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Edizione del 03/11/2020
Estratto da pag. 1
La realtà della DAD a Napoli…oltre le polemiche sul latte al plutonio!
Da alcuni giorni a Napoli non si parla d''altro nell''ambiente scolastico. A far discutere, con toni spesso accesi, è stata una battuta alquanto infelice del
Da alcuni giorni a Napoli non si parla d’altro nell’ambiente scolastico. A far discutere, con toni spesso accesi, è stata una battuta alquanto infelice del governatore campano Vincenzo De Luca. Quest’ultimo, durante la consueta diretta Facebook andata in onda sui social Venerdì 30 Ottobre, ha annunciato la chiusura delle scuole dell’infanzia a partire da ieri, Lunedi 2 Novembre. Per quanto riguarda invece le scuole primarie e quelle secondarie di primo e secondo grado, la cosiddetta “didattica a distanza” era iniziata già due settimane prima. Parlando della decisone presa, il presidente di Regione ha espresso in maniera colorita la sua opinione circa un’intervista televisiva, durante la quale una mamma raccontava la disperazione della sua bambina alle prese con l’apprendimento della scrittura e della lettura. Pare che la bimba in questione piangesse tutti i giorni, sostenendo con fermezza di voler ritornare a studiare sui banchi di scuola. A tal proposito il presidente ha scimmiottato la situazione ridicolizzandola, forse senza pensare che quello della DAD è un argomento già di per sé assai delicato. Le sue parole sono state: “Questa bambina è l’unica al mondo a piangere pur di andare a scuola, forse è un organismo geneticamente modificato, cresciuta dalla madre con latte al plutonio”. Dopo queste parole, come era immaginabile, il web si è scatenato contro De Luca. Quest’ultimo, probabilmente con superficialità, forse non aveva pensato alle conseguenze della sua ironia che, seppur basata sulla voglia di sdrammatizzare, è stata la causa di un dibattito acceso e l’imput per una profonda analisi sull’argomento. Si perché in una regione come la Campania, con un altissimo tasso di criminalità e dispersione scolastica, non ci si può permettere di sbagliare così, seppur solo con le parole.

La decisione di chiudere le scuole di ogni ordine e grado presa dal governatore campano, in disaccordo col Governo centrale ed in particolare con la ministra dell’istruzione Lucia Azzolina, è stata una seria misura di prevenzione al diffondersi ormai incontrollato del coronavirus tra la popolazione, e su questo credo che nessuno abbia da ridire. Si è voluto evitare di affollare i trasporti pubblici che in Campania, come anche in altre regioni del Sud, funzionano male e sono insufficienti a garantire un servizio decente ai cittadini. La regione Campania, inoltre, ha una densità di popolazione altissima e questo può diventare un enorme problema per il contenimento del contagio; infine il sistema sanitario regionale non è dei migliori e gli ospedali sembrano stare andando sempre più in sofferenza. Su questi punti siamo quasi tutti d’accordo. C’è come sappiamo una sempre più grossa fetta di complottisti e negazionisti che, un pò per stanchezza ed un pò per esasperazione, pian piano si sta allargando. Per fortuna la maggioranza della popolazione nazionale continua ad avere comportamenti responsabili. Quello che ha fatto infuriare l’opinione pubblica è stata la mancanza di delicatezza che il presidente De Luca ha dimostrato parlando dei suoi studenti, quelli campani, al momento più penalizzati rispetto a quelli delle altre regioni italiane. Per il momento solo la Puglia, infatti, ha seguito le orme delle Campania, con la chiusura delle scuole e l’attivazione della didattica a distanza, già ampiamente utilizzata in primavera.

Ma come può un bambino della scuola dell’infanzia, quindi con età inferiore ai 6 anni, poter seguire delle videolezioni al computer insieme alla sua mamma? Come può imparare l’autonomia, il distacco dal nucleo familiare, la socializzazione ed il gioco coi suoi coetanei? E come può un bambino di 6 anni ad imparare a leggere e scrivere davanti al pc senza il confronto ed il supporto dei suoi coetanei e della maestra, insieme a nonni anziani e poco avvezzi al web oppure con genitori contemporaneamente impegnati a lavorare in smart working? Come fa un ragazzino di quelle che una volta si chiamavano “scuole medie” ad affrontare l’età più difficile, quella della pubertà, senza il rischio di isolarsi e chiude
rsi in se stesso, con tutte le pericolose conseguenze che purtroppo conosciamo? La scuola, quindi, non è solo didattica, ma è anche tanto altro. In Campania, soprattutto, essa svolge anche un enorme ruolo sociale, impegnando le giornate dei ragazzi delle scuole medie e superiori, oggi definite scuole secondarie di primo e secondo grado, e facendo in modo che non crescano per strada e che finiscano nelle mani spietate della criminalità organizzata. Interi quartieri abitati da persone con difficoltà culturali ed economiche, abbandonati a se stessi dalle istituzioni, adesso si ritrovano ad essere abbandonati anche dalla scuola, distruggendo le speranze dei giovani e quelle di un futuro migliore, e su questo c’è poco da scherzare!

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