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Dir. Resp.
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Edizione del 17/01/2021
Estratto da pag. 1
Nel Libro nero nel Coronavirus (clicca qui) ci eravamo chiesti: cosa è successo prima di Codogno? L’Italia si è mossa in tempo per prevenire l’ondata di Sars-CoV-2? La cronistoria riporta un buco di circa 23 giorni in cui il Belpaese, dopo aver dichiarato il 31 dicembre lo “stato di emergenza”, sembra quasi impostare una strategia attendista: il virus arriverà? Solo il 22 febbraio, quindi a bubbone ormai esploso, il commissario Borrelli firma l’ordinanza per l’acquisto di mascherine in deroga, dando la possibilità di anticipare il 100% del costo e affidandosi così ai mediatori selezionati nelle white list delle prefetture. Per approvare la prima ordinanza che permetterà di acquistare le mascherine con “priorità assoluta rispetto ad ogni altro ordine”, occorrerà aspettare addirittura il 25 febbraio. E bisognerà attendere altri tre giorni, arrivando così al 28 febbraio, per vedere applicata la priorità “all’acquisizione degli strumenti e dei dispositivi di ventilazione invasivi e non invasivi” per le terapie intensive. Le tempistiche non sono da sottovalutare.
La persona che più di altre avrebbe potuto raccontare nel dettaglio quanto successo in quei giorni è forse Roberto Speranza. Al vertice del ministero della Salute, è lui che ha fatto il buono e il cattivo tempo in quella fase. E non solo. Di Covid si inizia a parlare già a gennaio e viale Lungotevere Ripa 1 si muove, va detto, quando ancora molti ritenevano il virus solo un lontano problema cinese. Ma cosa ha fatto, in concreto? Si è parlato di task force, di analisi matematiche, di bozze di “piano segreto”. Speranza a dire il vero qualcosa l’ha raccontato: nel suo libro “Perché guariremo” ci sono alcuni aneddoti (non tanti) che meritano di essere conosciuti. Visto che il volume è stato ritirato dalle librerie, ci pensiamo noi a mostrarvi cosa era contenuto all’interno.
Il racconto inizia dal 22 febbraio, il giorno dopo Codogno, poco prima del Consiglio dei ministri che istituirà le zone rosse nel Lodigiano. Speranza ricorda che nei bar la gente ritiene il virus “solo un’influenza un po’ più grave”, mentre lui ha la “consapevolezza vera” di “quel che sta succedendo e di quel che sta per succedere”. Un peso che solo lui e pochi altri conoscono fino in fondo. Come poteva saperlo? Come rivelato dal Giornale.it, due giorni prima Alberto Zoli e Stefano Merler avevano presentato al ministro la bozza di “piano segreto” in cui si prefiguravano scenari da paura. Il documento è stato secretato, nessuno l’ha visto. Dunque nessuno a parte Speranza e alcuni membri del Cts possono avere la “consapevolezza” del disastro che sta per investirci. Il ministro conosce le previsioni, e lo mette nero su bianco. Dice anche di aver portato “dati e scenari precisi” in Cdm quella sera. Si vanta di aver capito prima di tutti la “pericolosità di questo virus” grazie agli “studi” e alle “conversazioni con gli scienziati”. Domanda: ha informato il Paese di questa consapevolezza?
Non proprio. Il 7 febbraio, un mese prima del lockdown, il ministero della Salute pubblica uno spot con Michele Mirabella con cui rassicura gli italiani sul fatto che “non è affatto facile il contagio” da coronavirus. Di più. Il 27 febbraio, in Parlamento, il ministro in persona lancia un messaggio tutt’altro che allarmista: “Nella stragrande maggioranza dei casi comporta sintomi molto lievi. Si guarisce rapidamente e spontaneamente nell’80% dei casi”. Alla faccia della “consapevolezza” del disastro imminente.
Il libro fa poi un salto indietro. A gennaio 2020. Speranza in quei giorni sostiene di aver “la sensazione che mi manchi il tempo”. Perché “qualsiasi cosa stia arrivando dalla Cina” (dunque sapeva che sarebbe arrivato?) “andrà affrontato con le risorse che non abbiamo”. È a gennaio, insomma, che il ministro si rende conto “che il Ssn sta andando verso una tempesta che lo metterà a dura prova”. Perché allora rassicurare gli italiani sulla “difficoltà di contagio”? E perché dire ai parlamentari che “il nostro Paese è più forte del nuovo coronavirus”?
Fatto sta che i
l 22 gennaio nasce la task force ministeriale. Nella stanza di viale Lungotevere Ripa 1 Speranza raduna “i migliori cervelli di cui l’Italia dispone”: Silvio Brusaferro e Gianni Rezza (Iss), Franco Locatelli (Css), Giuseppe Ippolito (Spallanzani), Nicola Magrini (Aifa) e Adelmo Lusi dei Nas. Senza dimenticare la Protezione civile, l’Agenas e la Conferenza delle regioni. Cosa fa la task force? “In una prima fase – rivela Speranza – i lavori si concentrano prevalentemente sull’analisi di ciò che sta avvenendo in Cina e sul tentativo di evitare che il virus possa arrivare in Italia”. In quel momento l’Ecdc europeo ritiene “basso” il rischio di contagio in Europa. L’Oms non dichiara lo stato di emergenza sanitaria di rilevanza internazionale. E questa decisione, si legge nel libro del ministro, “sorprende” Speranza. “Gran parte dell’opinione pubblica occidentale – scrive – pensa che con il Covid-19 si ripeterà quanto accaduto con la Sars”. Cioè nessun problema per il Vecchio Continente ed epidemia confinata in Asia. “Ma ben presto sarà chiaro a tutti che si tratta solo di un’illusione”.
Il ministro nel suo libro tenta una sorta di auto-assoluzione. Veste i panni di Cassandra: “Io l’avevo capito, ma voi non mi avete dato ascolto”. Certo nelle prime settimane ha sospeso i voli e imposto controlli agli aeroporti. Gli si può forse attribuire il premio di ministro che più di tutti ha intrapreso la linea della “massima prudenza” contro un “problema serio”. Ma se era davvero così convinto, come scrive, che sarebbe stato un disastro, perché non l’ha urlato ai quattro venti? I comunicati stampa del ministero, a rileggerli oggi, non trasmettono cotanta preoccupazione. “Sul nuovo coronavirus vogliamo dare un messaggio di assoluta serenità”, diceva Speranza a Sky il 31 gennaio. “Il Servizio Sanitario Nazionale è molto forte”. S’è visto.
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4) continua
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