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Edizione del 01/02/2021
Estratto da pag. 1
Crisi di governo, a destra c`è un fronte invisibile che spera di restare opposizione - la Repubblica
Amministratori e leader credono nei vantaggi elettorali dell’attuale contesto politico. E la Meloni spera di superare la Lega nel giro di un anno
 C'è un partito trasversale a destra che sta alla finestra ma tifa ancora "governo istituzionale". In tanti sperano che fallisca l'esplorazione di Roberto Fico e che la vecchia maggioranza non diventi anche la nuova, per rientrare in partita e magari nella futura coalizione di "salvezza nazionale". Ma le speranze sono ormai ridotte al lumicino, a Montecitorio da oggi proveranno a scrivere addirittura il programma di governo. Nulla è scontato, tanto meno il successo.

Ma per il nucleo di "responsabili" in seno alla Lega, per esempio, quello che annovera tra gli altri Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia, Massimo Garavaglia, è tempo del silenzio nel dietro le quinte. Lasciano il frontman Salvini a urlare, come ieri, per invocare elezioni ("Nuovo governo con la Pasqua di Resurrezione, il problema non è Draghi ma questo Parlamento", raccontava dalla D'Urso). I tre senatori di Cambiamo di Giovanni Toti hanno sperato nel governo di tutti.

Come loro i tre senatori Udc che fanno capo a Lorenzo Cesa. Tutti in stand-by. Ma poi ci sono tanti altri che - anche se non lo ammetteranno mai pubblicamente - da domani se decollasse davvero un Conte ter o un nuovo esecutivo con la riedizione corretta della maggioranza tirerebbero comunque un sospiro di sollievo. Sono leader e amministratori di primissimo piano, insospettabili, si direbbe.

A cominciare da Giorgia Meloni. Stando ad alcuni studi commissionati da Fratelli d'Italia, la crescita di consensi del partito (oggi al 17 per cento secondo le stime più ottimistiche), per lo più a discapito delle Lega, porterebbe a un ipotetico sorpasso nel giro di un anno. Comunque entro il 2022, come ricostruito ieri da Huffington Post. Tempistica perfetta per poter tornare alle urne un anno dopo, alla scadenza del '23, appunto. A quel punto, con Fdi primo partito della coalizione, la presidente dei Conservatori europei concorrerebbe per diventare la prima premier donna del nostro Paese, in caso di vittoria del centrodestra.

È più o meno il ragionamento che può fare Luca Zaia nella Lega. Il governatore veneto ha tassi di consenso personale che nei mesi sono stati secondi solo a quelli del premier. Non solo nella sua regione viene considerato un amministratore concreto e capace, con gradimento trasversale e diffuso non solo nel centrodestra. La lenta ma inesorabile perdita di consensi della leadership Salvini e l'ascesa del Doge potrebbero portare anche lì a un sorpasso interno (come avvenuto in Veneto a settembre), quando bisognerà scegliere il candidato premier della Lega.

E ancora, Giovanni Toti e Mara Carfagna, il primo leader di Cambiamo, la seconda a capo della corrente "Voce libera" di Fi, stanno lavorando a un nuovo contenitore moderato nel centrodestra. Possono vantare un numero variabile di una decina di senatori e una ventina di deputati. Entro un paio di mesi il lancio ufficiale. Partire dall'opposizione e con due anni buoni davanti prima delle elezioni non potrebbe che giovare al progetto.

Infine lui, Silvio Berlusconi.

Ha invocato fino a ieri, nell'intervista al Corriere, "un governo con le forze migliori". Se si precipitasse nel gorgo del voto anticipato - come vogliono Salvini e Meloni - i 143 parlamentari di Fi si ridurrebbero a un drappello di pochissime decine. Allora, se proprio non può nascere l'esercito della "salvezza" con tutti o quasi dentro, allora meglio restare all'opposizione, ma numerosi. E partecipare così ai giochi quirinalizi da qui a un anno.