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Edizione del 01/11/2020
Estratto da pag. 1
Nessuno ha il coraggio di decidere. Rimpallo Governo/Regioni
ANSA fotoGoverno/RegioniSono le otto di sera quando dal maxischermo che Giuseppe Conte ha davanti alla scrivania del suo ufficio a palazzo Chigi arriva una voce contrariata. È quella della ministra Teresa Bellanova: “Non possiamo mettere in discussione quel che ieri sera era un dato acquisito. Ognuno assuma le proprie responsabilità”. Una frase che spiega il grande vulnus decisionale che si è aperto nel Governo sul taglio da dare all’ennesimo Dpcm imposto dal virus. Perché la strategia dei lockdown mirati, messa a punto 24 ore prima, si sgretola al mattino, quando i governatori ribaltano la prospettiva: niente zone rosse, ma misure nazionali. E così il premier e i capigruppo della maggioranza si ritrovano a dibattere e a litigare sul coprifuoco alle sei del pomeriggio. E a prendere atto che il nuovo decreto deve slittare a martedì. Quello che registra il bollettino odierno del lavoro nervoso del Governo contro il virus è l’incapacità di mettere un punto fermo a una questione che precede i singoli contenuti della nuova stretta al Paese. È la questione di come calibrare il taglio dell’intervento, che a sua volta si tira dietro il tema di chi decide. Perché il contenuto determina chi guida la partita, se le Regioni o il Governo. Conte si ritrova in mezzo a questo guado. Da una parte la convinzione personale, e condivisa da una parte della maggioranza, che bisogna agire con interventi mirati sui territori, seguendo la mappa che è arrivata dal Comitato tecnico-scientifico sui territori più a rischio. Dall’altra i governatori che spingono in una direzione opposta. Il dem Andrea Orlando sintetizza la situazione in un tweet, scrivendo che i governatori “sono federalisti quando le cose migliorano. Centralisti quando peggiorano”. Anche nel Governo però si rischia l’approccio opposto. Alle nove di sera, quando termina l’ennesima giornata convulsa, il premier deve prendere consapevolezza che lunedì mattina, in Parlamento, potrà al massimo indicare una prospettiva. Sempre se riuscirà a risolvere le questioni con le Regioni, che il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia e quello alla Salute Roberto Speranza incontreranno di nuovo alle 9 del mattino. E comunque il nuovo Dpcm dovrà slittare a martedì perché potrà essere scritto solo dopo una nuova giornata di riunioni. E non solo con i governatori, ma ancora con la maggioranza e con il Cts, senza considerare l’accoglienza che le opposizioni sono pronte a riservare al premier alla Camera e al Senato. L’epilogo della giornata porta nella pancia una raffica di nuove discussioni, di nuove ipotesi, con pochi punti fermi e l’incapacità del premier di tirare una riga dritta. Basta scorrere in sequenza quel che accade dal mattino a sera per capire come quello del Governo si stia configurando sempre più come un salto nel buio. Al mattino è l’intervista di Speranza, che evoca l’immagine della curva dei contagi “terrificante”, a dare voce all’ala rigorista che preme sull’orientamento assai più moderato di Conte. L’analisi del titolare della Salute mette in fila il conto che il virus sta presentando al Paese, indica un timing stringente, 48 ore, che è la cifra della necessità di fare subito e di intervenire in modo pesante. La presa d’atto che “c’è troppa gente ancora in giro” è di fatto l’indirizzamento verso un lockdown ampio, perfino nazionale, che può essere preceduto solo da misure rigorose. Ma il piano di Conte, tutto puntato sulle zone rosse più a rischio, viene messo seriamente in crisi a metà mattina, quando Boccia e Speranza si collegano con i governatori, i sindaci e i rappresentanti delle province. Già dalle prime battute si evince che la prospettiva degli enti locali è opposta a quella del Governo. Boccia illustra il piano e spiega che il punto di riferimento per la nuova stretta sono il documento dell’Istituto superiore di sanità e il sistema di monitoraggio condiviso con il Cts e con le Regioni: le restrizioni scattano sui singoli territori automaticamente se l’indice Rt (quello che misura la contagiosità) supera un certo livello. E scattano in modo settoriale per
ché ogni comparto ha un suo indice. Quindi le scuole, i negozi e tutto il resto possono procedere anche in modo difforme, seguendo l’indicatore che segnala l’esigenza di chiudere o al contrario la possibilità di tenere aperto. “Non si deve prendere una decisione univoca sulla scuola, ma deve dipendere dal grado di Rt in ogni Regione”, dice ancora il ministro. L’intenzione del Governo, quindi, è far passare le nuove restrizioni dai singoli territori. Così l’onere della scelta impopolare passa ai governatori. Il grande timore delle Regioni è quello di ritrovarsi inadeguati di fronte alla gestione dell’emergenza che salirebbe di livello con la creazione dei lockdown nelle grandi città. E di pagare il conto economico della stretta locale. Quando tocca a Vincenzo De Luca, il governatore della Campania va dritto al punto: “Io le chiusure le ho fatte in molte località, ma siamo riusciti al massimo a gestire le vie principali, il resto è impossibile”. La grande criticità, soprattutto nelle grandi aree metropolitane, viene individuata nell’impossibilità di avere una capacità di controllo capillare. Insomma il blocco di una città si può pure fare, ma poi c’è il problema di come gestire il controllo di questo blocco. E i governatori del Nord, a iniziare dal presidente della Lombardia Attilio Fontana, sono ancora più tranchant: è proprio sbagliato pensare di risolvere tutti con le chiusure delle grandi città. La pensa così anche Giovanni Toti ed è Fontana a esternare il concetto in modo deciso: “No ai lockdown territoriali, se fermiamo Milano, fermiamo la Lombardia”. Le Regioni propongono altro, vogliono che Conte adotti misure nazionali. Quindi un coprifuoco alle 18. E Fontana, insieme a Toti e Cirio, propone anche un lockdown per gli over 70. Proposta che inciampa su un post infelice sulla pagina Facebook del presidente della Liguria Giovanni Toti, che definisce gli anziani “non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Parole a cui seguono polemiche, precisazioni e scuse. Ma l’uscita di Toti domina per ore il dibattito politico e anche questo è un elemento del grado di discussione intorno al nuovo Dpcm.La prospettiva delle Regioni arriva alla riunione tra Conte e i capi delegazione della maggioranza, a cui si aggiungono poi i capigruppo. Si discute e si litiga. Il premier ribadisce i suoi dubbi sul coprifuoco nazionale: meglio, dice, lo schema delle chiusure che scattano a livello locale in base all’indice Rt. I renziani si schierano contro la chiusura dei negozi alle sei del pomeriggio. Mentre le due idee sostenute dai governatori e cioè quella di una chiusura della mobilità tra le Regioni e di uno stop ai centri commerciali durante il week end sembrano trovare d’accordo anche tutto il Governo. Poi c’è la questione scuola da risolvere perché non tutti sono d’accordo alla didattica a distanza per tutte le classi delle medie. Troppi problemi. E troppa poca coesione, dentro e fuori il Governo, per chiudere il cerchio. Servirà più tempo, ma se il dpcm rallenta, la curva no.
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Giuseppe Colombo
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