo e posti di lavoro al di là della semplice industria del viaggio di piacere?

“Il nostro obiettivo è quello di fare della centralità geografica della Sicilia nel bacino Mediterraneo, una centralità economica e culturale.  Per fare questo servono infrastrutture adeguate. Se le avessero create venti o trenta anni fa, oggi non saremmo qui ad inseguire lo 0,1% della crescita. Purtroppo i porti hub non sono stati al centro dell’agenda dei governi nazionali e regionali, il sistema aereo portuale non prevede uno scalo hub, la ferrovia veloce si ferma a Salerno e noi scontiamo questa mancata programmazione. Ci siamo tuffati con tenacia e perseveranza, abbiamo investito in questi due anni tutte le risorse che l’Europa ha messo a disposizione, quasi due miliardi di euro, senza restituire a Bruxelles un solo centesimo, abbiamo iniziato una nuova programmazione. Stiamo puntando sulla riqualificazione degli spazi culturali e dei beni culturali perché la Sicilia può innanzitutto puntare su un turismo naturistico e paesaggistico, al tempo stesso abbiamo dato sostegno agli agricoltori, la biodiversità della Sicilia è una straordinaria ricchezza, abbiamo varato un piano contro la siccità, per sostenere le aziende agricole, i nostri prodotti arrivano sulle tavole di tutte il mondo, segno evidente che il nostro brand tira. Stiam
o realizzando un grande centro congressi a Palermo per inserire la Sicilia nel novero del turismo congressuale. Ci vogliono anni, perché le leggi che soprattutto disciplinano l’attività delle opere pubbliche sembrano essere fatte per ostacolare e per frenare la spesa pubblica invece che per incentivarla.  Troppi passaggi, troppi lacci, troppi visti, troppa burocrazia. E invece ci sarebbe bisogno di snellire le procedure. Alla Sicilia in questo momento non mancano le risorse finanziarie ma mancano le regole per accelerarne l’utilizzo”.

Prima parlando con i possibili investitori, lei ha detto che c’è la legalità in Sicilia, dato che in passato quello della legalità è stato sicuramente uno dei problemi principali che ha frenato gli investimenti. Quindi innanzitutto la fiducia: ma allora qui si deve parlare anche, come direbbero gli americani, dell’elefante nella stanza. Parliamo della mafia, quindi. Allora è vero che la troppa burocrazia e le lentezza sono un problema per gli investimenti, ma per un investitore estero potrebbe esserci un altro tipo di paura, appunto quella della fragile legalità, cioè gli ostacoli e i danni che la mafia può provocare a qualunque impresa economica. Perché, purtroppo, in Sicilia la mafia c’è ancora. O no?

“La legalità in Sicilia non è più un problema.  E’ diventato un patrimonio diffuso, un patrimonio comune. Mentre venti o trenta anni fa i siciliani erano convinti, a torto o a ragione, certamente a torto, che la lotta alla mafia fosse una competenza dei magistrati e delle forze dell’ordine, dopo la stagione delle stragi, ci si è convinti che la lotta alla mafia coinvolge ogni persona perbene. A cominciare dalla scuole. E la presenza dello Stato, che ha iniziato a decapitare le cupole di Cosa Nostra e che ha portato in carcere decine e decine di boss, oggi si avverte, è un dato acquisito.  Quindi in Sicilia c’è legalità mi sento di dirlo, nel momento in cui la Mafia e la Ndrangheta e la Camorra come sapete ormai hanno invaso territori non soltanto nazionali. Questa consapevolezza mi porta ad invitare le imprese ad investire nella nostra isola sapendo di trovare al loro fianco le istituzioni le articolazioni dello stato, la regione, con un ufficio speciale specializzato ad agevolare ed ad accelerare i processi autorizzativi per chi intende far impresa in Sicilia”.

Lei è il presidente di una regione a statuto speciale. Lei ha poteri speciali. In passato si diceva che la Sicilia non sapeva usare i suoi poteri, o quando li usava lo faceva male. Ecco lei come li sta usando i suoi poteri speciali? Intende usarli al massimo? E per fare cosa?

“Non vorrei sorprenderla ma la Sicilia di speciale ha davvero poco. Per la gerarchia delle leggi e delle norme, noi sottostiamo prima alle norme comunitarie, e poi alle norme statali. Quindi della specialità siciliana dell’immediato dopoguerra, ormai rimane assai poco. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha dato delle vere e proprie mazzate alla nostra autonomia. Quel poco che ci resta lo stiamo tutelando e difendendo ad un tavolo comune con i presidenti delle altre quattro regioni a Statuto Speciale. Abbiamo istituito una sorta di consulta permanente. E’ chiaro che in passato l’autonomia è stata gestita male. Più che una opportunità è stata considerata un privilegio, un privilegio per pochi purtroppo. E quando si poteva utilizzare lo statuto speciale  per accorciare il divario tra la Sicilia e il reso dell’Italia, non lo si è fatto. Oggi purtroppo viviamo una condizione di deficit infrastrutturale, una condizione di neo centrismo statale. Per carità non ne facciamo una guerra, ma siamo fermamente convinti che le responsabilità del degrado in cui la Sicilia si è trovata nel passato, non siano soltanto siciliane, ma endogene ed esogene, perché molte delle responsabilità stanno a carico dei governi nazionali che hanno utilizzato ascari per favorire gli interessi dell’appartenenza rispetto agli interessi del territorio”.

A Palermo si è ricordato recentemente il quarantennale dell’uccisione del Presidente della
Regione Siciliana Piersanti Mattarella (fratello maggiore dell’attuale presidente della Repubblica, ndr), che aveva un piano per la Sicilia. Ecco sono passati tanti anni, e sono cambiate tante cose in Sicilia, ma c’è qualcosa di quell’eredità, di quello che avrebbe voluto fare Mattarella per l’isola che magari lei ora vorrebbe tentare di portare a termine?

“Il contesto politico è cambiato, rispetto agli anni Settanta e quei pochi anni in cui Mattarella fu presidente della Regione.  E’ cambiato anche il contesto geopolitico.  Ai tempi di Mattarella il Mediterraneo era un mare che divideva, due mondi diversi, il fondamentalismo e la tolleranza religiosa, la democrazia e la dittatura. Oggi il Mediterraneo è tornato ad essere quello che è stato per millenni, un mare di scambi mercantili, ed è quella la straordinaria opportunità.  Di Mattarella rimane l’eredità morale. Egli diceva: se vogliamo essere credibili nei palazzi romani e all’estero, dobbiamo avere innanzitutto una regione con le carte in regola. Ecco il mio primo obiettivo in questi anni di governo è stato proprio quello di mettere la Sicilia con le carte in regola. Abbiamo quasi completato questa fase di riordino, pensando anche alla stagione della programmazione e degli investimenti.  E poi lasciatemelo dire, non l’ho mai detto prima, ma ho il privilegio di aver scelto la figlia del povero presidente Mattarella, quale capo della segreteria generale della Regione. Lavoriamo nello stesso piano, lavoriamo fianco a fianco, è una persona di grande pregio, alla quale il cognome non aggiunge e non toglie nulla”.

Presidente lei guida un governo di centro destra. La Lega non ha fatto ancora pare del suo governo ma a quanto pare ne entrerà presto. Ora la Sicilia al centro del Mediterraneo, e lei prima spiegava agli investitori quali fossero le opportunità di questa posizione. Eppure negli ultimi anni la Sicilia si è ritrovata anche al centro del caos immigrazione, e delle polemiche che ha portato – pensiamo soprattutto a quelle dell’ex ministro degli Interni Matteo Salvini- Lei che idea si è fatto? Il flusso immigratorio e il rapporto con i paesi del Sud del Mediterraneo, sono un danno per la Sicilia o una opportunità?

“L’approccio al fenomeno dell’immigrazione deve tenere conto di due aspetti. Uno umanitario e l’altro politico organizzativo.  Sul piano umanitario è indiscutibile che se una persona ha bisogno di aiuto bisogna tenderle una mano. Su questo siamo tutti assolutamente d’accordo. Sul piano politico organizzativo è assurdo che si debba far carico solo l’Italia di un fenomeno di gigantesche proporzioni. Ecco perché io sono convinto che l’Europa abbia rivelato il suo vero volto, di cinismo e di ipocrisia. Ha perso l’opportunità di dimostrare di non essere soltanto una lobby di banchieri e di capitalisti e invece di essere una grande idea. Io spero che l’Europa possa rivedere le norme. A cominciare dalla norma del trattato di Dublino. Io sono convinto che l’Europa deve farsi carico non solo d un processo di integrazione che deve essere immaginato non solo nel contesto dei diritti degli immigrati ma anche dei doveri degli immigrati. Ma credo anche che l’Europa debba seriamente investire nel continente africano. Perché ogni ragazzo che scappa da quel territorio, rende sempre più povera la propria terra. Quanto alla Sicilia, può essere una opportunità l’Africa del domani. Noi non sappiamo cosa sarà la nostra dirimpettaia, a soli 120 chilometri, tra dieci anni. Allora perché non fare delle nostre università i luoghi di formazione di tanti giovani che vengono dall’Africa? Perché l’africano deve cercare l’Europa a Berlino, a Londra, a Parigi e non invece a Palermo, a Catania, a Messina? Quindi io credo che in un contesto normativo, che sia razionale, che sia non buonista, ma dettato da norme di buon senso, la Sicilia possa diventare il primo avamposto europeo per un continente che vuole crescere e deve crescere senza sfruttamenti ma nel rispetto degli altri”.

L’ultima domanda è sul peso della storia: lei qui a New York ha appena letto i
nomi dei deportati ebrei italiani nei lager nazisti. Ecco quali emozioni ha sentito in quel momento e quale deve essere il peso della storia per il presidente della Sicilia?

“Io sono convinto che la storia sia l’autobiografia di un popolo. Nessuno può tirarsene fuori puntando il dito contro gli altri.  Nel bene e nel male. Quella della shoah è stata una pagina vergognosa della storia del continente europeo. Io sono convinto che bisogna indicare ai giovani e alle future generazioni la tutela dei valori e il rispetto della dignità umana. I valori della libertà e i valori della democrazia. Oggi ho voluto celebrare insieme alle altre autorità qui a New York la giornata della memoria proprio perché abbiamo il dovere di ricordare con animo commosso migliaia di vittime innocenti e dobbiamo tutti lavorare perché non si ripetano mai più pagine di una storia simile”.

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in... [Leggi tutto]

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