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Edizione del 02/08/2020
Estratto da pag. 1
Pa, giustizia, fisco. Solo le condizionalità possono portare l’Italia a occuparsi della realtà
Tornato a Roma, qualche giorno fa, Conte ha perso l’occasione per confermare che quello di Bruxelles non è stato solo un successo tattico negoziale suo, ma una strada imboccata dall’Italia per “recover” dal colpo della pandemia: quella di dichiarare chiusa la polemica sul Mes, accettandolo senza ulteriori discussioni. Doveva farlo non solo per coerenza con quando aveva detto quando cercava di prender tempo, e cioè che avrebbe deciso l’accesso al Mes dopo aver visto l’esito delle discussioni sul Recovery Fund, e neppure per ragioni di convenienza economica: doveva farlo per ragioni di logica. Infatti per dare garanzia che l’Italia, senza bisogno di condizionalità, avrebbe usato le risorse per gli scopi per cui ci sono stati concessi e non le avrebbe sprecate in aumento della spesa pubblica, bisogna dimostrare che sono state abbandonate le cause che questo esito hanno, anche in tempi recenti, prodotto. E queste cause sono ideologiche.
Mostra di averlo in mente il segretario del Pd Nicola Zingaretti quando pone il loro superamento come presupposto per realizzare il vasto piano del suo articolo sul Corriere della Sera del 25 Luglio. Ideologie, come certo ricorda, le hanno (o le hanno avute) in tanti, alcune risorgono sotto nuove spoglie, come quella dello Stato, imprenditore per alcuni, salvatore per tanti. Ma il rifiuto del Mes è ideologico in modo emblematico, attivarlo al ritorno da Bruxelles era una occasione per emblematicamente dimostrarlo. Frutto di ideologia (condivisa con la Lega) è stata quota 100, che mandando in pensione prima si sarebbero assunti più giovani; quella per il reddito di cittadinanza, che distribuendo soldi si sarebbe rilanciata l’economia (e sconfitto la povertà); quella dell’uscita dall’euro, che ci avrebbe aperto le porte al Campo dei Miracoli dove crescono gli zecchini d’oro. E queste a loro volte sono tutte frutti dell’ideologia originaria: quella dell’uno vale uno, del pregiudiziale rifiuto delle competenze.
Il prof Monti dice a Valerio Valentini che “l’Italia dovrebbe darsi da sola un vincolo esterno, nome con cui collettivamente chiamavamo le condizionalità”. Questo mi pare obbiettivamente un po’ difficile: non che sia più facile, ma forse è più praticabile, perché non richiede abiure e autodafé, interiorizzarle silenziosamente. Anche perché il vincolo esterno, quando c’era ed era anzi considerato necessario dal pensiero mainstream, non ci ha impedito di fare dei disastri.
Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di giovedì scrive un articolo straziante sul disastro della nostra scuola, delle Università anzitutto, degli Istituti Professionali, della scuola dell’obbligo. Anche lì, come in tanti altri casi, non è questione (tanto) di soldi, dei tagli imposti dalle politiche neoliberiste: è frutto di ideologia. Lo è il “3+2”, che della Loggia definisce “la perfetta illustrazione del male di fondo dell’università italiana”; lo è “l’obbligatoria, insensata uniformità del processo formativo” che ha impedito l’introduzione delle Fachhochschulen, un secondo percorso universitario di pari dignità del primo anche se non abilitato a rilasciare il titolo dottorale; lo è il diritto di voto nell’elezione del preside concesso agli impiegati amministrativi, cioè ai sindacati.
L’ideologia grillina presenta impressionanti somiglianze con quella sessantottina: mezzo secolo dopo, Lorenzo Fioramonti nella prima intervista da ministro dichiarava che non avrebbe mai consentito incentivi economici al corpo insegnante; facendo così il paio con il rifiuto del metodo Invalsi, e confermando che la scuola non vuole valutare e rifiuta di essere valutata: che uno non valga uno, e che c’è la concorrenza i ragazzi l’impareranno a spese loro. Che la scuola sia l’obiettivo primario, il passaggio obbligato per una recovery che guarda al futuro del paese, lo dicono quasi tutti. Sarebbe il caso di rendere tutti coscienti ed allertati che l’ideologia grillina del rifiuto della competenza, è l’erede politica del rifiuto
dell’autorità di mezzo secolo fa: non abbiamo finito di pagarne i costi. Allora quell’ideologia occupava i licei e le università, oggi occupa il Parlamento e il governo. Giusto pensare alle procedure, alle strutture, alle linee di comando per trasformare quei miliardi in progetti, evitando di sprecare un tesoro. Ma che si tratti di riformare la pubblica amministrazione, di magistratura, di fisco, di politiche economiche, se non ci liberiamo del vincolo dell’ideologia, saranno altri vincoli a riportarci alla realtà. Non oso pensare che aspetto avrà.