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Edizione del 13/11/2020
Estratto da pag. 1
Non si può vivere sempre di bonus e di sussidi. Anzi si rischia di annegare per averne troppi, dei quali poi non ci si libera tanto facilmente. Un’economia sana, e una società altrettanto sana, prosperano nella razionalità delle scelte. Di consumo e di investimento. Non nelle decisioni mosse solo dalla convenienza offerta da un risparmio fiscale o da un contributo a fondo perduto.
Ormai non c’è giorno in cui non si proponga un bonus di qualsiasi natura. Nei vari provvedimenti decisi dopo lo scoppio della pandemia il governo Conte ha varato 45 misure agevolative tra crediti, contributi a fondo perduto, esenzioni e benefit di varia natura.
Michele Emiliano, riconfermato alla presidenza della regione Puglia alle elezioni di settembre 2020, aveva promesso in campagna elettorale un bonus di 1.500 euro per ogni coppia di sposi.
Alla fantasia non c’è limite. Nulla sembra muoversi senza un aiuto, uno sconto. Non c’è più una proposta di politica economica o sociale che non sia corredata da un bonus. Si è creato addirittura un mercato secondario del relativo credito d’imposta. Quello che i beneficiari della detrazione fiscale del 110 per cento per i lavori di adeguamento energetico degli edifici (Decreto Rilancio 34/2020) possono cedere all’impresa o alla banca.
Alcuni incentivi sono assolutamente necessari (e la detrazione fiscale a favore dell’edilizia certamente lo è, anche se molto generosa) per sostenere un mercato, crearne uno nuovo, incoraggiare lo sviluppo dell’energia pulita, orientare le scelte dei consumatori verso prodotti rispettosi dell’ambiente. O per soccorrere – com’è accaduto con la pandemia – le famiglie e le imprese più colpite dalla crisi economica, per esempio con il bonus baby sitter e congedi parentali terminato il 31 agosto 2020 (1,6 miliardi tutti assegnati).
In alcuni casi – l’esempio più citato è quello dell’ecobonus sulle rottamazioni delle auto, partito di gran carriera il 10 agosto 2020 con una dote di 100 milioni – lo Stato anticipa parte degli incassi fiscali, grazie al rilancio delle attività di un’intera filiera.
E l’operazione generalmente si chiude con un vantaggio complessivo per tutti. Anche se nel caso del mercato automobilistico l’esiguità dei fondi pubblici messi a disposizione ha generato elevate attese (grazie anche alle forti campagne pubblicitarie) e qualche delusione tra i potenziali acquirenti accorsi nei saloni delle case automobilistiche.
Quando le eccezioni diventano la norma producono effetti collaterali da non sottovalutare. Inducono, per esempio, una certa pigrizia mentale nei cittadini i quali sviluppano una sindrome da «saldo permanente».
Ma i saldi tutto l’anno non sono più saldi. Distorcono la concorrenza (non l’abbiamo mai tanto amata, oggi meno che mai). Oppure sono del tutto inutili perché incoraggiano consumi che salirebbero indipendentemente dall’incentivo (come l’acquisto di monopattini) molte volte favorendo prodotti importati. E dunque realizzano un improprio passaggio di risorse pubbliche nelle tasche dei cittadini. Spesso i meno colpiti dalla crisi.
Il monopattino, per esempio, non è in cima alle necessità delle famiglie meno abbienti che combattono con lo spettro della povertà. È diffuso solo in alcune città. Gran parte delle persone che lo usano lo avrebbero comprato ugualmente. È un veicolo di moda al pari di uno smartphone. Quasi uno status symbol. Lo desideri? Lo paghi.
Il professionista milanese che si è comprato una bici elettrica di ultima generazione ha avuto il bonus. La mobilità di un pendolare qualsiasi, magari residente in una città con meno di 50.000 abitanti, non è stata incentivata.
Quando poi il contributo è elargito senza distinzione di reddito (come il bonus di 500 euro ai diciottenni, figli di papà compresi, per i consumi culturali o le prime due tranche del contributo di 600 e poi di 1.000 euro ad autonomi, partite IVA, professionisti) è in diversi casi un regalo con soldi pubblici. Ingiustificato.
Secondo l’Ufficio parlamentare
di bilancio, oltre la metà dei sussidi è finita al 50 per cento più benestante della popolazione. Altra scomoda verità: in diversi casi sono stati sussidiati anche gli evasori. Togliendo così risorse agli impieghi più urgenti. Necessari per lenire sofferenze reali, non per conquistare consensi.
C’è sempre un costo opportunità, anche se non del tutto visibile. A meno che non si ritenga di costruire una società di assistiti (la filosofia grillina in fondo è questa) in cui ci si possa indebitare senza limiti. A spese di qualcun altro.
Ovvero i bersagli preferiti dalla propaganda populista: le banche (tra l’altro le principali beneficiarie di «Quota 100», grazie alla quale hanno pensionato, anche a spese nostre, migliaia di dipendenti), le multinazionali, l’Europa, i poteri forti e via di seguito. «Con il primo decreto, quello di marzo», ha spiegato sul «Corriere» Maria Luisa Gnecchi, vicepresidente dell’INPS, «l’intenzione del governo poi confermata dal Parlamento è stata quella di aiutare tutti e subito, ma per fare in fretta non c’è stata nessuna selettività».
«Facciamo un esempio concreto», chiede nell’intervista Lorenzo Salvia. «In una strada ci sono quattro negozi: un fruttivendolo, un lattaio, un parrucchiere e uno di abbigliamento. Durante il lockdown, probabilmente i primi due hanno fatto più affari di prima. Parrucchiere e abbigliamento sono stati chiusi per il DPCM. Eppure tutti e quattro hanno preso il bonus, se lo hanno chiesto».
La vicepresidente Gnecchi è di inusuale saggezza. Denuncia le storture nell’assegnazione di bonus che hanno raggiunto all’inizio l’importo di 3 miliardi al mese, poi ridottosi a un miliardo. Ma non si poteva richiedere almeno una autocertificazione? Per gli spostamenti, anche minimi, durante la quarantena, abbiamo assistito a una normativa che è cambiata ben quattro volte.
da “Le cose che non ci diciamo (fino in fondo)”, di Ferruccio De Bortoli, Rizzoli, 2020
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