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Edizione del 05/01/2021
Estratto da pag. 1
Riapre o non riapre? È il caos, così si demolisce la scuola
A due giorni dalla fine delle vacanze natalizie non c'è ancora nulla di certo sulla ripresa delle scuole. All'interno del governo e tra regioni si litiga sulle date. Ma intanto per le secondarie di secondo grado sono ormai dieci mesi di didattica a distanza, e potrebbe durare ancora a lungo. Una situazione scandalosa che sta creando una vera e propria voragine nella preparazione scolastica di milioni di studenti italiani. L’educazione non è più, da decenni, una priorità del nostro paese. E la crisi attuale rende evidente questa follia.

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Riapriranno le scuole al termine delle vacanze natalizie? A pochissimi giorni dalla ripresa, in realtà, non c’è ancora nulla di certo. Se la questione non si pone per i bambini della primaria e della secondaria di primo grado, per i quali in quasi tutta Italia le scuole sono rimaste aperte dall’inizio dell’anno scolastico (salvo quarantene di classe e dalla seconda media per le zone rosse), ben diverso è il caso degli studenti delle superiori, ormai “a distanza” quasi ininterrottamente da oltre dieci mesi.  Di sicuro c’è solo che la ripresa non sarà come speravamo (le superiori riprenderanno solo al 50% e non si sa fino a quando) e come avevano promesso a più riprese il presidente del Consiglio e la ministra Azzolina. 

Secondo il Dpcm del 3 dicembre, che indicava la data del 7 gennaio per la ripartenza, il rientro a scuola sarebbe avvenuto in piena sicurezza, dal momento che “le scuole sono in grado di riaprire sin da subito, siamo in grado di farlo”, assicurando al 75% degli studenti delle superiori la didattica in presenza. Il Decreto, tuttavia, non entrava nel merito degli aspetti organizzativi, facendo sospettare che le idee, al di là dei proclami, non fossero in realtà molto chiare…

E infatti, ad oggi, gli studenti delle superiori dovrebbero rientrare in presenza solo al 50%, ma già diverse Regioni hanno espresso dissenso e deciso di muoversi autonomamente.

Veneto e Friuli Venezia Giulia, come già riportato da diversi organi di stampa, hanno preannunciato l'ordinanza che proroga la didattica a distanza per le scuole superiori e analoga iniziativa sarebbe in arrivo dalle Marche, mentre in Campania il rientro sarà scaglionato fino al 25 gennaio. Probabilmente altre ancora si accoderanno.

Il Comitato tecnico scientifico (Cts), da parte sua, contraddicendo allarmistiche dichiarazioni di singoli esperti circolate in questi mesi, avverte che non esiste un rischio specifico di contagio in ambito scolastico, anche se mette in guardia dal rischio di un'apertura spot seguita da nuove chiusure, mentre un sondaggio che circola sulla stampa specializzata avverte che la stragrande maggioranza dei lavoratori della scuola ritiene che non ci siano le condizioni necessarie alle riapertura in presenza.

Insomma, confusione totale. Una confusione costantemente alimentata dalle tante, troppe voci contrastanti sulla lettura di quanto stiamo vivendo e dalla sensazione (ma è solo una sensazione?...) di essere in balìa di un Governo che naviga a vista. Si sta creando, in tal modo, una vera e propria voragine nella preparazione scolastica di milioni di studenti italiani, che difficilmente potranno recuperare il gap con i colleghi europei che invece sono andati a scuola pressoché regolarmente. E il dislivello di preparazione, come è noto, si riflette poi – fra le altre cose - sul PIL…

Che fare? Premesso che può sembrare inutile dare suggerimenti a un Governo che va avanti a suon di Dpcm senza neanche passare da un minimo regolare dibattito parlamentare, vogliamo comunque provarci.

La prima cosa da fare è, probabilmente, smettere di discutere su quanto le scuole siano responsabili dei contagi. Sono state messe in campo, da parte delle singole istituzioni scolastiche, tutte le possibili precauzioni, fino quasi all’eccesso, con enorme dispendio di risorse
economiche e umane. Il rischio zero non esiste e non è realistico ipotizzarlo. Tra l’altro, diciamocelo, grazie a Dio questo virus non è altamente letale, oggi esistono cure efficaci e inoltre i giovani sono meno soggetti al contagio. È probabile che almeno in parte le scuole siano veicolo di trasmissione, come del resto lo sono i centri commerciali che comunque restano aperti…

Il punto, allora, è un altro: quanto si è disposti realmente ad investire perché la scuola rimanga aperta?

Quanto è realmente considerata importante, al di là dei proclami e delle esternazioni un po’ sentimentali dei Ministri di turno, l’educazione/formazione dei nostri giovani?

Stanno venendo al pettine, con questa emergenza sanitaria, i nodi di una concezione della scuola puramente funzionale al sistema politico e sindacale, che da decenni ha trasformato il nostro sistema di istruzione in un carrozzone utile soprattutto come ammortizzatore sociale e veicolo del pensiero dominante.

Ora è più evidente: l’educazione non è più, da decenni, una priorità del nostro paese. Per questo, con incredibile leggerezza, ci si permette di tenere chiuse le scuole delegando alla didattica a distanza una missione già di per sé difficilissima e delicatissima come la formazione delle nuove generazioni. Se una cosa sta davvero a cuore, si fa di tutto –concretamente - per sostenerla. Invece, alle parole non sono seguiti i fatti. Già si sapeva, infatti, che le lezioni in presenza al 75% non sarebbero state possibili. 

Il 9 dicembre scorso, in sede di Conferenza delle Regioni, era stata preannunciata la situazione in cui ci si sarebbe trovati il 7 gennaio: la ripresa in presenza si sarebbe nuovamente scontrata con un coefficiente massimo di riempimento dei mezzi di trasporto al 50%. Durante un’audizione parlamentare di fronte alla Commissione Istruzione del Senato,  il Coordinatore della Commissione Infrastrutture e trasporti della Conferenza delle Regioni aveva esplicitamente ammesso l’assenza di qualunque forma di programmazione: “Occorre agire con decisione dal lato dell’offerta, con potenziamento dei servizi, e della domanda, con diversificazione degli orari d’ingresso alle scuole secondarie di secondo grado ponendo fine ad una situazione non gestibile, che ha lasciato il tema orari nella discrezionalità dei singoli dirigenti scolastici. È chiaro che così non si programma niente, se non il caos”.

Nulla di tutto ciò è stato fatto, e infatti è il caos. E non ci è di consolazione il fatto che la scuola non è l’unica a pagare lo scotto di questa incredibile e imperdonabile disorganizzazione, che sta demolendo il nostro paese ad ogni livello.

Se, come già detto, per una cosa che sta davvero a cuore si fa di tutto – concretamente! - per sostenerla, dobbiamo chiederci: che cosa sta davvero a cuore a chi sta governando il paese?

Marco Lepore