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Edizione del 30/12/2020
Estratto da pag. 1
Boccia: «Ritardi con AstraZeneca? Il piano vaccini non cambia. Le dosi extra della Germania? Noi siamo un Paese serio»
Il ministro delle Regioni: Siamo un Paese serio, la Germania non avrà le dosi extra prima di noi. De Luca? Anche con le scuole aperte si possono...
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Ministro Boccia, il miraggio del vaccino sembra allontanarsi: quello di AstraZeneca non sarà autorizzato prima di febbraio.



«Il piano di vaccinazioni è comunque garantito. Nel primo trimestre abbiamo 8,7 milioni di dosi Pfizer che sono in distribuzione entro il 31 marzo. Moderna è in valutazione da parte dell’Ema il 6 gennaio: è un altro milione e trecentomila dosi. Del vaccino di AstraZeneca ci sono 16 milioni di dosi in magazzino».

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Potrebbe essere autorizzato prima dall’autorità inglese come è successo per Pfizer?

«È molto probabile».

Non è l’unica grana. La Germania ha comprato dosi extra di vaccini oltre alla sua quota europea. Perché l’Italia non l’ha fatto?

«All’articolo 7 dell’atto di impegno con l’Unione europea che abbiamo tutti firmato, c’è scritto che i Paesi non possono comprare vaccini per conto loro. L’Italia è un Paese serio. Ma sono sicuro che tutti rispetteranno il patto ed escludo che le forniture aggiuntive arrivino prima che tutte le dosi acquistate insieme siano trasferite ai Paesi che hanno firmato l’accordo».

La vicenda dei vaccini potrebbe rallentare la ripresa delle attività, per esempio la scuola che crea tanti dubbi?

«L’obiettivo del governo è di riportare in presenza la scuola seguendo le indicazioni del ministero della Salute per la massima sicurezza sanitaria con la gradualità delle presenze, con ingressi scaglionati e le altre misure di prevenzione concordate tra Miur, Regioni ed enti locali».

Ma che cosa succede se i contagi non scendono?

«Succede quello che purtroppo è accaduto in tutto il mondo: quando sale l’emergenza sanitaria bisogna intervenire con determinazione e velocità. Questo non significa non essere organizzati — e per la scuola lo siamo — ma adeguarsi alla realtà. In Italia si preferisce la narrazione sulla disorganizzazione, in Europa si guarda alla realtà».

Nel Regno Unito gli esperti sconsigliano di riaprire.

«Lì è in corso la vaccinazione di massa ma con gli ospedali in ginocchio e 40 mila contagi al giorno. Noi non dobbiamo mai trovarci in quella condizione e per questo serve il massimo rigore nei primi tre mesi dell’anno».

Potrebbero esserci zone rosse e regioni in cui non si ricomincia?

«Faremo di tutto per tenere le scuole aperte: le fasce in vigore ora restano tali fino al 15 gennaio. Dopo ci ragioneremo, anche sulla base della campagna di vaccinazione. Ma le misure sono valide su tutto il territorio a meno che la situazione sanitaria locale giustifichi misure più restrittive. L’intesa con le Regioni serve ad evitare che ognuno faccia per conto suo».

Il governatore De Luca ha già detto che la Campania seguirà un suo calendario.

«L’intesa è stata approvata all’unanimità con un lavoro congiunto di governo, Regioni ed enti locali con i sindaci che hanno dato un contributo molto importante. Il lavoro di raccordo tra le Regioni è stato fatto dal vicepresidente della Campania Bonavitacola, se De Luca cambia il calendario smentisce sé stesso oltre a fare un danno alla sua comunità scolastica».

È servito tenere chiuse le scuole per limitare la circolazione del virus?

«I dati poi parlano chiaro. La Toscana in zona rossa come la Campania è passata con le scuole autorizzate aperte da 1,84 di Rt a 0,7. La Campania nello stesso periodo con le scuole chiuse è passata da 1,62 di Rt a 0,6. Ci sono altri casi di regioni in zona rossa partite da 2 di Rt, come Lombardia e Piemonte e scese a scuole aperte a 0,64, per non dire del Lazio (sempre giallo) che ha garantito presenza e massima sicurezza. Rispettare gli accordi istituzionali significa garantire sicurezza sanitaria e il diritto allo studio».

Anche i renziani attaccano l’accordo sulla scuola perché è al ribasso: ci si aspettava che potessero tornare tutti gli studenti delle superiori, poi si è deciso il 75% e ora il 50%.

«Tutti vorremmo ripartire
dal 100 per cento e invece quando c’è un’epidemia bisogna procedere col principio della massima cautela. È un principio kantiano, ma forse basta il buon senso. Intanto l’esperienza della didattica digitale integrata fa parte oggi del patrimonio del sistema scolastico. Abbiamo investito circa 900 milioni per il digitale nelle diverse regioni, potenziato la connettività nelle scuole, obbligato le aziende pubbliche sui territori a fare il massimo sforzo nelle aree più disagiate e distribuito dispositivi tecnologici. Nel Bilancio ci sono risorse per gli assistenti tecnici, le équipe formative e gli animatori digitali. Senza contare i fondi per accelerare l’adeguamento delle strutture e l’edilizia scolastica: nel 2020 sono stati stanziati 2 miliardi, oltre ai 100 milioni l’anno per i prossimi 15 anni. È un lavoro che continuerà con il Recovery fund».

È d’accordo sull’obbligo di vaccinare i dipendenti pubblici, insegnanti compresi?

«Abbiamo scelto di non obbligare nessuno. Tra l’altro in questa fase ci sono meno vaccini delle persone disponibili a farli. Concordo con il presidente della Conferenza delle Regioni Bonaccini che dopo operatori sanitari, Rsa e over 70 e 80 — che saranno vaccinati entro marzo — i lavoratori della scuola con le forze armate e forze dell’ordine rappresentano una priorità».