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Edizione del 22/07/2020
Estratto da pag. 1
Giuseppe Conte e i soldi del Recovery Fund: Ghe pensi mi
Neanche il tempo di godere della passerella che il premier deve fare i conti con i mal di pancia della maggioranza. Polemiche per la scelta di gestire i soldi europei a palazzo Chigi. E sul Mes c''è il solito tira e molla Pd-M5s
C’è una battaglia che si svolge tutta in chiaro, quella sul Mes, e una che ha iniziato a scavare carsica sotto Palazzo Chigi, quella su come e quando spendere della montagna di miliardi in arrivo dall’Europa. Entrambe investono Giuseppe Conte, attore e bersaglio. Il “bagno di folla”, come lo definisce un suo ministro, del Parlamento ha segnato l’apoteosi e insieme la fine della cinque giorni di gloria del premier. L’ovazione della sua maggioranza all’ingresso del Senato (tutti in piedi ad applaudire, tranne Italia viva) è stato l’ultimo capitolo della breve e tardiva luna di miele della sua maggioranza, strettasi attorno all’avvocato del popolo durante le ore convulse del vittorioso negoziato europeo.

Nemmeno il tempo di tornare a Roma che sul governo sono tornati ad addensarsi i problemi di sempre. Chi decide quanto allocare e per cosa, quali interventi e quali misure strutturali considerare prioritarie per il governo sarà la madre di tutte le battaglie nei prossimi mesi. I primi colpi sono già partiti. “Costituiremo una task force”, si è lasciato sfuggire il premier, evocando nella sua maggioranza lo spettro di scelte ritenute fallimentari, leggere alle voci Colao e Stati generali. “Che ci chiamate a fare, pensate che noi ne sappiamo qualcosa? Comunque è palese che non ci sia un’idea”, rispondono i renziani sollecitati sul tema, facendo eco alle perplessità sollevate da Matteo Renzi.

Conte la vede così: da un lato un coordinamento politico, con dentro i ministri dell’Economia, delle Infrastrutture, dello Sviluppo economico, dell’Innovazione, degli Affari europei del Sud e delle Autonomie regionali. In queste ore si sta ragionando se coinvolgere anche rappresentanti della Conferenza delle Regioni e dell’Anci. Non il Cipe, ritenuto dal Pd una sorta di suo feudo, ma una cabina di regia vera e propria per placare sul nascere le polemiche di accentramento e solipsismo. Dall’altro un pool di tecnici dei ministeri, del Dagl e probabilmente della struttura di Investitalia che avranno il compito di predisporre tecnicamente le priorità individuate dal coordinamento politico e oliare la macchina per evitare intoppi. Tutti interni, nessun professore o manager come nello schema Colao, con il coordinamento affidato a uno dei consiglieri del premier.

Ma i normali rapporti di maggioranza, esauritasi l’onda di eccezionalità della maratona negoziale, sono gravidi di sospetti e veleni. “Anche per gli Stati generali ha coinvolto tutti per poi riservarsi di decidere, e alla fine non ha deciso nulla”, spiega un esponente di governo del Movimento 5 stelle. Se all’interno del partito guidato da Vito Crimi l’ala contiana gongola, i critici rimangono la maggioranza, e spandono diffidenza da tutti i pori: “Vogliono tutti i riflettori su Palazzo Chigi, vuole tenere tutto lì in modo da eclissare comunicativamente esecutivo e Parlamento”. La teoria è datata ma ancora attuale: il premier senza forza politica alle spalle vuole costruirsi un contesto di consenso puramente personale per giocare una partita in proprio quando si dovrà tornare al voto. A poco sono servite le assicurazioni che Conte ha offerto nelle Aule: “Il piano per la ripresa sarà un lavoro collettivo, ci confronteremo in Parlamento”, anche se tempi e modi di questo confronto ancora non sono chiari.

Il Partito democratico ha ricevuto assicurazioni: Roberto Gualtieri e Enzo Amendola, in particolare, saranno coinvolti e centrali nella definizione di scelte e priorità. “Anche se per ora siamo alle dichiarazioni d’intenti - spiega un colonnello del Nazareno - qui servono tre o quattro mesi di lavoro pancia a terra, serio, e soprattutto la capacità di fare scelte, tutte cose che finora si sono viste ben poco”.

Nel pacchetto di aiuti europei il convitato di pietra ha sempre lo stesso nome: Mes. Ed è sul Fondo salva stati che il Nazareno ha deciso di spingere sull’acceleratore, puntando a sfruttare l’onda di consenso europeista degli ultimi giorni. “Finalmente il quadro è chiaro, acceleriamo la valutazione” ha detto Andrea Marcucci, capogru
ppo Dem al Senato parlando proprio davanti a Conte. Qualche ora e Nicola Zingaretti è tornato a mettere un carico da novanta: “Continuo a pensare che per l’Italia l’utilizzo del Mes sia positivo e utile. Il governo dovrà presto assumere una decisione e la nostra posizione è chiara”. L’offensiva ha lo scopo di mettere il Movimento 5 stelle con le spalle al muro, costruendo le basi per un sì che comunque non arriverebbe prima di settembre. E trova la sponda di Iv: “Presidente la invitiamo a riflettere seriamente sul Mes - ha detto Matteo a Palazzo Madama - quei soldi hanno minori condizionalità e arriverebbero in autunno”.

Apriti cielo. Perché ai 5 stelle non bastano le lapidarie frasi pubbliche di Conte, per il quale quei soldi non sono mai stati un obiettivo del governo. E tornano a parlare di un’intesa sotto traccia tra Palazzo Chigi e il Nazareno per metterli all’angolo. Il pallottoliere di deputati e senatori indisponibili a votarlo è schizzato a oltre 50, rendendo al momento un passaggio al Senato ai limiti dell’autolesionismo. Anche per questo, tornato da Bruxelles, il premier ha ulteriormente frenato, spiegando a chi lo ha sentito nelle ultime ore che il surplus di oltre 30 miliardi ottenuto nelle trattative del Recovery fund rendono dire no molto più agevole di prima. Al momento la decisione rimane la stessa degli ultimi mesi: decidere di non decidere. In autunno si vedrà.

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