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Edizione del 09/01/2021
Estratto da pag. 2
Conte-Renzi, il lungo addio. Storia di un rapporto sempre sull`orlo della rottura
Conte-Renzi, il lungo addìo. Storia di un rapporto sempre sull'orlo della rottura "Giuseppe Conte è uno che alla gente può piacere, ha uno stile suo, diverso da Salvini e Di Maio". Forse la chiave dell'insistente opposizione al premier da parte di Matteo Renzi nasce da questa ammissione, fatta il 5 giugno 2018, dopo il varo del governo gialloverde. Giuseppe Conte si era presentato agli italiani come l'avvocato del popolo, un professore giovane e ambiziosissimo, che si era ritrovato incredibilmente a palazzo Chigi. E dopo averlo sentito esporre il suo programma al Senato Renzi, da animale politico, dovette avvertire istintivamente il pericolo: di una concorrenza, di un potenziale avversario. Poi siccome anche la vita politica è tutta una contraddizione, non si spiega altrimenti perché abbia acconsentito a farci insieme un governo salvo cannoneggiarlo un minuto dopo. I rapporti tra i due sono sempre stati tesi, anche se Conte, prima di scoprirsi grillino, aveva avuto legami col renzismo. Una volta diventato presidente, di fronte a una critica che gli aveva mosso l'ex leader del Pd, fece spallucce: "Lasciamolo libero di parlare", disse nella piazza di Ceglie Messapica. Era il 7 settembre 2018. La gente lo applaudì con veemenza. Conte era il capo di un governo che volava nei sondaggi e Renzi il senatore di Rignano. Renzi allora si fece più audace nelle critiche. Diceva che Conte era soltanto "il vice dei suoi vice", "un premier che ci fa fare le figuracce davanti alla stampa straniera", ma era normale: Renzi stava all'opposizione e Conte governava un'alleanza di populisti. Il 24 luglio 2019 lo definì "il presidente del consiglio più incapace che la storia di questo Paese ricordi". E il 7 agosto lo liquidò "come semplicemente imbarazzante". Un mese dopo Renzi votava il Conte 2. Pur essendo il principale fautore del matrimonio con i Cinquestelle, non lo avrebbe voluto come premier. "Un Conte bis? Noi abbiamo già detto che ci deve essere discontinuità" precisò la renzianissima Teresa Bellanova. Del resto anche Nicola Zingaretti usava le stesse parole: "Non vogliamo e non possiamo entrare in un Conte bis". Erano ancora dentro il Pd, renziani e non. Alla fine Di Maio pose una pregiudiziale: o Conte o morte. Tutti s'acconciarono a diventare giallorossi. Renzi però fece la scissione, si liberò dai vincoli del partito, varò Italia viva, convinto di puntare a un 10 per cento dei voti, e cominciò a vestire i panni dell'uomo di lotta e governo. Già il 21 settembre, ad appena due settimane dal giuramento, i cronisti chiesero a Conte se riteneva Renzi "un demolition man". "Non ho motivo di crederlo" rispose il presidente dal palco di Atreju. Renzi iniziò a distinguersi. Sul cuneo fiscale. Sulla plastic tax. Sulla manovra. Conte s'indispettì. "Non abbiamo bisogno di fenomeni -disse il 4 ottobre 2019 -tutti devono partecipare con massimo impegno e determinazione all'azione di governo". Il 6 ottobre 2019 in un'intervista alla Stampa Renzi escluse la possibilità d'impallinare Conte: "Siamo stati i principali sponsor del governo, perché mai farlo cadere?". Ma lo stesso giorno lo attaccò sul Russiagate, ovvero l'aiuto che i nostri 007 avrebbero prestato al ministro della giustizia americano, William Barr, giunto a Roma per cercare le prove di un complotto ordito dei russi a danni di Donald Trump. E gli chiese di cedere la delega ai servizi segreti a "un professionista". Conte non ne ha mai voluto sapere. E quindici mesi dopo quella richiesta resta uno dei nodi di polemica tra i due. Pier Ferdinande Casini all'epoca diede manforte a Renzi: "I premier più esperti e più capaci hanno sempre delegato questa responsabilità". Un giorno giocava a fare lo statista responsabile e nell'altro indossava la maschera di Gian Burrasca. Già il 24 ottobre 2019 s'ipotizzò la fine del governo e il ricorso al voto. Parlando al Teatro Cucinelli di Solomeo, in provincia di Perugia, Conte precisò: "Non ho alcun sospetto che qualcuno nel governo pensi al voto, dobbiamo concentrarci sulle cose da fare". Maria Elena Boschi nelle stesse ore
spiegò con perfidia che in Italia c'erano due soli leader: Matteo Renzi e Matteo Salvini. Renzi alternava la carota al bastone: "Conte ha un presente, ma anche un futuro" commentò a margine di un evento da New York, il 29 ottobre 2019. Poi tornò in Italia e fece la faccia feroce: "La legislatura arriverà a scadenza naturale con Conte o senza, dipende da come funziona il governo". Il Pd e l'M5s blindarono l'avvocato del popolo, esattamente come sta avvenendo ¡n queste ore. "Italia viva è un partito stile Turigliatto?" sbottò l'onorevole democratico Andrea Romano, evocando il senatore che fece la guerra a Romano Prodi nel 2006-2008. Darío Franceschini chiarì il metodo: "Repetita iuvant: il governo Conte è l'ultimo di questa legislatura, chi lo indebolisce fa il gioco della destra". Era il 2 novembre 2019. Sembra oggi. Il 5 dicembre 2019 Renzi rivelò che c'era il 50 per cento di possibilità che il governo cadesse. Conte gli diede del "pessimista cosmico". Poi si arrivò a febbraio, e il governo fu sul punto di esplodere per colpa dell'opposizione alla riforma della prescrizione del Guardasigilli Alfonso Bonafede. "Giuseppe Conte nega di lavorare a un suo governo ter Matteo Renzi smentisce di voler essere lui a rompere. Ma tra i due prosegue una partita che rischia di far saltare l'esecutivo" scriveva l'Ansa il 14 febbraio 2020. "Se vuole Conte ci cacci: siamo alleati, non sudditi", tuonò Renzi. L'obiettivo, dicevano i rumours, era di lavorare alla sostituzione del capo di governo con un altro premier e una maggioranza "con un pezzo di M5S, quasi tutto il Pd e una parte del centrodestra". I nomi per dirigerla: Roberto Gualtieri, Mario Draghi, Pier Cario Padoan e Paola Séverine. Più o meno quelli che circolano anche adesso per l'esecutivo tecnico o di scopo. Il 20 febbraio 2020, un giorno prima che si sapesse del paziente zero di Codogno, Renzi si mostrò conciliante: "Spero con Conte di mettere la parola fine a questo teatrino". Ci pensò la pandemia a congelare le ostilità. Che sono riprese esattamente come prima. Quindi, a ben vedere, questo duello dura sin dal primo giorno del Conte 2. E come nelle serie tv non c'è mai un vero finale. -tit_org- Conte-Renzi, il lungo addio. Storia di un rapporto sempre sull'orlo della rottura