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Edizione del 22/11/2020
Estratto da pag. 1
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Dal Piemonte alle Dolomiti la speranza è aprire gli impianti entro fine anno. Tra le ipotesi del governo funivie al 50%, skipass limitati e mascherine
MILANO. Fino al 3 dicembre non si scia, come da decreto di Giuseppe Conte. Quasi certamente neanche a Sant’Ambrogio, il giorno 7. Dopo, non si sa. Di sicuro non nelle zone rosse. Domani le linee guida dei tecnici in materia di sicurezza Covid-19 arriveranno in conferenza delle Regioni. Dopodiché si aspettano i pareri del Cts e la decisione del governo. Nella bozza del documento c’è l’utilizzo obbligatorio delle mascherine su tutti gli impianti, la riduzione al 50% della capienza su funivie e cabinovie (non sulle seggiovie) e un limite massimo agli skipass giornalieri.
A parte l’incertezza di chi ha ancora sci e scarponi in ripostiglio c’è la difficoltà di un settore che da solo, considerando pure l’indotto, fattura 11 miliardi di euro e dà lavoro a 400 mila persone. Nei 1820 impianti di risalita per un totale di 3200 chilometri di piste lavorano circa 15 mila dipendenti. Per non parlare dei 15 mila maestri di sci. Le previsioni sulla stagione sono comunque pessime già così. Secondo Skipass Panorama Turismo si prevede un calo di presenze del 33% e un -30.6% fatturato, pari a 2 miliardi e 666 milioni di euro. Pesa soprattutto l’assenza degli sciatori stranieri, addirittura -72,8% rispetto all’anno scorso.
A tenere però gli operatori del settore col fiato sospeso sono le direttive che ancora mancano. Giovanni Brasso, presidente di Sestrieres Spa, fa l’ottimista: «Nella Via Lattea stiamo lavorando per aprire il 5 dicembre. Ma se entro il 30 novembre non abbiamo indicazioni certe dal governo diventa tutto difficile. Abbiamo fermato la vendita degli skipass online. Stiamo aspettando cosa fare dei 200 lavoratori stagionali che ci servirebbero. Già così prevediamo di andare sotto di 6 o 7 milioni».
Di neve sulle Alpi per ora ne è arrivata solo una spolverata. Accendere i cannoni sparaneve ha un costo vicino ai 100 milioni di euro per gli impiantisti di tutto l’arco alpino. Se non si scia sono soldi buttati. Se si scia bisogna essere pronti, con le piste preparate. La presidente degli impiantisti Anef, Valeria Ghezzi, ipotizza vari scenari: «Avviare la stagione a Sant’Ambrogio lo vedo molto improbabile: salta la prima della Scala e andiamo a sciare? Il piano B sarebbe partire per Natale, ma bisogna auspicare che ci sia almeno la mobilità tra le regioni. Il piano C è partire dopo l’Epifania, o non aprire proprio. Ammesso di riuscire a inaugurare la stagione entro Natale, oggi stimiamo una perdita tra il 50 e il 70% del fatturato. Non c’è proprio ristoro che tenga».
Molti timori anche da Marco Pappalardo, direttore marketing del carosello Dolomiti Superski che raccoglie 450 impianti fra Trentino, Alto Adige e Bellunese: «Ai primi di dicembre siamo pronti, ma ogni giorno che passa senza indicazioni rende più complicata una stagione che sarà comunque col segno meno».
L’incertezza frena le prenotazioni turistiche. Per incentivarle, dalla Valle d’Aosta al Trentino hanno lanciato formule flessibili, cancellazioni gratuite e polizze anti-Covid. Enrico Vuillermoz del Consorzio Cervino Turismo teme molto lo stop and go: «Avevamo aperto gli impianti a fine ottobre e li abbiamo richiusi. Se si può fare jogging si può anche sciare in sicurezza. Ma abbiamo bisogno di indicazioni certe e rapide. A Cervinia si può sciare fino all’inizio di maggio. Speriamo di poter recuperare ancora qualcosa di quello che abbiamo già perso».
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