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Dir. Resp.
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Edizione del 25/09/2020
Estratto da pag. 1
Per uscire dall’angolo in cui lo ha consegnato più la gestione della campagna elettorale che l’esito delle Regionali, Matteo Salvini ha disperatamente bisogno di un’agenda politica. L’annuncio della segreteria politica, allargata a una ventina di componenti, e dei nuovi dipartimenti collegati al territorio, non è bastata a placare gli animi. Stamattina il leader ha incassato le critiche pubbliche di tre pesi massimi del partito: Giancarlo Giorgetti lo ha invitato a “essere più inclusivo e correggere gli errori”; Luca Zaia a mettere i voti “in un consolidato progetto politico”; Roberto Maroni ad ascoltare chi lo critica e a non ripetere l’errore sulla mozione Lukashenko.
E uno dei prossimi temi “operativi” sarà la presidenza della conferenza delle Regioni, l’’”Anci delle Regioni”, che riunisce tutti i governatori per concordare decisioni comuni e che dal 2015 è guidata dal dem emiliano Stefano Bonaccini. Un organismo diverso dalla conferenza Stato-Regioni convocata dal premier a Palazzo Chigi, ma che anticipa le linee lì esposte dai governatori. E che soprattutto in tempi di Covid garantisce una vetrina di visibilità, un’interlocuzione costante con il governo e un buon polso dei territori. Proprio quello che, in questo momento, sta a cuore al Capitano. Che a botta calda, nella conferenza stampa dopo il voto del 20 settembre, ha lanciato il tema: “Con 15 Regioni al centrodestra contro le 5 del centrosinistra sicuramente cambieranno gli equilibri nella Conferenza Stato-Regioni: chi dovrà andare a parlare con Conte e con Gualtieri sarà qualcun altro”.
Già: chi però? Da mesi il centrodestra ambisce ad avere un proprio esponente come interlocutore del governo a nome delle Regioni. E in questi ultimi giorni, non soltanto dentro la Lega ma anche dentro FdI e Forza Italia, in parecchi pensano che Salvini dovrebbe fare questo passo. Una mossa che da un lato distoglierebbe l’attenzione dalle crepe in casa padana e dall’altro spingerebbe nel senso della “collegialità” che la coalizione ha chiesto al capo leghista. I più saggi, però, hanno avvisato il Capitano: senza un accordo ampio, il tentativo rischia di fallire. La legge, infatti, prevede che il presidente sia eletto in prima o seconda votazione all’unanimità con voto palese; dalla terza votazione in poi, a maggioranza assoluta degli aventi diritto ma con voto segreto.
E dunque, la partita vera si giocherà sul nome. Al momento, a sentire i rumors, è un duello: il leghista Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli Venezia Giulia, e il neo-rieletto in Liguria Giovanni Toti, che proveniente da Forza Italia era in ottimi rapporti con la Lega fino a ieri. Luca Zaia, che avrebbe facilmente ottenuto l’unanimità con i voti del centrosinistra, si è sfilato pubblicamente: ha abbastanza da fare in Veneto. Attilio Fontana è sembrato interessato, ma ha cambiato in fretta idea: anche lui, viste le grane giudiziarie, ha abbastanza impegni in Lombardia. In più, i maligni sostengono che pur essendo a capo della regione più grande d’Italia non incasserebbe nemmeno i voti del suo centrodestra.
C’è poi un altro punto: non è escluso che tra i due litiganti, a fregarsi le mani sia un terzo. Proprio Bonaccini, presidente della conferenza da cinque anni (quindi, in scadenza) con quattro governi diversi, che negli ultimi due anni – da quando le regioni a guida centrodestra sono diventate la maggioranza - ha rimesso due volte la carica, finendo per essere confermato dagli stessi colleghi. I governatori, infatti, hanno sempre visto la conferenza non come un posto da cui fare opposizione all’esecutivo bensì come la sede per “fare squadra” e ottenere il massimo dal premier di turno. Non a caso, quasi il 95% delle decisioni sono state prese all’unanimità a prescindere dal colore del presidente e del governo. Una prospettiva che tornerà di attualità se il rischio Covid dovesse intensificarsi tra pochi mesi. Così Salvini è chiamato a una scelta non del tutto priva di spine: se decide di “politicizzare” la partita, dovrà accertarsi di avere le spalle coperte. Ma se
rinuncia, potrebbe essere tacciato di aver perso un’occasione.
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